Il Coro Polifonico in gran forma al Ponchielli con la Messa op.20, capolavoro ritrovato del compositore di Paderno. Con loro anche il Bazzini Consort, sul podio Federico Mantovani
Una storia tutta cremonese quella raccontata dalla rassegna Casa Ponchielli. Sul palco del teatro cittadino dedicato all’omonimo compositore, è infatti risuonata la meravigliosa Messa opera 20, unica composizione sacra di Amilcare Ponchielli giunta ai giorni nostri. Il Bazzini Consort ed il Coro Polifonico Cremonese guidati da Federico Mantovani, hanno riproposto questa interessantissima composizione a poco più di vent’anni dalla riscoperta e dall’edizione del musicologo Pietro Zappalà, membro del Centro Studi Ponchielliani. E fu proprio allora, quando al timone del Polifonico c’era Raùl Dominguez, che avvenne il “miracolo”. “Accadde una vera magia. Pensate vivere da corista la rinascita di un pezzo del genere, potendo lavorare con un coro istantaneamente dopo aver approntato un frammento della trascrizione del manoscritto, risentire quella musica perduta e ritrovata per la prima volta. Questo sarebbe proprio il sogno di ogni musicologo, il modo ideale di fare il nostro lavoro” aveva commentato proprio Zappalà alla conferenza stampa di inaugurazione della mostra in teatro. Immancabile, anche stavolta, la sua presenza proprio fra le file dei bassi nel coro. Nel 2000 il Coro Polifonico infatti incise proprio sotto la guida del direttore argentino questa messa, offrendo di fatto agli appassionati l’unica incisione attualmente in circolazione dell’opera.
Dalle prime note del Kyrie è emerso il grande lavoro che ha fatto il coro cremonese che, lo ricordiamo, non è un coro di professionisti. Questo a dimostrazione del fatto che talvolta con grande passione e dedizione si possono raggiungere risultati importanti, con una giusta guida. Federico Mantovani porta solidamente il proprio coro ed il Bazzini Consort di Brescia attraverso le parti di questa composizione che, non sarà sfuggito ai più attenti, profuma di opera lirica in ogni sua parte. Lo sforzo del compositore cremonese ha permesso di cesellare momenti di incredibile bellezza fra fughe serrate e momenti di ampio respiro. Bene la prova del terzetto solistico composto dal tenore Matteo Falcier (che in città abbiamo già apprezzato nel Trovatore del 2021), il baritono Benjamin Cho
ed il basso Federico Domenico Eraldo Sacchi. Ponchielli scrisse questa messa nel Natale del 1882, poco dopo aver assunto l’incarico di maestro di cappella nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo, “sfornando” questa prima grande composizione nel suo nuovo incarico. Dopo il Kirie, il monumentale inizio del Gloria segna il passo su un nuovo scoglio che espone principalmente le parti vocalmente più acute, sopratutto nei tenori. Davvero buona l’interpretazione del Laudamus Te di Sacchi, profondo, elegante ma mai sgolato. Menzione invece per la grande massa vocale e strumentale nel Credo, compatta e precisa nell’unico frammento della partitura ad essere stato “appiccicato” alla composizione. Infatti Amilcare Ponchielli “ricicló” un Credo scritto vent’anni prima per sole voci virili, adattandolo al coro misto (senza però riuscire a nascondere del tutto la vocazione maschile del brano). Niente di nuovo: molti compositori recuperavano pagine da altre opere per concludere alcuni brani. Alcuni esempi eclatanti sono fra le opere di Rossini e Donizetti.
Ottimo anche il Benedictus di Benjamin Cho, intenso e ricco di armonici. Una garanzia anche il tenore Falcier, che ha chiuso lo spartito con il titolo finale eseguendo un Agnus Dei di grande qualità espressiva e musicale dopo una serata davvero maiuscola.
Federico Mantovani stacca tempi comodi ma non noiosi, prediligendo l’espressività al virtuosismo. La giovane orchestra Bazzini Consort, da pochi anni in attività ma già affermata per la qualità del proprio organico, ha sostenuto una buona prova, mostrando un bel suono “italiano”. Particolare menzione alla sezione degli ottoni che ha davvero brillato per precisione ed articolazione nei frequenti ed esposti attacchi “corali”.
Un concerto che doveva essere imperdibile, sopratutto in virtù del frequente lamentarsi diffuso sul “non c’è mai niente a Cremona” o “che schifo la trap in Piazza Duomo”. Ecco, ci si sarebbe quindi aspettato un teatro colmo, vista l’importanza e la qualità (oltre che lo sforzo economico) di un evento di questa portata. Come ha detto Riccardo Muti pochi giorni fa a Piacenza in occasione del concerto per Villa Verdi: “Bisogna educare le nuove generazioni a fare musica, ad ascoltarla, perché solo così il mondo potrà essere migliore”. Dobbiamo allora sperare che gli “eroi” di Casa Ponchielli con il suo direttore artistico Federica Zanello e del Centro Studi Ponchielliani non si scoraggino, perché lo sforzo incredibile operato per costruire una serata come questa aiuta Cremona e i cremonesi, anche quelli che non sono venuti, a scrivere nuove pagine di storia recuperando frammenti importantissimi della nostra cultura locale. La città di Monteverdi, di Aldo Protti, di Giuseppe Cremonini Bianchi e dei tanti altri che come lo stesso Amilcare Ponchielli hanno portato alto l’onore di Cremona nel mondo, merita cittadini orgogliosi, grati e partecipi quando le istituzioni vincono una sfida come quella di riscoprire una partitura dimenticata e portarla a nuova gloria. Istituzioni cui in questa occasione non può non andare un grande plauso e una preghiera: non fermatevi, continuate a farci ascoltare le meraviglie ritrovate del nostro Amilcare Ponchielli!
foto Gianpaolo Giarneri/Studio B12
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