23 settembre 2023

Vent'anni fa, il 1 novembre 2003, riapriva il Torrazzo, concludendo una lunga campagna di restauri iniziata 25 anni prima con l'intervento sulla Ghirlanda

Vent’anni fa, il 1 novembre 2003, dopo un corposo intervento di restauro durato alcuni anni e terminato qualche giorno prima, riapriva definitivamente il Torrazzo. In realtà il restauro vero e proprio, iniziato nel 2002, era stato preceduto da una fase di studio sulle condizioni statiche dell’edificio, fortemente voluta dal responsabile dei beni storico artistici diocesani monsignor Achille Bonazzi, realizzata, a partire dal 1997, da un gruppo del Politecnico di Milano, sotto la guida del professor Amedeo Bellini e col contributo determinante della professoressa Luigia Binda e del professor Carlo Poggi. Si era constatata la sostanziale solidità della struttura, che non necessitava di interventi di carattere statico. Era stata però identificata una lesione passante sviluppata in verticale nel lato ovest del muro per circa due metri di altezza che, non essendovi ragione di pericolo, sarebbe stata tenuta sotto controllo tramite trasduttori di spostamento, per qualche anno ancora. Si era poi passati alla vera e propria operazione di conservazione e messa a norma, per contrastare il degrado materico in atto sui paramenti esterni e limitare le possibili fonti di pericolo per l’incolumità delle persone. A curare questa fase erano stati l’ingegnere Dante Augusto Coppi e l’équipe diretta dall’architetto Luciano Roncai del Politecnico di Milano. Il problema era quello dei possibili distacchi di parti di materiale che, cadendo, avrebbero potuto colpire chi passasse accanto alla torre. La prima parte dell’opera di conservazione aveva interessato la parete nord e la ghirlanda. La seconda parte, le altre pareti. In questo intervento erano stati usati un ascensore e un montacarichi esterni, per il trasporto delle persone e dei materiali alle quote alle quali si svolgeva il lavoro. La forma classica di intervento, con la collocazione di impalcature fisse, avrebbe comportato tempi assai lunghi sia per il montaggio di tali strutture, sia per il trasporto in quota di persone e materiali. Il sistema di ascensore e montacarichi ancorati alle pareti, aveva consentito invece di far ascendere e discendere i restauratori in breve tempo. 

La ghirlanda era già stata sottoposta a restauro nel 1978, sotto la direzione dell’architetto Maria Teresa Saracino della Soprintendenza di Brescia Cremona e Mantova. I restauratori intervenuti nel secondo restauro avevano potuto constatare la sostanziale tenuta dei restauri allora realizzati sulle parti in pietra delle chiostre, delle guglie e del cono cestile. Mentre le parti in muratura impregnate con resine epossidiche presentavano erosioni non indifferenti ma non tali da suggerire operazioni di reintegro. Alla base della cella campanaria, negli anni ’30 del secolo scorso era poi stato realizzato un piano in cemento che, a causa delle otturazioni dei doccioni causate dal guano e dai detriti, raccoglieva le acque piovane che finivano per essere assorbite dalla muratura. Per ovviare a questo inconveniente, il piano della cella campanaria era stato posto in pendenza, in tal modo l’acqua piovana non ristagna e viene convogliata nei doccioni, opportunamente ripuliti e protetti da punte di rame che impediscono l’avvicinarsi dei volatili. Nella cella campanaria erano stati inseriti sistemi antivibranti sotto i supporti delle campane e tra i percussori e i muri: una soluzione poco invasiva, ma che consente di ridurre le vibrazioni trasmesse dall’oscillazione delle sette campane alla centenaria muratura.

Con l’inserimento di poco meno di 3.000 perni in acciaio inox filettato di piccolo diametro, era stata anche ridata solidità a quei laterizi, che fungevano da ancoraggio tra il manto esterno della facciata ovest e la struttura della torre, e che si erano fratturati. In tal modo è stata saldata la scollatura che si era creata tra il manto esterno e il suo supporto. Infatti il restauro ha consentito di verificare che la torre è costituita da una doppia canna prismatica, interna ed esterna, raccordate tra di loro dalla scala e da un paramento esterno a una sola testa di mattoni disposti orizzontalmente, distante un centimetro dal muro perimetrale della canna maggiore, che permette, riducendo al minimo i movimenti d'aria, una "traspirazione" ottimale tra interno-esterno. Il paramento così concepito garantisce "muri areati", che non gelano mai: neppure la parete esterna, dal momento che la parete della canna interna rimane più calda e tra le due avviene uno scambio di calore. Il paramento salvaguarda totalmente la parete della canna maggiore ed è eseguito con una tale perizia da non permettere il benchè minimo ristagno d'acqua sulla parete evitando così i danni causati dal gelo. Il paramento esterno è stato fissato al nucleo della canna maggiore mediante mattoni disposti in modo trasversale, che penetravano per oltre sei centimetri nella muratura.

Durante i recenti restauri si è rilevata anche una diversa qualità della calce tra la parte inferiore del Torrazzo e quella superiore: più povera, di minore qualità. I mattoni sono di tre tipi: quelli più prossimi al fuoco durante la cottura (di color rosso cupo), quelli un po' più distanti (rosso vivo) e quelli distanti (rosso). Laterizi dipinti con uno squillante pigmento color carminio sono posti intorno alle finestre. Per realizzarli si è ricorsi ad arenarie di diverso colore (rosso, verde, giallo) prelevate dalla zona di Vigoleno e disposte sotto le cornici delle finestre. Si è ricorso spesso al blu, derivato dall'impiego di azzurrite e di lapislazzuli. Sicuramente il paramento, che interessa l'intero fusto della torre, è stato realizzato a distanza di poco tempo dalla muratura più interna ma è possibile che, nel procedere della costruzione, abbia richiesto qualche aggiornamento stilistico delle parti inferiori realizzate precedentemente. 

Il 1 novembre 2003, dunque, il Torrazzo aveva potuto riaprire i battenti in tutta sicurezza, concludendo un lavoro durato, in pratica, un quarto di secolo.

Fabrizio Loffi


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commenti


Michele de Crecchio

24 settembre 2023 21:29

L'articolo è sintetico e ottimo. L'unica lacuna che mi sento in dovere di rilevare consiste nel non aver ricordato il grande merito che i cremonesi dovrebbero decidersi a riconoscere all'architetto Maria Teresa Saracino, allora giovanissima funzionaria della Soprintendenza di Milano, che, subentrata nelle competenze che, sino a poco prima, erano della Soprintendenza di Verona, decise di correggere radicalmente il troppo incisivo programma di lavori precedentemente già approvato e, credo, anche appaltato. Se la memoria non mi inganna, il programma precedente prevedeva infatti nientemeno che la demolizione integrale della parte più alta del Torrazzo (la cosiddetta "ghirlanda") e la sua, successiva, improbabile, lunga e costosissima ricostruzione. L'architetto Saracino, ben consigliata da un bravo ingegnere, risolse con piccoli interventi strutturali le precedentemente sopravvalutate sofferenze statiche della ghirlanda, restituendo ai cremonesi, in tempi incredibilmente rapidi e con spese contenute, la loro gran torre nella sua integrità formale e materiale. Purtroppo, come ebbe, più volte e anche recentemente, occasione di ricordare mons. Bonazzi, per tanti anni attento curatore dei beni artistici della Curia cremonese, la nostra città non ha ancora pienamente riconosciuto, come pure da tempo avrebbe dovuto fare, i grandi meriti acquisiti allora nei suoi confronti dall'arch. Maria Teresa Saracino.