Due capolavori cremonesi di Vincenzo Campi e Bartolomeo Manfredi andranno all'asta a New York da Christie's
Due capolavori della pittura cremonese tra Cinque e Seicento all’asta da Christie’s New York il 23 aprile. Si tratta di un “Ritratto di Gentiluomo” di Vincenzi Campi, valore stimato tra i 60.000 e gli 80.000 dollari, e “Giuditta con la testa di Oloferne” di Bartolomeo Manfredi. Vincenzo era il più giovane di tre fratelli, tutti artisti, che Vasari definì "giovane d'ottima aspettazione". Vincenzo si formò e lavorò al fianco dei suoi fratelli maggiori, Giulio e Antonio, e diventerà una figura cardine nello sviluppo della pittura lombarda verso la fine del Cinquecento. Vincenzo è famoso soprattutto per i suoi dipinti di genere, che sono diventati una caratteristica dell'arte del Nord Italia alla fine del 1500, grazie all’opera di Bartolomeo Passarotti, Annibale Carracci e lo stesso Campi. Ha iniziato la sua carriera, tuttavia, lavorando su commissioni religiose a Milano, Cremona e Mantova, oltre a produrre ritratti per i principali mecenati. Infatti, una delle prime menzioni registrate di Vincenzo si riferisce ai ritratti ormai perduti che fece di Rodolfo II e dell'arciduca Ernesto d'Austria, che visitarono Cremona nell'ottobre del 1563 quando erano ancora bambini, e una delle sue prime opere datate è il Ritratto del 1569 di Giulio Boccamaggiore (Gallerie dell'Accademia Carrara, Bergamo), un quadro che trabocca di realismo, esibendo pennellate caratteristicamente vivaci. È un ritratto che può essere avvicinato a queste tela, un'opera di recente attribuzione, confermata da Marco Tanzi, che risale ai primi anni della carriera di Campi. Tuttavia possiede già un'incredibile immediatezza che richiama le grandi tradizioni dei maestri della ritrattistica lombarda come Giovanni Battista Moroni e Lorenzo Lotto, e un acuto naturalismo che prefigura Caravaggio e la svolta verso il barocco nel XVII secolo.
“Giuditta con la testa di Oloferne” è un tema molto popolare tra gli artisti all'inizio del XVII secolo, con il suo macabro dramma e l'audace eroina che si prestavano perfettamente all’enfasi barocca. In particolare, il capolavoro di Caravaggio del 1602, commissionato da Ottavio Costa e ora alla Galleria Barberini di Roma, ha aperto la strada alla sua rappresentazione da parte di molti dei suoi seguaci, alcuni dei quali, tra cui Bartolomeo Manfredi, vi tornarono in numerose occasioni. Questa tela del Manfredi, qui pubblicata per la prima volta, è stata identificata come opera autografa da Gianni Papi, che la fa datare intorno al 1614-15, o forse anche prima. Precede in modo significativo lo stesso soggetto dipinto dal Manfredi nella Galleria Corsini di Roma, che Papi considera un'opera matura, risalente al 1620 circa.
Bartolomeo Manfredi studiò pittura a Milano, Cremona e Brescia prima di stabilirsi a Roma intorno al 1605. Il suo stile fu così profondamente influenzato da Caravaggio che è stato spesso suggerito che fosse l'assistente del maestro; tuttavia, Caravaggio si oppose sempre al fatto che i suoi studenti imitassero le sue opere e non ci sono prove documentali a sostegno di questa affermazione. Manfredi è indiscutibilmente responsabile della diffusione dello stile di Caravaggio, soprattutto tra gli stranieri come Nicolas Tournier, Valentin de Boulogne e Gerrit van Honthorst che hanno conosciuto il suo stile durante gli studi a Roma.
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commenti
Ornella Righelli
13 aprile 2021 06:45
S"jmpara sempre e ci si arric
chisce
Di Campi conosco anche se in
Modo non approfondito le csratt