30 gennaio 2022

Donato Creti. E' cremonese uno dei più grandi pittori del Settecento, ma a Cremona non c'è nulla che lo ricordi

E' stato uno dei maggiori pittori italiani del Settecento, ma a Cremona, sua città natale, non vi è nulla che lo ricordi. Invece Donato Creti, che a Bologna ha lasciato la maggior parte delle sue opere, era particolarmente fiero delle sue origini, come lui stesso racconta in una lettera del 5 luglio 1717, inviata ad uno sconosciuto nobile cremonese: “Con mia grandissima confusione – scrive - ricevo il pregiatissimo foglio di V.S. Ill. nella quale intendo con quanta parzialità s'interessi, per farmi conoscere in quella Patria, dove per l'infinita bontà del Signore ebbi la sorte di nascervi, abenchè per verità non ne sia degno, e nemmeno d'essere annoverato fra i Pittori di essa come V.S.Ill. mi accenna d'onorarmi fra le raccolte del Rev. Padre D. Desiderio Arisi. Torno di nuovo a confondermi, ma per non commettere un atto troppo incivile a tanta sua parziale cortesia verso di un suo servo, per ubbidire dirò adunque che l'Anno del Signore 1671 al 24 febbrajo in martedì giorno di S. Mattia nacqui costì in Cremona; mio padre fu pittore Giuseppe Bolognese, la madre Anna Caffi, figlia del sig. Carlo Francesco Caffi, e di Agata Mercante Cremonese credo di Chinelli, come potrebbero vedere se si volessero prendere l'incomodo nei libri del Duomo, dove fui battezzato. Ma o Dio pur troppo in quello che importa non so che dirmi sopra le mie mai oprate fatiche, poiché ritrovandomi non so se sia mala volontà oppure debole complessione, non ho potuto oprare quanto a me pure avrei desiderato. Il Signor Iddio con somma bontà mi ha concesso assai lume e conoscenza, ma io pur troppo non ho saputo prevalermene. Intanto supplico la generosità di V.S.Ill a sofferire che in altra mia obbligazione, quando avrò un poco di riposo, compirò qualche bagatella da inviarli mentre con tutto l'osequio, baciandoli riverentemente le mani, mi do l'onore di sottoscrivermi. Di V.S Ill. Devot, ed Obbligat, Servi vero Donato Creti, Bologna, li 5 luglio 1717”.

E' Giovanni Piero Zanotti che nel 1739 nella “Storia dell'Academia Clementina di Bologna”, ci informa che il padre di Donato, Giuseppe Creti, nato a Bologna nel 1634, era un modesto pittore quadraturista che, per ragioni imprecisate, era stato costretto a lasciare la sua città trovando rifugio a Cremona, dove aveva lavorato alcuni anni prima di conoscere ed invaghirsi di una giovane cremonese, Anna Caffi, sorella dei pittori Francesco e Ludovico, quest'ultimo marito della pittrice milanese Margherita Volò, sposata nel 1667 nella chiesa milanese di S. Paolo in Compito a Porta Orientale. I Caffi risiedevano nella parrocchia di San Donato ma, un anno prima della nascita di Donato Creti, Ludovico aveva dovuto lasciare in fretta e furia Cremona rifugiandosi nella vicina Piacenza perchè, insieme al fratello Francesco, si era reso responsabile dell’omicidio di un ciabattino, un certo Giuseppe Gattoni, nel novembre del 1669. Francesco, invece, aveva preferito rifugiarsi a Venezia per i presumibili appoggi di cui avrebbe potuto godere avendo sposato Cecilia Meli, nobildonna cremonese figlia di Baldassarre Meli, facoltoso personaggio la cui famiglia apparteneva al patriziato veneziano per un diritto acquisito da un antenato circa un secolo prima. I due fratelli Caffi avevano già intrecciato anche rapporti con l'ambiente artistico bolognese, in seguito all'alunnato svolto tra il 1661 ed il 1662 presso Domenico Maria Canuti, ed a Bologna si era trasferito nel 1672 anche Ludovico con la moglie Margherita, dopo il soggiorno forzato a Piacenza. Ragion per cui sempre a Bologna decise di ritornare nel 1673 anche Giuseppe Creti con la moglie Anna ed il piccolo Donato, riunendo quel ramo familiare, pur se è dimostrato che non abitarono nella stessa casa. Sempre lo Zanotti riferisce che Giuseppe Creti lavorava presso la bottega del Pasinelli e che lì si formò giovanissimo anche il figlio Donato. Canuti, invece, si era trasferito a Roma nel 1672 e “quei discepoli che più gli stavano a cuore, al Pasinelli commise, e raccomandò, onde molto allora la scuola di questo maestro s’accrebbe”. E' pertanto possibile che anche Ludovico, riallacciando vecchi rapporti di conoscenza, si sia aggregato a quella bottega. Racconta ancora Zanotti che Donato: “passò poscia a studiar di far conti, ma perchè dalla natura sollecitato a dipingere, e certo niun mai vi fu, che più il fosse di lui, null'altro face tutto il dì, che disegnar figure su i libri con la penna, e col carbone su i muri. L'accidente fece, che nella medesima casa, ov'egli abitava, dimorasse certo Giordano Raparini pittore, onde a costui la madre, che la inclinazione del figliuol conoscea, e volle secondare, lo raccomandò, perchè nel disegno lo ammaestrasse. Ognuno può immaginarsi con quanto piacere intraprendesse Donato il nuovo studio, e tostamente cominciò a far conoscere l'ingegno, ch'egli avea per quest'arte”. Da questo imparò solo i rudimenti della pittura, mentre studiando assiduamente le incisioni di Guido Reni e Simone Cantarini entrò in contatto, per proprio conto, con la tradizione bolognese più sofisticata. A dimostrazione della sua precocità vi sarebbero in palazzo Monti a Bologna, stando ad una testimonianza settecentesca di Marcello Oretti, “due ghirlande di fiori” della zia Margherita Caffi contenenti all’interno figure di Donato Creti, in una “Le Parche”, nell’altra “Amore che dorme” che farebbero risalire intervento pittorico ad un'epoca precedente il 1683, anno del definitivo spostamento di Margherita a Milano. Spinto da un amico del padre, Girolamo Negri, Donato entrò nello studio di Lorenzo Pasinelli, uno degli artisti contemporanei più importanti. Questo pittore intelligente e raffinato influenzò profondamente il giovane., proponendogli l'esempio di una maniera di bellezza sottile e opulenta. Sono questi gli anni nei quali al Creti fu dato l'affettuoso soprannome di "ragazzino" poiché era il più giovane degli allievi del Pasinelli. È anche da notare il fatto che questi era stato allievo di Simone Cantarini, dalle cui opere Donato si sentiva attratto come da quelle del maestro di lui, Guido Reni. Attraverso queste preferenze di gusto Creti veniva introdotto a una affiliazione artistica con quello che è stato definito il filone classico-idealista della pittura classica bolognese e che risaliva al Domenichino, all'Albani e, più di tutti, a Guido Reni. Ce lo racconta ancora Zanotti: “Stette il Creti un anno in circa presso il Raparini, ma avvenne, che dipingendo suo padre a fresco, con Girolamo Negri, detto Boccia, scolare già del Canuti, e allora del Pasinelli, e capitando Donato ove lavoravano, per alcune cose recare a suo padre, chiese il Negri a Giuseppe se quel ragazzo era suo figliuolo, e quegli rispose di sì, e gli contò quanto fosse inclinato alla pittura, e come in disegnare mostrasse attitudine non ordinaria, perchè invogliossi il Boccia alcuni disegni di Donato, e veduteli poi ne fece le maraviglie, e consigliò Giuseppe a porre il figliuolo sotto la disciplina del Pasinelli, e di più si esibì a far in modo, che questo maestro nella sua scuola il ricettasse. Piacque a Giuseppe il consiglio, e Donato passò alla scuola di Lorenzo”.

L'aristocratico appassionato d'arte bolognese Alessandro Fava, attraverso il figlio Pietro Ercole, che seguiva i corsi di disegno dal vero nello studio Pasinelli, conobbe Creti e ne notò il talento eccezionale. Il conte Fava non solo aprì le porte del suo palazzo al giovane per studiarvi gli affreschi dei Carracci, considerati una tappa essenziale nel processo pedagogico dei giovani pittori bolognesi, ma gli offrì ospitalità e sostegno economico. Creti rimase ospite di Fava per vari anni e per lui realizzò molte opere, tra cui Alessandro Magno minacciato dal padre Filippo di Macedonia ,  conservato oggi alla National Gallery di New York, considerato il suo capolavoro. Sempre a palazzo Fava Creti realizzò nel 1688 quella che può essere considerata la sua prima opera documentata, un Ritratto di fanciullo con due candele in mano, e dello stesso periodo è anche un Autoritratto conservato alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, che ci mostra l'artista all'età di 16 o 17 anni. Del primo decennio del Settecento è l'Adorazione di Magi conservata alla Galleria azionale d'arte antica di Roma, realizzata poco tempo dopo un viaggio fatto a Venezia al seguito del Fava. 

Nel 1713 Donato sposò Francesca Zani, donna di straordinaria bellezza che gli fece spesso da modella, che morì nel novembre 1719, lasciandolo solo con tre bambini: una tragedia che certamente aggravò la sua tendenza alla malinconia. Accanto ai lavori di cavalletto Creti si dedicò anche all'affresco. Testimonianza della sua abilità sono, ad esempio, le volte di tre sale del palazzo bolognese del senatore Ercole Pepoli terminate nel 1710 dove la scena più suggestiva è quella di Alessandro Magno che taglia il nodo gordiano, dipinto "di sotto in su" entro un'inquadratura architettonica con caratteri fantastici che rasentano il surreale. Non mancano nella carriera artistica di Creti anche lavori religiosi realizzati nelle chiese di Bologna e in quelle dei dintorni: l'Incoronazione della Vergine, che dipinse per il santuario della Madonna di S. Luca, e le due grandi pitture (Madonna e s. Ignazio, 1737 e  L'elemosina di s. Carlo Borromeo, 1740), ricche di personaggi ed eseguite con meticolosa precisione, che l'arcivescovo Lambertini gli ordinò per S. Pietro, la cattedrale di Bologna, sono da considerare tra le più belle pitture religiose del periodo. Ma è nelle pitture con soggetti pastorali, mitologici o idillici che Creti esplicò la sua vena più intensamente poetica, quelle in cui  si esprime più liberamente il suo talento di paesaggista e le sue squisite figure si dispongono in gruppi armoniosi, quasi ad arabesco, in questi scenari paesistici. Opere di rara bellezza che hanno spinto Roberto Longhi a definire Creti "primo pittore di Bologna ai suoi tempi nel genere s'intende idillico e delicatamente immaginoso". Ricordiamo i quattro Episodi della storia di Achille  dipinti per uno dei suoi più devoti mecenati, Marcantonio Collina Sbaraglia, oggi al museo civico di Bologna. Altri due importanti mecenati di Creti furono il cardinale Davia di Bologna e il cardinale Ruffo, che nel 1724 lo nominò Cavaliere dello Speron d'oro. Donato Creti è stato anche protagonisti di uno dei primi esempi di rapporti anglo-italiani nel campo del mecenatismo artistico del sec. XVIII , con il progetto promosso dall'imprenditore teatrale e artistico irlandese O. McSweeny con l'appoggio di lord March, dal 1723 secondo duca di Richmond: una serie di quadri, da far eseguire ai migliori figuristi, paesaggisti e quadraturisti italiani, che rappresentassero ciascuno una tomba allegorica dedicata a un grande personaggio della più recente storia inglese, uno dei primi tentativi di creare un contrapposto secolare e patriottico all'iconografia sacra della Controriforma e alla più generalizzata "pittura d'historie" del continente" . Altro patrono di Creti fu il generale Marsili, uno dei principali fautori dell'Accademia Clementina , che nel 1711 gli otto piccole tele rappresentanti ciascuna l'Osservazione di un astro , dove sono raffigurati gli strumenti ottici che il Marsili stesso aveva messo a disposizione all'Istituto delle scienze di Bologna . Lo stesso Creti fu tra i fondatori dell'Accademia Clementina (1709) e partecipò attivamente alle sue attività, fungendo da direttore degli studi sette volte, tra il 1713 e il 1727, e da giudice dei concorsi accademici in numerose occasioni. Nel 1717 fu nominato viceprincipe, mentre era principe lo Zanotti, carica che Creti. ottenne nel 1728. Donato Creti morì a Bologna il 29 gennaio 1749. 

“Egli era profondamente impegnato in quella che possiamo definire la metafisica della forma ideale, vale a dire la ricerca della perfetta forma, in natura – lo descrive David Miller - Per lui l'importante era formulare l'invenzione della figura individuale e delineare il suo concetto in maniera perfetta. Nelle figure ha uno stile straordinariamente rifinito, una precisione di contorno degna di un Ingres e una profonda conoscenza dell'anatomia. Le pose hanno una grazia sottile, delicatamente sfumata, le carni una delicatezza "da porcellana" nella superficie, struttura morbida ma salda i colori riflessi metallici. Ottiene i migliori risultati in situazioni di quiete, di carattere meditativo dove le sue figure raffinate e introverse sembrano avvolte in un ermetico silenzio”.

Nel 2019 sono ricorsi i 270 anni della morte di questo grande artista. Perchè non ricordarne l'origine cremonese, ed i suoi legami, anche familiari, con Ludovico e Margherita Caffi e con altri artisti del nostro tardo barocco, come Giovanni Angelo Borroni, Giovanni Battista Zaist, Angelo Massarotti e Francesco Boccaccino?

 

Fabrizio Loffi


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commenti


Devo

31 gennaio 2022 11:28

"Nel 2019 sono ricorsi i 270 anni della morte di questo grande artista. Perchè non ricordarne l'origine cremonese"

Ma sì figuri se questi ignorantoni