I Concerti Brandenburghesi dei Freiburger Barockorchester: in scena l'eterno dialogo tra ragione e bellezza per il concerto inaugurale dello StradivariFestival
Il Caso ha voluto che noi posteri potessimo godere di una raccolta di concerti senza cui saremmo un po’ più poveri, e certo meno sazi, alla tavola imbandita dei grandi capolavori musicali di tutti i tempi.
Il manoscritto completo dei Concerti Brandeburghesi di Johann Sebastian Bach è stato infatti ritrovato fortunosamente solo un secolo dopo la loro composizione, e da allora ha costituito la pietra miliare dei concerti strumentali.
Grazie allo STRADIVARIfestival tali concerti sono stati ascoltati dal numerosissimo pubblico che è stato presente al concerto inaugurale, per la prima volta calendarizzato in primavera, di questa tredicesima edizione che ci accompagnerà fino alla fine del 2025. Un avvio prestigioso, dedicato a un programma di altissima levatura affidato alla Freiburger Barockorchester, una delle formazioni specializzate in prassi esecutiva storica più rinomate a livello internazionale, celebrata per la sua capacità di coniugare rigore filologico e freschezza esecutiva.
Bach è filosofia del numero; in un’epoca dominata dal materialismo e da un consumo rapido della cultura, avere occasioni come questa significa offrire al nostro spirito un raro momento di ritemprante immersione in categorie di verità e bellezza che trascendono il tempo. I Concerti Brandeburghesi appartengono al fecondissimo periodo della permanenza del Maestro a Köthen, in un ambiente calvinista che, pur severo nei confronti delle manifestazioni esteriori dell’arte, non riuscì ad intaccare il saldo luteranesimo di Bach. Anzi, le suggestioni pietistiche rafforzarono la profondità spirituale e l’equilibrio interiore del compositore. Se a Weimar Bach aveva toccato vertici insuperati nella musica sacra, a Köthen - dove l’impegno per la composizione della musica liturgica non era prevalente - poté dedicarsi con fervore alla musica strumentale, dando alla luce capolavori quali, oltre ai Brandeburghesi, la prima parte del Clavicembalo ben temperato, le Suites francesi, le Sonate e Partite per violino solo e le Suites per violoncello solo. Egli stesso, in una famosa lettera, ricordava questo periodo come «il più felice della sua vita».
Nei Concerti Brandeburghesi Bach raggiunge una densità di idee musicali e una varietà di soluzioni formali ed espressive senza precedenti, un vero unicum nel panorama preclassico, inteso come l’epoca precedente ai fasti di Haydn e Mozart. Eppure, ciò che forse più affascina è l’uso rivoluzionario dei valori solistici: ogni strumento emerge non come semplice decorazione, ma come voce autonoma e protagonista di un discorso musicale serrato, ricco di contrappunti e colori timbrici. Solo secoli dopo, con Paul Hindemith e le sue Kammermusiken, si tenterà di raggiungere una simile policromia e ricchezza di texture orchestrale.
Bach, autentico maestro nell’arte di integrare e sintetizzare, riesce a riunire in una visione enciclopedica gli elementi fondamentali della sua civiltà. Dimostra grande libertà nell’utilizzare, a seconda delle esigenze, le principali forme musicali del suo tempo: il concerto grosso, dove un piccolo gruppo di strumenti (concertino) si contrappone all’intera orchestra d’archi; il concerto solistico a tre movimenti, caratterizzato da un’alternanza ordinata tra episodi per solista e ritornelli orchestrali; il concerto per più strumenti, dove nessuno prevale sugli altri; e infine la sonata da camera, sia a tre che a quattro strumenti. Bach spinge oltre l’invenzione, affidando spesso il ruolo di concertino a strumenti a fiato (come nel primo e secondo concerto), una scelta che rivoluziona l’uso degli organici tradizionali. La narrazione musicale, in queste opere, assume la natura di un dialogo dialettico: non una semplice esposizione di temi, ma un “ragionare” reciproco, dove ogni strumento propone, replica, contraddice, in una disputa sonora di altissima intelligenza ed espressività. Qui risiede forse il segreto della loro eterna fascinazione: partiture di straordinaria complessità architettonica, in cui ogni elemento trova il proprio posto in un disegno perfettamente calibrato.
Come infatti osservava Albert Schweitzer, Bach fu, prima di tutto, un architetto del suono. L’intera sua opera è percorsa da una tensione incessante verso una perfezione strutturale sempre più compiuta, in cui la razionalità costruttiva non soffoca, ma anzi esalta, l’emozione artistica.
La Freiburger Barockorchester ha saputo rendere tutto questo con straordinaria aderenza stilistica e intensità espressiva. Grazie all’uso di strumenti d’epoca, a un fraseggio vivo e dinamico, e a una sensibilità straordinaria per il colore e il ritmo, l’ensemble ha ricreato la mirabile architettura sonora bachiana, trasformando l’esecuzione in un sontuoso banchetto per l’intelletto e per i sensi. Ogni concerto è risuonato come una cattedrale sonora, costruita pietra su pietra con minuziosa maestria, sempre animata da un palpito energico e vibrante.
I fiati hanno strappato al pubblico calorosi applausi fin dal primo brano, dando prova di mirabolante bravura nel Trio del Concerto n.1. Dopo l’avvio con il gruppo al completo, ricco di suoni sfarzosi e giocoso nel dialogo tra archi e fiati, l’atmosfera ha virato bruscamente verso la morbidezza e i timbri bruniti del Concerto n.6, dai toni cameristici e raccolti, con le pennellate dei sette eccellenti strumentisti coinvolti nell’esecuzione. Le note di volta del tema iniziale hanno intrappolato il pubblico in un ipnotico labirinto di specchi riverberanti. Festa di echi in frenetica rincorsa che ha raggiunto l’apoteosi nell’Allegro conclusivo, ma sempre nei ranghi della più perfetta sincronia.
Ancora grande assieme di archi e fiati nel Concerto n.4. Di questo ensemble ha colpito la severa stringatezza dell’esecuzione, non in cerca di facili effetti, né nell’estremizzazione delle dinamiche né nelle agogiche sempre calibrate in media res. Di queste composizioni è stata restituita la gioia del divertissement fine a sé stesso, il supremo genio dello Spirito ordinatore che lancia i dadi e dispone con bonaria superiorità sul pentagramma le combinazioni generate dal caso.
Gli sfavillanti melismi della tromba hanno chiuso in gloria la prima parte del concerto.
I multipli del tre hanno imbastito la danza del Concerto n.3. Numero mistico che giunge come in alto così in basso viene declinato nella cellula motivica che così spesso compare in questi concerti. In questo brano è tutto in equilibrio sulla nota di volta, che tanto piacere può regalare all’udito, nel suo indugiare altalenante di moto in luogo, che però ribolle sempre di nuove inaspettate elaborazioni, allontanandosi dal centro di gravità per poi magicamente ritornarvi.
Una parentesi di sospesa libertà nella cadenza improvvisata dal primo violino ha preceduto l’esplosione dell’Allegro finale in cui le scale ascendenti e discendenti hanno tratteggiato infinite rette intersecantesi tra le sezioni dei musicisti. Beethoven se ne ricorderà nella sublime fuga di uno del Quartetto op.59 n.3.
La magnificenza del Concerto n. 5 è stata la preziosa incastonatura in cui ha brillato la gemma della cadenza del clavicembalista Sebastian Wienand, sospesa nel silenzio incantato della sala. Affettuoso ancora nel segno del tre, momento forse culminante sul versante intimistico di questa imponente integrale, il secondo tempo è stato condotto in maniera paritetica dai tre solisti, Sebastian Wienand (clavicembalo), Gottfried von der Goltz (violino e konzertmeister), e Pablo Sosa, in un equilibrio perfetto tra le voci.
Gran finale con il Concerto n.4, in cui il timoniere e primus inter pares von der Goltz ha duellato con le due flautiste Isabel Lehmann e Margret Görner intessendo arabeschi di amabile leggerezza.
Le voci di tutta l’orchestra si sono riunite e inseguite nel fugato del Presto, e hanno condotto alla fine di un percorso mirabolante attraverso i rivoli dell’impareggiabile Bach profano.
Un’esperienza di rara bellezza, salutata da interminabili applausi e acclamazioni, (premiati da uno scoppiettante Telemann come bis) che rimarrà a lungo nella memoria dei fortunati ascoltatori.
Prossimo concerto con l’Ensemble Diderot, sabato 17 maggio alle 21 al Museo del Violino.
Servizio fotografico di Salvo Liuzzi
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