Amare è perdersi, che paradosso!
C’è una scena nell’intenso film di Mel Gibson The Passion che sempre mi turba e mi commuove: Cristo, durante la sua penosa via Crucis verso il Calvario, intriso di polvere e di sangue, cade sotto il peso della Croce e Maria gli corre incontro e delicatamente gli accarezza il viso, come faceva, quando bambino egli inciampava durante le sue corse nel giardino della casa di Nazareth. La Vergine, con gli occhi carichi di pianto e di dolore, tenta di offrire al Figlio un gesto di tenerezza mentre attorno a lui infierisce la violenza, l’arroganza, la volgarità dell’uomo irretito da Satana, il principe della desolazione. Proprio in questo punto il regista pone sulle labbra di Gesù quella splendida frase tratta dall’Apocalisse e che risuona oggi, nella liturgia della Parola, di questa Quinta domenica di Pasqua: “Ecco io faccio nuove tutte le cose”.
Che paradosso!
Proprio mentre sta assaporando con le sue labbra il freddo e lurido selciato, nel momento del fallimento totale, della sconfitta più umiliante, in balia di uomini scellerati, Gibson fa pronunciare a Gesù queste parole che, invece, profumano di vittoria, di grandezza, di potenza.
È il paradosso cristiano!
Perdersi per ritrovarsi, rinnegarsi per riconoscersi, morire per vivere: l’esperienza cristiana si nutre di paradossi! D’altra parte la Croce di Cristo è il grande paradosso della storia: uno strumento di morte, il più ignominioso e violento, trasformato in un albero glorioso che dona frutti di vita eterna! Fin da subito i primi discepoli compresero che la morte cruenta di Gesù possedeva una fecondità per l’intera umanità che andava ben oltre la pura esemplarità morale di chi dà la vita per una buona causa, magari in difesa della giustizia o della verità. Lo sconfitto emerge come Vittorioso perché è morto amando l’uomo, perdonando i suoi aguzzini, offrendo tutto sé stesso, riempiendo di grazia e di bene uno spazio fatto solo di violenza e di morte! In questo modo egli ha imposto un cambio di direzione a una storia fatta di infedeltà, di peccato, di sospetto iniziata nel giardino terrestre con il fatidico frutto proibito mangiato da Adamo ed Eva. Proprio perché perdente egli ha cambiato le sorti dell’umanità riconciliandola con il Cielo e offrendole la possibilità di imparare ad amare sul serio. Con la Croce egli ha permesso di vincere senza imporsi, di trionfare senza umiliare, di prevalere senza soggiogare.
Soltanto la Croce di Cristo consente di comprendere il significato profondo dell’amore. L’amore che insegna il Vangelo è anzitutto un cammino di liberazione che conduce, non senza impegno e sofferenza, a smarcarsi da sé stessi, a spostare finalmente il baricentro dell’attenzione dall’“io” al tu. Rinnegare sé stessi non vuol dire diventare masochisti, godere nel farsi del male, ma imparare a prendere le distanze da una ricerca smodato di sé che si illude di salvare la propria vita per il solo fatto di tenerla stretta. Si ama soltanto retrocedendo, facendosi piccoli, limitando le proprie pretese, godendo del piacere altrui e non del proprio.
Prendere la propria croce è un altro grande esercizio di liberazione perché significa accettare la realtà in cui si è immersi con le proprie luci e le proprie ombre, rimanere fedeli alla propria vocazione che alterna fatiche e slanci, vittorie e sconfitte e non da ultimo accogliere la sofferenza che nasce dalla personale relazione con Cristo, la sofferenza di chi lotta per essergli fedele e per far sì che il bene abbia il sopravvento sul male che è sempre accovacciato alla porta del cuore.
Gesù nel Vangelo di questa domenica ci insegna un comandamento che è nuovo! Ma la novità non sta tanto nell’invito ad amare il prossimo – questo già ce lo chiede il libro del Levitico – ma nel farlo imitando lui: “come io ho amato voi!”.
L’amore è la forza, l’energia più grande che il Creato e la storia abbiano mai contemplato, solo l’amore è capace di sbaragliare la morte, eppure è anche così fragile e delicata: essa, infatti, può essere facilmente fraintesa o distorta, per questo occorre sempre “imparare ad amare”, cercare, cioè, la sorgente dell’amore vero, che permette di non scimmiottarlo o inquinarlo secondo le logiche del mondo, ma di mantenerlo sempre puro, fresco, autentico, gratuito. Questa sorgente è proprio la Croce di Gesù che è la vera gloria, cioè la pienezza della vita dell’uomo.
Dopo l’uscita di Giuda dal Cenacolo Gesù dice di essere glorificato, perché? Perché in quel momento è iniziata la “sua” offerta, la “sua” immolazione per amore dell’uomo. Gesù è stato glorificato – cioè ha raggiunto l’apice della sua esistenza – perché ha amato tutti e tutto senza riserve, anche Giuda, che fino all’ultimo si sentirà chiamare “amico” dal Figlio dell’uomo.
L’amore ha bisogno sempre di una fonte a cui ispirarsi, a cui guardare, per evitare di trasformarsi in una maschera, in una illusione, in un inganno. Per sé stessi e per gli altri.
Amare è perdersi! Che paradosso!
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