2 aprile 2021

Suor Carla, la Sacra Famiglia e quell'inferno per gli albini africani, il miracolo di aver costruito un rifugio sicuro e un futuro senza paure

Sulla parete del suo studio campeggiano due fotografie: quella di Jacqueline, Veronica, Rahel quando erano piccole e quella di loro tre ora, studentesse delle superiori. Suor Carla Rebolini, spezzina, dal 2006 al 2018 madre superiora delle Suore della Provvidenza per l'infanzia abbandonata e oggi responsabile dell'istituto di via XI Febbraio, maestra elementare di generazioni di cremonesi, guarda quelle immagini; “Si sono salvate e hanno una vita normale”. Altri bambini albini, invece, vengono mutilati, violentati, uccisi nel nome di antiche credenze che considerano i loro arti talismani in grado di assicurare salute, ricchezza, potere.
Tanzania, Africa orientale, è qui che si concentra il più alto tasso di albini al mondo. Circa 30.000 persone sono colpite da un'anomalia congenita che non permette al loro corpo di produrre melanina, la sostanza che protegge la pelle dal sole. Una vera e propria condanna a queste latitudini. La melanina ha anche un ruolo fondamentale nello sviluppo della vista e la sua assenza può provocare gravi deficit. La storia di suor Carla comincia qualche anno fa. “Venuto a sapere del carisma della nostra congregazione, monsignor Paoul Ruzoka, vescovo di Tabora, in Tanzania, mi manda delle gran lettere che però io archivio perché avevamo già aperto un nostro centro di accoglienza a Nairobi, in Kenya. Poi, però, con una volontaria, Nicoletta, decido di andare da lui. Ci parla delle condizioni degli albini e della loro strage All'inizio eravamo scettiche ma padre Guglielmo Camera, un missionario che purtroppo non c'è più, ci convince con il suo entusiasmo a restare in Tanzania”. Lei, due giovani consorelle e due volontarie. “Prima andiamo a vedere i bambini in un rifugio delle suore di Madre Teresa di Calcutta dov'erano ricoverati i più miserabili dei miserabili. Ci chiediamo: come fanno i bimbi a stare in questo ambiente? E così li trasferiamo - 5 albini (2 maschi e 3 femmine) e 2 di colore abbandonati dalle famiglie - nella casa che ci era stata consegnata dal vescovo”. Una piccolo edificio fuori Tabora, isolato, senz'acqua, luce e mobili. “Di notte non potevamo dormire perché i bambini piangevano in continuazione, gridavano, erano spaventati”. Suor Carla comincia a capire il perché di quelle lacrime e di quei tremori. “I bambini albini vengono chiamati teste sbucciate, fantasmi, demoni. Ho assistito la madre di uno di loro che era morto dissanguato perché gli avevano amputato le gambe nella convinzione che portassero fortuna. Un braccio può costare 700 euro. Se uno ha l'Aids o altre malattie trasmissibili crede che, accoppiandosi con un albino, guarirà. Da qui i tanti stupri commessi”. Si ascoltano gli stregoni e, specialmente nelle zone più remote, si dà la caccia agli albini pensando che il loro sangue, messo in una buca, consentirà di trovare l'oro nelle miniere o che farà lo stesso un loro arto se puntato contro una roccia, come un metal detector. O che i loro capelli, fissati alle reti dei pescatori, assicureranno una pesca copiosa.
Il primo obiettivo, quindi, era proteggere gli albini, dare loro un luogo sicuro. “Abbiamo fatto costruire un muro di cinta e assunto 4 guardie, 2 di giorno e 2 la notte. Piano piano, i nostri piccoli si sono sentiti difesi e, come tutti i loro coetanei, hanno iniziato a giocare, cantare, ballare. Sempre con un cappello sulla testa perché l'esposizione ai raggi del sole provoca croste che, se non curate con la crema, possono degenerare in tumori”. Ma quella casa non bastava più e così suor Carla, con un contributo della Cei, ne ha fatto erigere una più grande per accogliere altri bambini, sia albini che di colore, orfani o abbandonati dalle famiglie. “Il nostro motto era: creare l'eccellenza per combattere l'ignoranza. La gente del posto ha cominciato ad apprezzare il nostro sforzo e a dire: adesso vogliamo la scuola materna”. E' a questo punto che suor Carla ha avuto un'intuizione. “Abbiamo deciso di aprire i cancelli della nostra casa e, così, i genitori hanno iniziato a mandare i loro bambini che venivano a giocare con i nostri. La gente portava riso e altro cibo perché avevano capito che erano come i loro figli. Il villaggio è rinato, è stata una meraviglia. Abbiamo rotto l'incantesimo degli stregoni che con le parti del corpo di un albino pensavano di fare pozioni magiche. Gli albini si sono integrati con il resto della comunità: era questo il nostro intento, ci siamo riuscite. Hanno compreso di essere normali. Ora non sono più in pericolo. E' stato tutto un miracolo”. La conferma è in quella fotografia alla parete: Jacqueline, Veronica, Rahel sono le prime ospiti della casa famiglia fondata da suor Carla ad averla lasciata per frequentare le scuole statali. “Una di loro sogna di diventare maestra, l'altra impiegata, l'altra ancora medico”.
E' dal 2018 che suor Rebolini non torna in Tanzania. “Ci ho lasciato il cuore, partirei domani, ma non mi sento di farlo per via della salute”. Dietro quella mura ci sono, in questo momento, quattro sue consorelle, tutte africane: suor Mheret (Etiopia), la madre superiora; suor Elmerita (Tanzania); suor Immaculata e suor Veronica (entrambe del Kenya). Suor Carla è in stretto contatto con le religiose. “Tutto ciò che dona la Provvidenza, soldi o cose, lo spedisco là”. Gli ultimi quattro pacchi sono giunti a destinazione di recente. “Contenevano lenzuola, federe, vestitini, dolci e giocattoli”. Compreso un orsetto di peluche. E dall'Africa i bambini, una quarantina, le hanno inviato un video commovente sul coronavirus in cui recitano in coro: “Anche se siamo lontano, con la preghiera vi sosteniamo. Voi che ci avete aiutato, voi che ci avete donato, voi che non ci avete mai abbandonato, voi italiani che state lottando e siete di esempio al mondo intero, con la preghiera vi siamo vicini per combattere questo virus: dai Italia che ce la fate, non mollate. Dalla Tanzania con amore”. Albini e non albini, uno accanto all'altro, mano nella mano. Sorridenti, uguali, senza più differenze né paure.
 
 
 
 
Gilberto Bazoli


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