Quando le collegiali della Beata Vergine convinsero l'imperatore Giuseppe II a non chiudere l'istituto
Le due angoliere sono ai lati di una porta e racchiudono, nel vero e proprio senso della parola, una storia secolare, una storia, incredibile, unica, una storia che viene raccontata da Madre Anna Maria Longoni, preside del Collegio Beata Vergine di Cremona. Quelle angoliere contengono alcuni piccoli oggetti di uso quotidiano, una tazza, un ventaglio o un pettine, oggetti che sono stati lasciati dentro i due mobili da qualche collegiale fin dai tempi in cui Lucia Perotti, che oggi riposa nella chiesa di San Marcellino proprio di fronte all'ingresso principale della scuola, decise di fondare il Collegio Beata Vergine nel 1610. Il messaggio raccontato da quegli oggetti trova continuità grazie a Madre Anna Maria e alle sue sorelle, perché dentro quelle angoliere viene racchiuso il senso di una scelta che, da allora, ha trovato spazio nei secoli. Lucia Perotti era una persona forte di scelte estremamente progressiste per il XVII secolo, scelte giudicate spesso fin troppo aperte rispetto ai parametri di quegli anni, ma Lucia guardava avanti e aveva capito che, in una istituzione religiosa ai tempi solo femminile, diventava fondamentale vedere il ruolo di una donna in maniera molto differente rispetto alla visione di allora.
Il 1610 non è una data casuale, ma rappresenta l'anno successivo al quale, dentro il Duomo di Cremona, Lucia ebbe una visione dove, affidandosi alla Madonna, le veniva chiesto di continuare nella sua scelta come istitutrice per le ragazze, scelta da portare avanti insieme al padre gesuita Giovanni Mellino. Una decisione che avrebbe dato origine ad un ruolo centrale per le donne, ruolo che le vedeva come centro di una famiglia grazie ad una istruzione che avrebbe reso le ragazze del Collegio in grado di fare scelte in maniera indipendente ed autonoma. “Il vero, il buono e il bello” degli argomenti da studiare rappresentava il programma che la scuola di allora avrebbe dovuto seguire, perché una volta in cui sono chiari i passaggi fondamentali di una istruzione il resto viene di conseguenza o come conseguenza di quei valori che erano alla base dell'istituzione scolastica.
Nel 1770 l'apertura culturale del Collegio porta allo studio della lingua francese, il 14 luglio 1789 è ancora lontano, ma è un passo avanti eccezionale, una scelta didattica che darà origine a quella incredibile storia che rappresenterà un passaggio fondamentale fin dal 1610. Siamo nel 1784, l'imperatore Giuseppe II d'Asburgo-Lorena entra in città; figlio dell'Imperatrice Madre Teresa d'Austria è da solo al potere da quattro anni ed ha una visione diversa da quella di sua madre per la gestione dell'impero. A Cremona decide innanzitutto di far costruire una strada, la via Giuseppina a lui dedicata, che doveva fungere come collegamento con Parma ma, se da una parte le sue scelte sono spesso rivolte al benessere dei cittadini, la sua visione verso le istituzioni religiose, soprattutto di clausura, è quella di portarle alla cessazione.
In città il mormorio, se non l'opinione ormai diffusa, è univoco, l'imperatore chiuderà il Collegio Beata Vergine seguendo i parametri che spesso applicava verso altre istituzioni religiose, bloccando di fatto quel percorso di emancipazione voluto da Lucia Perotti. L'Imperatore si reca in visita al Collegio, sullo scalone centrale lo aspettano la Superiora Madre Teresa Crotti con alcune colleghe, Giuseppe II è un uomo pragmatico e poco avvezzo a cambiare idea, parla, o meglio interroga, la Superiora per capire cosa rappresentava quella istituzione. Giuseppe II ascolta Madre Teresa Crotti fino a quando sullo scalone non compare un gruppo di adolescenti con la divisa che le identifica come appartenenti al Collegio. Le ragazze hanno di fronte l'Imperatore ma non sembrano per nulla intimorite da quella figura e gli chiedono di poter raccontare la loro esperienza educativa tra quelle mura. Il colloquio avviene in francese, lingua che l'Imperatore parla molto bene ma che le ragazze conoscono altrettanto bene, così come conoscono la storia di quell'Europa in pieno fermento e di come riescano ad esprimersi con facilità anche in latino.
Giuseppe II rimane impressionato da quel gruppo di giovanissime che si rivolgevano a lui discutendo tranquillamente in due lingue diverse dall'italiano, comincia ad interessarsi e a visitare la struttura ma, da uomo con responsabilità imperiali, vede che i fondamenti educativi di quel gruppo di ragazze sono radicati grazie ad un insegnamento diverso da quello che normalmente aveva ascoltato nelle altre istituzioni religiose. Parla con le insegnanti e le allieve e chiede di prendere visione del programma di studio rivolto alle collegiali, Giuseppe II probabilmente vuole capire come un metodo di insegnamento potesse avere una visione così avanzata rispetto a quegli anni. “Il vero, il buono e il bello” impressionano a tal punto l'Imperatore da farlo optare per il mantenimento del Collegio come scuola per la formazione delle ragazze con una sola richiesta: quella di far uscire le collegiali per visite in città. Qualche giorno dopo, mentre le ragazze della Beata Vergine, in carrozza, si stavano dirigendo verso la chiesa di San Sigismondo, Giuseppe II con il suo corteo le incrocia e, dalla sua carrozza riconoscendo la divisa vista pochi giorni prima, farà loro un cenno di compiaciuta soddisfazione nel vedere di come la sua richiesta avesse preso forma. Una storia nella storia che, partendo da quelle angoliere, da secoli racconta una scelta formativa voluta e sviluppata grazie ad un percorso di emancipazione impensabile nel XVII secolo.
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