Emergono altri documenti e testimonianze iconografiche sull'origine cremonese delle cornamuse. Il dipinto di Antonio e Giulio Campi a San Sigismondo
Incredulità e curiosità hanno accompagnato, sabato scorso, la presentazione del libro di Fabrizio Loffi “Cremona e i McCrimmon. L’incredibile viaggio della cornamusa dal Po alle Highland” edito da CremonaSera, al Palatorrone di piazza Roma. In realtà è da quando Agostino Cavalcabò pubblicò nel 1961 sul “Bollettino Storico Cremonese” il suo saggio sui “pifferai” che, tra il serio ed il faceto, periodicamente si riaffaccia la leggenda di Pietro Bruno, lo zampognaro cremonese che, fuggendo da Cremona, si sarebbe rifugiato in Irlanda presso il costruttore di strumenti musicali McKinnon di cui avrebbe sposato la figlia dando origine alla più famosa dinastia di piper scozzesi. A corroborare questa tesi sono emersi altri documenti ma, a testimoniare che la cornamusa era a Cremona uno strumento di importanza non secondaria, e pari per dignità ai violini, sono soprattutto le testimonianze iconografiche presenti ancora oggi in città. Una, in particolare, segnalata da Roberto Fiorentini e Roberto Codazzi nel volume “Io la musica son”, con le fotografie di Danilo Codazzi, rappresenta una cornamusa con canna melodica e bordone dipinta da Giulio e Antonio Campi tra il 1578 ed il 1580 su una lesena della chiesa san Sigismondo. Il sacco dello strumento è costituito da un tessuto a colori bianco e rosso, gli stessi che costituivano la divisa dei “pifferai” descritti da Agostino Cavalcabò. Si trattava evidentemente di un gruppo di musicisti particolarmente importante per la città, degno di essere rappresentato anche in una chiesa. Già agli inizi del 1400, come documentano le delibere della Magnifica Comunità di Cremona i suonatori di piffero venivano assunti, quattro o cinque alla volta, per ‘pulsare’ i loro strumenti a fiato ogni sabato, al vespro, davanti all’altare maggiore della Cattedrale, oppure sul poggetto del Battistero, come rappresentato nell’incisione del Cipelli della “Festa del Toro” del 1572, e inoltre dovevano intervenire in tutte le feste, nelle solennità, nelle processioni e in tutte le occasioni in cui il Comune era solito fare oblazioni alle varie chiese. Fra le processioni era memorabile quella del Corpus Domini e quella dell’Assunta del 15 agosto, quando i pifferai dovevano precedere il baldacchino. Il Comune forniva ai pifferai sei braccia di panno bianco e rosso con cui dovevano confezionarsi l’abito e il mantello. E quanto questo fosse importante è ricordato anche da quello che successe nell’agosto del 1603 quando il Comune, a corto di panni, alla metà del mese aveva deciso di distribuirli soltanto per le cappe e i cappelli, suscitando le proteste dei pifferai che volevano il necessario per l’abito completo.
Non è quindi contrario alla realtà storica che uno di questi, accusato in patria di eresia, potesse rifugiarsi in Irlanda. Pietro, fuggendo da Cremona come altri prima e dopo di lui, avrebbe portato con sé un nuovo tipo di strumento, più perfezionato rispetto a quello in uso nelle Highland fin dal XIII secolo, ma anche una notazione musicale improntata ad una profonda religiosità che celava tra le note un messaggio fortemente ereticale ispirato al cristianesimo delle origini. Questa notazione, in grado di rivoluzionare la tecnica utilizzata fino ad allora dai piping, sarebbe risultata incomprensibile ai non addetti ed avrebbe costituito il segreto dei MacCrimmon, tramandato di generazione in generazione fino all’ultimo che ne comprese il significato, Simon Fraser. Un esempio di come potesse essere la divisa dei suonatori di cornamusa è rintracciabile in una tempera su tela di un pittore fiammingo degli inizi del XVI secolo conservata nella Pinacoteca Ala Ponzone, raffigurante i Patimenti di Giobbe. Non è escluso che anche quella dei nostri “pifferai” vi assomigliasse.
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commenti
Anna L. Maramotti Politi
17 novembre 2025 18:38
Una riflessione a latere. Le scoperte, che stanno emergendo da studi puntuali , pongono ulteriori domande. Quanto si è debitori alla città di Cremona rispetto al rapporto musica-strumenti? Quanto oggi tali ricerche, riguardanti documentazioni diverse, evidenziano in rapporto alle composizioni musicali? Quanto è necessario individuare, rispetto al comportamento meccanico di tali strumenti, allo scopo di comprenderne la loro natura: identità del suono? Quanto il tema del "gusto" ha inciso sulla decodificazione del "timbro" di ogni strumento"? Oggi le cornamuse identificano un periodo dell'anno (il Natale) e una tradizione che falsamente si ritiene non ci appartenga, un tempo quale forza comunicativa, oltre quella estetica, possedevano? Perchè proprio a Cremona si concentrano artefici di strumenti musicali diversi, oltre i liutai? Altre domande possono sorgere dalla curiosità storica, intellettuale ed estetica, certamente però gli studi di ricercartori attenti e puntuali costituiscono una necessaria base per aprire un dibattito sul rapporto di Cremona con la musica e l'arte della costruzione degli strumenti.
A me, al momento, corre l'obbligo di sottolienare l'importanza del "metodo" di ricerca che sa declinare temi diversi (situazioni storiche, musica, religiosità, iconografia, saper-fare, ecc.) per recuperare un'importante dimensione culturale che identifica Cremona. Il metodo storiografico di Loffi, Fiorentini e Codazzi è atto intellettivo che smaschera false credenze e restituisce un approccio, "veritativo" per comprendere il passato della nsostra Città. Questa è la vera dimensione che compete alla ricerca storica.