“Vegliare pregando”, essere desti e attenti dentro la preghiera
Con un brano tratto dal capitolo 21 del Vangelo secondo Luca, ha avvio il ciclo di letture dei vangeli domenicali del nuovo anno liturgico. L’inizio è nella fine o la fine è nell’inizio, si potrebbe dire. Si inizia dalla fine, perché nella prima domenica di Avvento ci si mette in ascolto di un testo che proviene dalle ultime pagine del racconto del terzo vangelo. Allo stesso tempo, tuttavia, il testo dice anche che la fine sta nell’inizio, nel presente della propria esistenza, poiché, pur piombando addosso come un laccio, il giorno del ritorno del Figlio dell’uomo non deve incutere timore in quanto a quel momento ci si prepara in ogni istante della vita. Contro ogni paura, Gesù invita, in quel giorno, ad alzare il capo, ritrovando la dignità dell’uomo libero, di colui che sta in piedi, riscattato dalla condizione di chi, come lo schiavo, è costretto a chinare la testa, asservendosi alla volontà di un altro.
In questa sezione del suo racconto, l’evangelista Luca offre al suo lettore un discorso pronunciato da Gesù che si trova anche nei racconti di Marco e di Matteo, con sfumature diverse. In questo discorso Gesù prevede un evento drammatico che sarebbe accaduto da lì a qualche anno: la distruzione di Gerusalemme. Mentre l’evangelista Marco scrive prima che questo fatto accada (e per questo la sua narrazione è meno ricca di dettagli), Luca e Matteo scrivono quando il fatto è già accaduto, arricchendo il racconto di elementi che rimandano alla cronaca di quell’evento.
Tornando alle parole di Gesù espresse da Luca, consapevoli del contesto storico in cui l’Evangelista scrive il suo racconto, ci sono alcuni spunti significativi da cogliere e che possono far bene al cammino di vita personale e comune anche per l’oggi di questo tempo.
Benché con toni apocalittici e carichi di immagini impressionanti, le parole di Gesù affermano una verità significativa per i suoi discepoli: la storia ha un orientamento. L’immagine del Figlio dell’uomo che viene sulle nubi del cielo, ripresa dal Libro del profeta Daniele, prima che essere qualcosa da prendere alla lettera, altro non è che un avvertimento che parla di un senso, di una direzione che il cristiano riconosce per la propria vita e per la vita del mondo. Davanti ad ognuno non sta solo la morte come fine, come conclusione, perché questo momento si apre all’esperienza dell’incontro con Colui che sta tra la terra e il cielo (in quanto Figlio di Dio divenuto uomo). Da questo incontro acquista senso quanto vissuto da ciascuno nel cammino terreno e si manifesta in verità la bontà o il vuoto di quanto compiuto nel pellegrinaggio di questa vita.
Un tale incontro, come già si è visto, non deve essere temuto, quasi sia una realtà minacciosa e tremenda, capace di distruggere l’uomo, annientandolo. Al contrario, già ora pensare a questo momento, offre la possibilità di una particolare serenità, poiché richiama alla condizione di libertà a cui ciascuno aspira: libertà dalle schiavitù, dalle dipendenze, dalle incapacità, dalle meschinerie in cui spesso si incorre in questa vita. La prospettiva dell’incontro con il Figlio dell’uomo, con il Risorto, primogenito di quanti vivono la vita che non avrà fine, risolleva ogni uomo dalla sua condizione, riaffidandogli la statura della libertà, cioè della piena disponibilità di se stesso, senza alcun condizionamento di sorta, anche quelli che, non pensandoli tali, ci si pone addosso come giogo che limita la propria forza.
In terzo luogo è però vero che pensando a questo incontro l’incertezza del momento crea angoscia. Senza sapere quando ciò accadrà, questa attesa resta incerta, segnata dal dubbio di quale momento sia quello giusto (è significativo, in proposito, vedere come nei racconti evangelici più volte sia i discepoli che altre persone chiedono a Gesù quando sarà il momento della fine, dimostrando il bisogno tutto umano di governare e controllare il tempo). È a questo punto del discorso di Gesù che appare il verbo tipico dell’avvento, il verbo tipico dell’esperienza cristiana che vive nell’avvento dell’attesa del ritorno del Signore: “vegliate”. Luca parla di una veglia che assume una forma ben precisa: si tratta di una veglia liberata dalle pesantezze che rallentano la corsa (dissipazioni, ubriachezze, affanni) e vissuta nella preghiera. Perché così sia il vegliare dell’uomo, non basta semplicemente l’occhio aperto, vigile, attento a quello che succede intorno a se stessi, ma ancor di più, si tratta di avere l’occhio allenato a uno sguardo altrettanto attento su di sé guardandosi dentro come Dio guarda i suoi figli, sostenendoli e correggendoli.
“Vegliare pregando”, essere desti e attenti dentro la preghiera, è l’invito che la Parola suggerisce al cristiano per questo tempo che orienta, prima e più che al Natale, a rileggere il mondo nell’attesa della venuta (ritorno) del Signore. “Vegliare pregando”, riscoprendo il gusto di un dialogo con Dio che non è tanto un gesto da vivere due volte al giorno, con qualche formula imparata a memoria, ma che è soprattutto esperienza di conversione, per lasciarci addomesticare da Dio e imparare da Lui ad apprezzare ciò che veramente conta, per farlo diventare sempre più personale. Se questo accade, comparire davanti al Figlio dell’uomo non potrà più far paura, perché sarà esperienza preparata ogni giorno e farà trovare al Messia che viene verso l’uomo un cuore pronto ad accoglierlo, sempre disponibile a lasciarsi giudicare sulla misura del Vangelo, criterio di vita con il quale illuminare ogni situazione, comprese quelle più delicate della propria esistenza, compresa quella che durerà il brevissimo istante in cui per ognuno si chiuderà il velo del tempo e si spalancherà quella vita che non ha più fine e con essa la gioia della comunione con Dio e con tutti e tutto ciò che è stato creato.
In questo primo giorno di Avvento inizio il percorso di commento al Vangelo domenicale che Mario Silla mi ha affidato. Ringrazio il Direttore di questa testata per la fiducia che mi accorda e per la sfida che mi pone, invitandomi a mettermi con serietà davanti alla Parola di Dio, spogliandomi di qualsiasi orpello per giungere a quell’essenziale che può essere comunicato da un pulpito mediatico, nella speranza di offrire un po’ di bene a chi legge.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti
Maurizio Franzini
6 dicembre 2024 09:03
Don Francesco, leggo volentieri il tuo commento al vangelo domenicale e mi congratulo col direttore Mario Silla per l'iniziativa.
Enrica
6 dicembre 2024 11:58
Ringrazio don Francesco per le parole illuminanti che, insieme ai commenti dei Vangeli delle prossime domeniche di Avvento, mi accompagneranno verso il Natale di nostro Signore. Ringrazio anche il direttore Silla per questa opportunità che ci offre. Grazie davvero. Alla prossima ...