17 aprile 2025

Quando in Duomo si celebrava "L'Ufficio delle Tenebre" e in Presbiterio c'era la "Sagitta"

Tra i riti della Settimana Santa ormai non più praticati, c’era “L’Ufficio delle Tenebre”. Al venerdì Santo veniva posto nel Presbiterio la “Sagitta” (un candelabro triangolare a quindici braccia) su cui venivano posti quindici ceri e accesi. Fra i riti liturgici soppressi dal Concilio Vaticano II vi è anche L’Ufficio delle Tenebre, che s’inseriva in un periodo centrale del calendario cristiano: la Settimana Santa. Il rito consisteva nella recita del Mattutino e delle Lodi previste per il Giovedì, il Venerdì e Sabato Santo; per via della lunghezza, l’Ufficio veniva anticipato alla sera del giorno precedente, e la recita culminava nell’oscurità. L’Ufficio delle Tenebre era accompagnato dallo spegnimento progressivo delle quindici candele,. Alla fine di ciascuno dei nove salmi del mattutino e dei cinque salmi delle lodi, il cerimoniere spegneva una candela, partendo dal basso e alternando destra e sinistra, fino a rimanere con una sola candela accesa in cima alla sagitta. All’approssimarsi della fine dell’Ufficio, tutte le altre luci della chiesa, incluse quelle dei sei candelabri dell’altare maggiore, venivano ugualmente spente, per fare in modo che rimanesse soltanto un’ultima candela, tremolante nella notte. Dopo il Benedictus, anche quell’ultima luce veniva tolta dal candelabro, e nascosta dietro all’altare. La chiesa piombava allora nella più completa oscurità: «per cui verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte» (Luca 1:78–79). È proprio nel momento di massima oscurità che qualcosa, nella chiesa, accade. Improvvisamente, un rumore assordante di libri e mani che sbattono contro i banchi invade lo spazio: è lo strepitus, il fragore che rievoca il terremoto della morte del Signore: «ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono» (Matteo 27:51). Dopo lo strepitus, la candela viene nuovamente mostrata un’ultima volta prima di essere definitamente spenta: «quella luce risplende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta» (Giovanni,1:5). Nel silenzio, i fedeli abbandono la chiesa.

(Nella fotografia la Sagitta del nostro Duomo fino a qualche tempo fa conservata nella stanza al pian terreno del Torrazzo)

 

Luigi Silla


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