La melagrana di Piacenza come la “grande mela” di New York? Comolli lancia l’idea di un brand che identifichi il territorio piacentino
«Piacenza oggi non ha un brand che la identifichi. Ma ha tutte le caratteristiche per dotarsi di un marchio identitario. E’ arrivato il momento di farlo. Una città ha scelto una “mela” (il riferimento è chiaramente New York) e noi a che cosa possiamo ambire?». L’esortazione è stata lanciata da Giampietro Comolli, presidente del Comitato Tratta Piacenza Via Francigena pro-Unesco, nel corso del terzo e ultimo incontro del ciclo organizzato nella Biblioteca del Convento dei Frati Minori sul tema della Via Francigena piacentina, nell’ambito del ricco programma messo in campo dalla Comunità francescana e dalla Banca di Piacenza per celebrare i 500 anni dalla posa della prima pietra di Santa Maria di Campagna.
E il manager piacentino, con un finale a sorpresa, ha lanciato l’idea: il logo di Piacenza potrebbe essere una melagrana (con coroncina a ricordare il nostro Gotico) tagliata in modo che siano per visibili i semi al suo interno, i quali a loro volta potrebbero simboleggiare le tante eccellenze piacentine, come per esempio i nostri palazzi storici. «Il melograno - ha spiegato il dott. Comolli - è una delle prime piante arrivate a Piacenza, fin dai tempi degli Etruschi. Il suo frutto è vitale e sanguigno e può essere espressione di abbondanza, nutrimento, passione, energia, pace, fraternità cristiana fra i popoli».
Il relatore - presentato da Roberto Tagliaferri, responsabile del settore Economato e sicurezza della Banca - ha dapprima ricordato i principali temi trattati nei precedenti incontri: la Via Francigena e le sue varianti in epoche antiche e recenti, le Vie Romee e il ruolo di crocevia europeo, i pellegrini cristiani, i viandanti, i commercianti e i banchieri; per non parlare dei refettori dei monasteri, della fondazione di chiese di ordini e nazioni diverse, delle ricette del pellegrino, della nutrizione nei secoli a Piacenza, del valore antico e dell’identità turistica. Incontri che sono serviti a capire come la localizzazione del borgo, castrum, urbe Piacenza fosse strategico ad un mondo antico, romano, cristiano, longobardo, imperiale e delle diverse signorie, fino al “non causale” impegno di “Primogenita” del nascente Stato italiano. Il dott. Comolli aveva dimostrato quanto fosse stato importante il valore, il lavoro, la fede, l’ospitalità, l’accoglienza, la costruzione di monasteri e chiese, la fondamentale azione “creativa e produttiva” dei refettori cristiani per formare una comunità locale basata su scambi e contaminazioni: dalle culture popolari diverse alla formazione di dialetti diversi, dalla scelta di vivere sul “sasso” piacentino, fino alla quantità e forza diffusa nella produzione di cibi e vini orientati alla conservazione; dal latte al formaggio grana stagionato, dalle ciliegie alla mostarda, dalle cipolle, all’aglio, alla giardiniera, fra burro e olio di oliva, fra strutto e insaccati.
«Tutto questo bagaglio culturale, etico, morale di vita antica dei piacentini - ha sottolineato il presidente del Comitato Tratta Piacenza - può diventare un brand identity di tutta la città. Può essere spunto di un marchio, disegno di una strategia comunicativa che solidifichi concetti e impegni, produzione e sviluppo, oggi come domani». Il relatore ha quindi insistito sul concetto che nei secoli passati - soprattutto nel primi secoli della Cristianità, poi nei primi secoli del secondo millennio con crociate, cardinali e vescovi, pensatori e medici, giuristi, santi e templari, e ancora con l’aggregazione delle fiere europee dei cambi monete del XVII secolo - «Piacenza ha segnato la vita locale di un ampio territorio, prevalendo su terre confinanti e limitrofe». San Corrado e santa Franca, san Folco e sant’Antonino, Guglielmo da Saliceto, Vicedomini, Jacopo da Pecorara, Papa Gregorio X, cardinali come Diana, Landi, Cavazzi, Alberoni, Casaroli, il giurista Ariprando e tanti altri hanno portato in giro la piacentinità. «Questo patrimonio culturale va recuperato», ha osservato il dott. Comolli, domandandosi se la Via Francigena possa essere lo stimolo di sintesi e di sistema. «Il fatto che il cibo a Piacenza sia stato un segno di pace e di accoglienza verso tutti i popoli e le genti transitate (dai liguri, agli etruschi, dai celti ai longobardi) vorrà pur dire qualcosa», si è risposto il relatore affermando che «siamo anche noi piacentini frutto di scambi e contaminazioni che ci hanno reso risparmiosi, riservati, attenti, un po’ distaccati, individualisti ma anche generosi, non attaccabrighe».
«Ebbene - ha concluso il dott. Comolli - tutto questo riusciamo finalmente a disegnarlo e trasferirlo in un unico logo-brand che vada bene a tutti con lo stesso linguaggio, al posto delle attuali decine di app, marchiettini, campanili, rioni, associazioni e chi più ne ha più ne metta?». A seguire la proposta anticipata all’inizio: la melagrana di Piacenza come la mela di New York?
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