3 luglio 2025

Il 2 luglio di 85 anni fa l'affondamento dell'Arandora Star in cui morirono più di 800 persone. Tra loro 5 cremonesi che il mare non ha mai restituito

Il 2 luglio di 85 anni fa si consumò una tragedia, quella dell’Arandora Star, in cui morirono più di ottocento persone innocenti, la metà delle quali italiane. Tra queste anche cinque cremonesi che è doveroso ricordare e che il mare non ha mai restituito. Erano Carlo Bissolotti, di Soresina; Ettore Feraboli di Pessina Cremonese (eccellente violinista che viveva a Londra dagli anni Venti del Novecento); Gaetano Fracassi di Pescarolo; Battista Piloni di Crema e Patrocco Ribaldi di Cremona. Un evento, quello dell’affondamento dell’Arandora Star, del tutto doloroso, dimenticato per decenni, che tocca e riguarda anche il territorio cremonese, proprio per le vittime che vi furono e che 85 anni dopo merita di essere ricordato e celebrato, almeno e se non altro con queste poche e povere righe. Questi i fatti dell’epoca.  Il 2 luglio 1940 veniva affondata, al largo delle coste inglesi la nave Arandora Star, silurata da un sommergibile tedesco. Trasformata da nave da crociera in nave da guerra, l’Arandora era partita dal porto di Liverpool diretta a un campo di detenzione in Canada e trasportava oltre 1500 persone di nazionalità italiana, tedesca e austriaca, colpevoli solo di trovarsi sul suolo inglese nel momento della dichiarazione di guerra nazifascista alla Gran Intercettata due giorni dopo la partenza, procedeva a luci spente e senza insegne umanitarie a bordo. Fu identificata come nave nemica e affondata. Delle circa 800 persone che vi persero la vita, 446 erano italiani, in maggioranza originari dei Comuni dell’Appennino piacentino e, soprattutto, parmense: molti di Borgotaro, e ben 48 di Bardi. Il 16 agosto 1940 un pastore di Colonsay, un’isola delle Ebridi - luogo incontaminato di scogli, coste frastagliate e baie sabbiose - trovò sulla spiaggia di Eilean nan Ron un corpo restituito dal mare. Era quello di Giuseppe Delgrosso, identificato grazie alla sigla stampata sull’abito: “14700 G.Delgrosso”. Nato a Borgotaro nel 1889, come tanti italiani era partito anni prima dal suo borgo sull’Appennino parmense per stabilirsi a Hamilton, una piccola città nel sud della Scozia, insieme con la moglie e i tre figli. E al pari dei suoi compagni di sventura, Delgrosso non era affatto diventato un potenziale nemico per la Gran Bretagna. Anzi, si sentiva parte di quella terra che lo aveva accolto, prima che i venti di guerra incattivissero gli animi falsando la realtà. Per fortuna, il sentimento della pietà dimora a tutte le latitudini. Infatti, da quel 16 agosto 1940 i cittadini di Colonsay ricordano ogni anno questa tragedia, altrove cancellata dalla memoria collettiva di italiani e inglesi. Si recano sulla spiaggia di Eilean nan Ron, piantano una croce e depositano dei fiori. Ora, questa semplice cerimonia di pace è diventata parte della storia della piccola comunità scozzese, e Giuseppe Delgrosso l’icona dell’emigrante che non ha avuto fortuna.  Dal 2004, i 130 abitanti di Colonsay sono cittadini onorari di Borgotaro e per non dimenticare questa vicenda e onorarne i caduti, la Provincia di Parma, insieme con la Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo, l’Assessorato alla cultura della Regione Emilia-Romagna e la Provincia di Piacenza, si è fatta promotrice di una serie di iniziative che hanno avuto il momento più importante a Liverpool il 2 luglio 2008, quando il sindaco del comune di Liverpool, l’ambasciatore italiano in Gran Bretagna, i rappresentanti dei governi tedesco e austriaco hanno scoperto una lapide in ricordo delle vittime dell’Arandora Star, comprese ovviamente le vittime cremonesi. La città di Liverpool, nel 2008 “Capitale europea della cultura“, grazie all’impegno del Console d’Italia a Liverpool Nunzia Bertali si è offerta di ospitare la manifestazione e di inserirla nelle iniziative che vogliono richiamare i valori europei della pace e della integrazione culturale. Per la prima volta  un’amministrazione pubblica inglese riconosceva ufficialmente la vicenda dell’Arandora Star. Ottantacinque anni dopo,, mercoledì 2 luglio, a Bardi, borgo dell’Appennino Parmense che ebbe ben 48 vittime, l’anniversario è stato ricordato con una celebrazione che si è tenuta nella chiesa del cimitero e che ha dato avvio alla Giornata degli emiliano romagnoli nel mondo. Una cerimonia intensa, con la partecipazione di numerose autorità. Per l’occasione sono giunti messaggi anche da parte del ministro Tommaso Foti e dell’onorevole Vincenzo Amich, estensore della proposta di legge per una giornata nazionale dedicata alla memoria degli italiani (compresi i cinque cremonesi) morti il 2 luglio 1940 e bordo di quella nave che oggi diviene simbolo di unità, di memoria e di pace. Con l’auspicio che anche a Cremona, o in provincia, quella pagina di storia venga adeguatamente ricordata. Come sarebbe doveroso ricordare anche un’altra drammatica pagina, quella di una delle  peggiori tragedie della storia militare italiana, nonostante non se ne senta quasi mai parlare, vale a dire la tragedia del piroscafo Oria, che il 12 febbraio 1944 affondò portando con sé oltre 4mila prigionieri italiani. Una tragedia che parla anche cremonese, perché tra i naufraghi vi erano anche Ginetto Boni di Spineda e Guido Roseghini di Solarolo Rainerio. Come si legge sul sito dedicato alla commemorazione di quel drammatico evento, “la nave di 2000 tonnellate, varata nel 1920, requisita dai tedeschi, salpò l’11 febbraio 1944 da Rodi alle 17,40 per il Pireo. A bordo più di 4000 prigionieri italiani che si erano rifiutati di aderire al nazismo o alla RSI dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, 90 tedeschi di guardia o di passaggio e l’equipaggio norvegese. L’indomani, 12 febbraio, colto da una tempesta, il piroscafo affondò presso Capo Sounion, a 25 miglia dalla destinazione finale, dopo essersi incagliato nei bassi fondali prospicienti l’isola di Patroklos. I soccorsi, ostacolati dalle pessime condizioni meteo, consentirono di salvare solo 37 italiani, 6 tedeschi, un greco, 5 uomini dell’equipaggio, incluso il comandante Bearne Rasmussen e il primo ufficiale di macchina”. “L’Oria era stipata all’inverosimile” prosegue la narrazione “e aveva anche un carico di bidoni di olio minerale e gomme da camion oltre ai nostri soldati che dovevano essere trasferiti come forza lavoro nei lager del Terzo Reich. Su quella carretta del mare, che all’inizio della guerra faceva rotta col Nord Africa, gli italiani in divisa che dissero no a Hitler e Mussolini vennero trattati peggio degli ignavi danteschi nella palude dello Stige: non erano prigionieri di guerra, di conseguenza senza i benefici della Convenzione di Ginevra e dell’assistenza della Croce Rossa. Allo stesso tempo, poi, il loro sacrificio fu ignorato per decenni anche in patria”. Tra le vittime del Piroscafo Oria, come già anticipato, appunto, due cremonesi: Guido Roseghini di Solarolo Rainerio e Ginetto Boni di Spineda (al quale nel 2014 proprio a Spineda è stata dedicata una lapide), nati entrambi il 27 giugno 1923, e portati via da un tragico destino all’età di appena 21 anni.  Anche a questa pagina di storia sarebbe bene che prima o poi, chissà, venisse dato il doveroso risalto. 

Eremita del Po

 

Paolo Panni


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