Il sacro diventa "teatro", il Vespro della Vergine al Monteverdi Festival. Sale l'attesa per la straordinaria rassegna
Fu procedimento antico trasformare il ‘sacro’ in teatro; in azione rappresentata. Mutare le parole in azione: per avvicinare il ‘separato’ , che significato della parola ‘sacro’, in esperienza diretta per l’umano. Basti pensare a quei primi vagiti teatrali voluti dai monaci altomedievali, attraverso la rielaborazione della mirabile sequenza pasquale Victimae Paschalis Laudes , per raccontare la Resurrezione di Cristo e lo stupore delle donne e degli apostoli davanti all’Evento di sempre.
Un procedimento che in Claudio Monteverdi e nel suo Vespro della Beata Vergine da concerto composto sopra canti fermi, a sei voci e sei strumenti (Venezia 1610) trova la sua apologia. Il suo compimento. La sua glorificazione più completa e più splendente. L’imponente opera sacra è il secondo ‘spettacolo’ della locandina del Monteverdi Festival (Sabato 7 giugno ore: 18, Cremona Chiesa di San Marcellino, Jordi Savall – direttore - Capella Reial De Catalunya – Le Concert De Nation).
Il Vespro è un grande palcoscenico del teatro ultramondano. Creato, non solo per sfruttare le ‘meraviglie’ architettoniche della basilica marciana di Venezia e la prassi esecutiva del tempo, ma per mostrare un ‘belvedere’ spirituale sull’eternità; con mezzi ‘umanissimi’.
L’invocazione iniziale, Signore vieni presto in mio aiuto e il successivo Gloria Patri, sono rivestiti infatti con le medesime note strumentali dell’inizio di Orfeo; opera teatrale scritta solo tre anni prima (1607) a Mantova. La continuità tra sacro e teatrale è così perfetta. Sancita, oltremodo, dal profluvio e fragoroso moto ascendete della melodia sostenuto dall’ampio uso di tutti gli strumenti a fiato, a legno e a ottone. Arricchita, contestualmente, dal tempo ternario tipico della danza da teatro sull’acclamazione di gioia: Alleluja.
E’ altresì teatrale il mottetto Duo Seraphim clamabant. Il canto di quelle creature angeliche, che vedono in ogni istante la divinità, è affiancato da un terzo serafino che spunta quando le parole del mottetto dicono: Tres sunt. Un’apparizione di sapore drammaturgico. Un’epifania musicale che si consuma in un rimando continuo tra i tre tenori che sono sulla scena con decorazioni vocali fatte di ritmi puntati e note ribattute.
Sembra poi di essere immersi in una selva dell’Arcadia, antico luogo mitologico e teatrale, nel successivo mottetto Audi, coelum verba mea. Là dove i pastori cantano il loro amore per le ninfe chiedendo l’intervento delle divinità. Le loro voci rimbalzano in una continua eco tra vaghe colline selve oscure. Le frasi si ripetono uguali nella loro coda finale. Nello stesso modo le religiose parole umane rimbalzano prima di essere ascoltate dal Cielo.
La Sonata sopra Sancta Maria è un altro capolavoro di teatralità musicale. All’austero tema liturgico della voce di soprano, si alterna l’orchestra che si sbizzarrisce in una serie di frammenti musicali che alternano musiche di danza; ritmi binari si rincorrono a quelli ternari. Gli archi dialogano con gli ottoni. Monteverdi disegna una partitura per il sacro che sarebbe perfettamente aderente ad una delle vicende mitologiche raccontate sul palcoscenico. Con scansioni di marcia trionfale per accogliere eroi scesi dall’Olimpo.
Per chiudere il poderoso Magnificat. Dopo l’inizio, in stretto stile polifonico classico con tutte le voci, ecco il sottile anima mea Dominum, Una voce unica. Di donna. Disegna poche note, quasi dolenti, come fosse il canto di una amante che chiede di essere ascoltata. Una preghiera semplice. Umile, di un’Arianna abbandonata dal suo Teseo su di un’isola infelice. Una preghiera di ringraziamento quella del Vergine in frammentata da incredibili ritornelli strumentali che potevano inseriti, per vivacità e colore, nei canti dei Feaci nel Ritorno di Ulisse in Patria come nelle scabrose ore finali della vita del filosofo Seneca sotto l’imperatore romano Nell’incoronazione di Poppea.
L’Amen finale. Ha le movenze di un coro dei pastori che lasciano i monti e le valli per celebrare l’amore di Orfeo ed Euridice. E la gloria di Dio.
Musicologo
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