Donato Galli, da responsabile del personale alla Tamoil ad animatore alla Pace. "C'è più vita qui dentro che fuori"
E' cominciato tutto per caso. “Alcuni amici mi hanno proposto di fare qualche recita per gli anziani. Ho accettato e letto pagine di Giovannino Guareschi, uno dei miei preferiti, Edmondo De Amicis e di altri autori. Poi sono arrivati il teatro grazie all'impegno di Emi Mori, il cinema, i concerti e il resto”. Così Donato Galli, 74 anni, ex capo del personale della raffineria Tamoil, si è ritrovato a diventare il coordinatore dell'animazione della Pace, la casa di riposo di via Massarotti.
Da 6 anni, praticamente a tempo pieno, il volontario si occupa degli ospiti, un'ottantina. Li aiuta a ricordare, li fa cantare e giocare, regala loro un sorriso. “Ma soprattutto li ascolto”. Le attività sono molteplici. “Come la visione dei film, i classici (De Sica, Rossellini, Visconti) ma anche i più recenti, proiettati in due momenti distinti perché la curva dell'attenzione si abbassa. O la guida a un'opera lirica, di cui sono appassionato. O, ancora, le conversazioni con le altre due persone che fanno parte del gruppo: la naturalista Cristina Bertonazzi”. Una specie di Piero Angela “che affascina parlando di temi come il ritorno delle cicogne”, e Maria Liliana Manfredini, già preside della Sacra Famiglia, “che, ad esempio, ha tratteggiato la figura di Omobono mettendo in rilievo gli aspetti meno conosciuti del primo santo laico. Sono gli anziani del pubblico a porre domande e offrire spunti di riflessione. C'è una di loro, una bibliotecaria, che parla immancabilmente alla fine degli incontri. Che divertimento”. La Fondazione ha anche un trimestrale interno, 'La Voce della Pace'. “C'era già prima, ma ho cercato di dargli una struttura”.
E' curato da una sorta di redazione volante e ospita i contributi di alcuni degli ospiti. “Tra loro un'ex insegnante, la mitica Mariuccia Moretti, 95 anni. Ci vede poco e non riesce a muovere bene le mani. E così, un paio di volte alla settimana, telefona al figlio Achille, ingegnere, dettando l'articolo come potrebbe fare un corrispondente di guerra. Il figlio prende nota in presa diretta al computer del pezzo, che non ha bisogno di correzioni. Una cosa strepitosa”. Nell'ultimo numero del giornalino, uscito in estate, la professoressa ha raccontato del Ferragosto degli altri, degli antichi romani e di quello della Pace; “Guardiamo la televisione e gustiamo i pranzetti che ci offre la casa”, ha scritto.
Il gruppo di volontari collabora con le due animatrici professionali. “Siamo un team unico, fusi un pochino meglio rispetto a Lgh e A2A”, scherza l'ex dirigente della Tamoil. Conosce uno ad uno i degenti, è diventato un loro amico, forse anche il loro confidente, due giorni alla settimana fa il giro dei piani per le conversazioni individuali. “Tutti sentiamo la necessità di sfogarci, di parlare, scegliere le parole, dare forma ai pensieri. Per qualcuno questa esigenza è più impellente". Ci sono situazioni difficili come le crisi di pianto. "Ma si impara a fronteggiarle. Non c'è altro da fare che ascoltare. No, non è pesante. La malattia, la demenza fanno parte della condizione umana. E qui le si guarda in volto. Guardandole, sai che potresti diventare così anche tu. Si deve avere dentro - ma questo è un regalo, non un merito - il segno della leggerezza. Insegnava Charlie Chaplin: ricordatevi di ridere una volta al giorno”.
La Pace è stata chiusa a causa del Covid il 21 febbraio 2020, prima dell'ordinanza delle autorità sanitarie. Dal mattino dopo, Galli è venuto lo stesso quotidianamente. “Ho visto 35 ospiti portati via dal coronavirus. Tra loro persone carissime, come Enrico Merli, 96 anni, tornato dai campi di concentramento. Diceva: ho sofferto molto, ma non odio nessuno. Questi sono maestri. Oppure don Albino Aglio, il mio padre spirituale, morto per soffocamento, una fine atroce. E don Mario Cavalleri, 104 anni. I suoi compleanni erano indimenticabili, una festa per tutti: arrivava sulla carrozzina con la camicia blu a palme e teneva un discorso. Mi piacerebbe si capisse che è stata dura perché al loro capezzale non c'erano i familiari”.
Donato non ha dubbi: “La vita è cambiata dopo il Covid, non ce ne siamo ancora resi conto. A partire dalle limitazioni: la principale è che prima le porte della struttura erano girevoli, i parenti entravano ed uscivano mentre ora le visite si svolgono su appuntamento, fissato con le educatrici, una volta la settimana e della durata di trenta minuti. Ci mancano le ore al Ponchielli e le passeggiate nel Parco del Morbasco dove, durante la bella stagione, accompagnavamo i pazienti a fare colazione. O i momenti alla Fiera di San Pietro, al mercato e al supermercato per la spesa. Gli incontri più graditi erano quelli con le scuole, i bambini dell'asilo sant'Ambrogio e delle elementari, i ragazzi delle medie e gli studenti del liceo Vida, con i quali il rapporto è strettissimo”.
Alla Pace ci si sta preparando al Natale. Un grande presepio è stato allestito nel salone, altri più piccoli lungo i corridoi. “La vigilia del 25 dicembre un fisarmonicista e un violinista faranno il giro delle camere. E io mi vestirò da Babbo Natale”.
Il volontario dell'animazione si congeda per discutere del numero in pubblicazione del giornalino con il nuovo presidente della Pace, don Roberto Rota, subentrato a Umberto Lonardi.
“Perché faccio tutto questo? La risposta classica sarebbe: perché si riceve più di ciò che si dà. Io la penso così: ho scoperto un mondo, composto non solo dagli anziani ma anche dai loro familiari. Mi piace molto leggere ma, come diceva san Bernardo, i libri non servono a niente se non conducono alla vita. E qui c'è più vita che fuori”.
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