Le parole del vescovo Napolioni: "Estate sia tempo di ascolto e riflessione. A settembre nuovi progetti di sinodalità e cambiamenti per le parrocchie. La scommessa: una Chiesa che cammina insieme"
L’immagine è viva nella memoria di tutti. È il 24 dicembre del 2024 quando papa Francesco apre la Porta Santa presso la basilica di San Pietro, in Vaticano. Un gesto storico, come lo è il 29 dicembre a Cremona: l’apertura del Giubileo a livello diocesano da parte del vescovo Antonio Napolioni, con il pellegrinaggio alla Cattedrale di Santa Maria Assunta. Inizia l’Anno Santo, fatto di mesi intensi che a livello mondiale e locale portano con sé grandi cambiamenti. Di giorni ne sono trascorsi parecchi, ma siamo ancora «in cammino», sia verso Roma, sia verso le chiese giubilari di casa nostra.
L’anno giubilare è in parte trascorso, ma la diocesi ha ancora tanta strada da percorrere accanto al suo vescovo, per il quale non è ancora tempo di bilanci, nel senso classico del termine: "Dobbiamo evitare la tentazione di fare bilanci quantitativi – afferma monsignor Napolioni – un vizio che spesso abbiamo. Non dobbiamo cadere nella tentazione di contarci per poi concludere con un commento sui numeri: se a quella iniziativa hanno partecipato in pochi o in molti. Si tratta, invece, di tracciare a questo punto un bilancio spirituale di questo anno giubilare".
Che cosa significa?
"Non certo tracciare un bilancio meno incarnato. Significa accogliere il dono ricevuto e la possibilità di spartirlo con tanti, con sempre più persone. È bello aver vissuto il Giubileo più volte e in tante modalità diverse: con gli adolescenti, con il popolo di Dio; nello scorso marzo averlo vissuto nella fragilità di Papa Francesco e ora nella gioia di conoscere e seguire Papa Leone. Poi lo abbiamo vissuto in diocesi con attenzioni specifiche".
Un filo comune ha legato tutte queste celebrazioni ed esperienze.
"Le celebrazioni, così importanti, ci hanno fatto sentire uniti. Questo è il grande insegnamento e messaggio che ne abbiamo ricavato: essere uniti per ricevere la Speranza, la vera fonte. E, dopo averla ricevuta, di nuovo uniti per poter essere anche noi portatori di Speranza, di quell’acqua viva di cui il mondo è assetato. Questa ricerca di speranza la vediamo e la sperimentiamo presso i nostri santuari, ma anche lungo le strade. Le occasioni per donarla sono davvero infinite".
Dunque c’è poco da fermarsi, il cammino è ancora lungo.
"Il popolo di Dio cammina, anche se ogni tanto ha bisogno di fermarsi per non inciampare e cadere. Ma il Giubileo non è finito e, a mio parere, non finirà nemmeno il 6 gennaio 2025, perché il “pellegrinaggio di speranza” è indispensabile in questo nostro tempo".
Bisognerà dunque usare bene anche il tempo estivo. Quali suggerimenti si sente di dare?
"Siamo tutti proiettati in un’estate che magari chi ha più possibilità ha potuto programmare e riempire di viaggi o svaghi. Ci sono però tante persone che, invece, sono malate, oppure sole o in difficoltà economica e quindi costrette a vivere nella calura della pianura e nella solitudine della casa. Allora la prima indicazione è quella di vivere l’estate con attenzione reciproca, regalandoci un tempo di sosta. Siamo talmente immersi in giornate frenetiche che non riusciamo ad avere speranza, perché non ci fermiamo ad ascoltare la Parola di Dio, a fare silenzio in noi stessi, a leggere con un po’ più di pacatezza e sapienza i fatti che accadono e quindi anche a creare un clima di fraternità".
Il mese di settembre segnerà il tempo della ripresa. Ci saranno novità?
"Con la fine dell’estate ripartono le attività degli oratori, dopo il Grest e il Giubileo dei giovani. Proseguirà il cammino di fede che per diverse comunità significherà l’accoglienza di nuovi parroci. Si svilupperanno progetti secondo l’ottica della sinodalità. Si aprirà un anno per certi versi un po’ di transizione, perché anche i cambiamenti, che ho condiviso e pensato per la vita della diocesi, imporranno a tutti, me compreso, di rimetterci in ascolto".
Parlava di «sinodalità»: questa parola si è fatta davvero stile di vita nelle comunità locali?
"Il Sinodo, dopo il Concilio, è stato voluto da Paolo VI come Sinodo dei vescovi. Poi papa Francesco ha coinvolto sempre più il popolo di Dio affinché si parlasse non solo di un evento che produce magari un testo programmatico, come è avvenuto in passato anche per la Chiesa diocesana, ma di un evento che si trasformasse in uno stile di vita. Quindi la sinodalità è oggi un modo di essere attenti gli uni agli altri. Tutte le vocazioni sono coinvolte, debbono essere attente alla realtà".
Un importante cambiamento di prospettiva.
"Un frutto importante della sinodalità, che stiamo cominciando a vedere e continueremo a coltivare, è proprio la corresponsabilità nelle comunità, attorno al parroco e ai sacerdoti in genere. Assumono un ruolo da protagonisti i laici, gli adulti, i consacrati, chi ha una sensibilità specifica verso la carità piuttosto che verso lo sport. La corresponsabilità non significa essere più efficienti, ma decifrare meglio la realtà. Lo credo necessario. Da soli noi preti non riusciamo a leggere attentamente la realtà: abbiamo bisogno dello sguardo femminile, dello sguardo locale, delle generazioni giovani. Più volte ripetiamo di non progettare per i giovani o per le persone in difficoltà ma con i giovani e con chi è in difficoltà. Questa è la scommessa su cui punteremo: quella di continuare a essere una Chiesa che cammina insieme in un discernimento comunitario costante. Il verbo da usare è aprire: aprire cammini, finestre, orecchie e cuore al mondo".
la scommessa: una Chiesa che cammina insieme
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