A Cremona patto generazionale però non al ribasso
‘Cultura come patto fra le generazioni’: Anna Maramotti, ‘Cremona Sera’ 9 maggio 2023. E da qui vorrei ripartire. Non certo per riscaldare la vecchia minestra dei rapper in piazza Duomo bensì per inoltrarmi nella più spinosa e forse meno esplorata fra le implicazioni della lunga polemica. Alludo a quel rapporto fra le generazioni che, come i fatti recenti dimostrano, resta nervo quanto mai scoperto nei fragili equilibri della società contemporanea. Due dati di fatto sono incontrovertibili. Cremona invecchia dentro un Paese che invecchia. E questo è, per infinite ragioni, un problema cui urge dare risposte anche con un crescente coinvolgimento nella vita cittadina di giovani risorse, ormai provatamente in grado di dare ottimi contributi. Seconda evidenza: da che mondo è mondo, il naturale ruolo di ogni giovane generazione è sollecitare il parto del nuovo che deve nascere all’ovvio prezzo di accelerare la fine del vecchio che deve morire. E’ dunque non solo fisiologico ma provvidenziale che la gioventù sia la stagione della vita in cui l’Io giganteggia con la prepotente freschezza delle sue passioni e delle sue avversioni. E, come il ruolo esige, si tenda a ridurre l’altro da sé a platea di noiose comparse che il dato anagrafico condanna a puro istinto di conservazione. Verità di parte che si fronteggiano nell’eterno recitativo della vita : ‘Taci tu che sei giovane e non puoi capire’ oppure ‘Cosa vuoi capire tu che ormai sei vecchio’.
Se via d’uscita esiste dalla palude dalla mutua incomprensione, molto dipende dalla misura di onestà intellettuale e umana che i portatori di tempie grigie sono disposti a investire nel problematico rapporto coi più giovani. Quanto siano realmente disposti all’impegnativo investimento è dunque la vera domanda da porre e il vero nocciolo del problema. Assecondare, disponendosi al ruolo di accomodante comparsa o non assecondare e disporsi alle fatiche e incognite dell’inevitabile scontro? Sempre a spanne, par di capire che sia la prima strada quella più praticata. Per infinite ragioni e, una per tutte, per quel terrore d’apparire vecchio che domina il nostro tempo spingendoci a confondere le carte e taroccare l’anagrafe popolando la società di madri travestite da adolescenti, padri pateticamente impegnati a superare i figli in giovanili disinvolture progressiste e di educatori travestiti da compagni di scuola. Si assotiglia a vista d’occhio la pattuglia dei coraggiosi disposti a correre il rischio di vestire i propri panni e presentarsi per quel che sono: con la propria età, i propri valori e il conseguente attaccamento alle proprie tradizioni. Sentirsi custodi del passato appare evidentemente meno gratificante che presentarsi come avamposti del futuro. Una pacchia per le giovani generazioni la cui avanzata procede senza che le loro certezze incontrino alcun serio e impegnativo contraddittorio? Non definirei pacchia il muro di gomma delle infinite compiacenze e improprie complicità che li stanno isolando in una solitudine perennemente autoreferenziale, irrigidita e ingigantita dallo specchio riflettente dei social, ormai luogo totale di costruzione dell’identità giovanile. Una specie di immateriale ‘barriera del suono’ rischia di polarizzare i ruoli e ridurre la convivenza e il confronto fra le generazioni alla reciproca estraneità o alla pericolosa spirale delle negazioni reciproche.
Esiste un ponte mediativo, un universo di valori che ci salvi dalla deriva dei banali stereotipi per cui l’anziano è quello che spara su tutto quello che si muove e il giovane è quello che spara su tutto quello che sta fermo? Questo ponte ovviamente esiste. Si chiama cultura. E, almeno virtualmente, rappresenta il prezioso patrimonio, indiviso e condiviso, capace di autentica trasversalità rispetto alle varie fratture generazionali, politiche, ideologiche, sociali o di genere che attraversano il sistema. Se dunque nella percezione di troppi giovani la parola cultura suona astratta, accademica, irrimediabilmente periferica rispetto al quotidiano pulsare della vita, onestà impone di riconoscere che questo è anche il nostro parziale fallimento. Innegabile il peso giocato dalla crisi della famiglia e dalla sua perdita di stabilità. Si sono ridotte le occasioni domestiche in cui il racconto del passato, famigliare e collettivo, spontaneamente si trasmetteva da una generazione all’altra come naturale componente confidenziale di un solido rapporto consuetudinario. E la spezzata continuità della catena ha prodotto una serie di piccoli e grandi strappi fra le generazioni che certo non giovano a un’equilibrata dialettica fra passato e presente. A ciò si aggiungono vari limiti nelle procedure di trasmissione scolastica del patrimonio culturale che rischiano di trasformare in barriera quel che invece dovrebbe essere ponte. A cominciare dalla sempre più massiccia immissione di competenze informatiche e digitali che, giustamente richieste dai tempi, non dovrebbero tuttavia andare a scapito del settore umanistico. Il costo dell’operazione è infatti di consegnare i giovani a condizioni sempre più decontestualizzate, di intrappolarli in un fragile presentismo che, senza adeguate sollecitazioni storico culturali, non è più in grado di superare la gabbia dei propri limiti. Un insegnamento della geografia quasi azzerato dal bisturi selvaggio di Letizia Moratti e Maria Stella Gelmini non solo ha azzoppato l’intero albero disciplinare, penalizzato la più illuminante chiave d’accesso alla conoscenza storica, ma ha privato i ragazzi di strumenti insostituibili per rispondere a vitali domande primarie: dove mi trovo, da dove vengo, con quale eredità materiale e immateriale sono imparentato e chiamato a misurarmi. Spaesamento completo.
Se chiedi a un adolescente se Cremona è a nord o a sud del Po lo mandi in crisi. O ha Google a portata di mano o non sa rispondere. Dispersione scolastica del 13%, ben superiore alla media europea Ma a quanto pare nessuno seriamente pensa di correggere la rotta. E men che meno lo pensa la politica che, dominata in ogni fazione dal sommo imperativo di sedurre l’elettorato giovane, si guarda bene dal remare controvento. Per non dire dell’erba infestante di una censura ideologica che vede ovunque minacce alla costruzione del famoso mondo globale: se parli della nazione sei fascista, se parli del territorio domestico e della sua storia fai anacronistico e provinciale localismo.
A questo punto che dire? Che archiviata la polemica sui rapper in piazza Duomo, non è archiviabile la cruciale domanda che ne è derivata. Si può chiedere a qualcuno il rispetto per ciò che non conosce? Può comprendere che certe manifestazioni sono incompatibili con un certo contesto chi di quel contesto sa poco o nulla quanto a storia, valore artistico, significato civico, spessore di vissuto collettivo? L’alta concentrazione di valori simbolici e identitari che ci fa definire piazza Duomo ‘genius loci’ di Cremona dice molto a noi ma il punto è purtroppo che questo ‘noi’ non risulta estendibile ai più giovani. Di stupefacente semplicità il ragionamento in merito dell’Assessore alla Cultura: una volta che finalmente a Cremona qualcosa si muove dobbiamo assecondare invece di respingere. L’idea che quel che si muove va in quanto tale promosso è l’ultima frontiera di un minimalismo che potrebbe aprire a imbarazzanti obiezioni. Le baby gang straniere che in rapida moltiplicazione affliggono la città, per esempio, quanto a muoversi si muovono. Anche troppo. Il che tuttavia non basta a catalogarle come risorse invece che come sciagure. Morale della storia: stiamoci attenti perché quando sul terreno culturale si gioca al ribasso si sa dove si comincia ma non dove si finirà a parare.
vittorianozanolli.it
già ordinaria di Storia contemporanea all'Università Statale di Milano
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commenti
mario dadda
24 maggio 2023 20:54
Assessore alla cultura ? Ma ne abbiamo uno ? Nel caso , consiglierei al nostro assessore ( e magari anche al nostro civettuolo e petulante sindaco) dopo quattro passi nel degrado e nello sfacelo di palazzo Affaitati , un modesto e non dispendioso tour : non dico nelle ormai irraggiungibili - da ogni punto di vista- Mantova, Bergamo e Brescia, ma nelle da sempre snobbate Pavia , Piacenza , Novara. Un piccolo bagno di umiltà male non farebbe ....
Anna L.Maramotti
25 maggio 2023 13:40
Si fanno sempre più pressanti alcuni problemi educativi: formazione o informazione; pensiero logico-argomentatkvo o analogico-virtuale, rapporto scuola e famiglia, buonismo o attenzione alla persona. Ada Ferrari li ha affrontati tutti questi argomenti dimostrando che senza una memoria, patrimonio della cultura, i giovani non hanno un futuro. Attenta a non colpevolizzare, non ha voluto chiudere gli occhi davanti ad una deriva crescente
Giuseppe Zagheni
4 giugno 2023 07:21
Domanda : Lei come risolverebbe il baby gang straniere, e magari anche di quelle italiane di baby gang.Chiedo per un amico