4 maggio 2025

Amati dal Signore, unica nostra certezza

L’evangelista Giovanni racconta tre incontri di Gesù risorto con i suoi discepoli, oltre l’apparizione a Maria Maddalena. Il primo avviene la sera del giorno di Pasqua, con discepoli che si trovavano chiusi in un luogo sicuro per timore che potesse accadere loro quanto successo a Gesù e in questa occasione sappiamo che era assente Tommaso. Il secondo incontro accade otto giorni dopo, nello stesso luogo del precedente, mentre anche Tommaso è presente; con questa seconda apparizione si ha la prima conclusione del racconto evangelico. Il testo offre però un’appendice, un capitolo aggiuntivo che narra la terza apparizione di Gesù risorto, avvenuta sul lago di Tiberiade, in Galilea, là dove il rapporto di amicizia fra Gesù e i discepoli è iniziato.

Il racconto che oggi leggiamo è per certi aspetti misterioso. Da un lato il testo sembra parlarci di discepoli che hanno abbandonato la missione e si sono ritirati a casa loro, riprendendo la vita di prima, quasi dimenticandosi di Gesù. Dal lato opposto niente impedisce di pensare questo racconto come una metafora, in cui la pesca rappresenta la missione dei discepoli e il racconto ci parla di quello che accade quando l’annuncio si fonda sull’iniziativa personale e ha bisogno di lasciarsi convertire dalla parola di Gesù. 

Scegliere una delle due chiavi di lettura non porta a comprensioni opposte del racconto, semplicemente ci porta a leggere i gesti e le parole del Signore risorto come una correzione rivolta a chi si sta allontanando dalla missione, oppure come un sostegno affinché l’annuncio sia sempre fondato sulla parola di Gesù piuttosto che sulle forze personali del missionario di ogni luogo e tempo della storia.

Quel che vale per chi annuncia, vale anche per il discepolo che accoglie la parola, poiché l’essere discepoli o testimoni è identità coincidente. Il discepolo che accoglie diviene portatore di quel che ha ricevuto, così come l’annunciatore non può essere tale se non ricominciando ogni giorno il suo apprendistato di discepolo, sulle orme di Gesù.

Ciascuno di noi, leggendo il testo evangelico di oggi, è chiamato ad ascoltarlo con la propria chiave di lettura, ponendosi la domanda se la propria vita cristiana, in questo momento, è in stato di missione o di rinuncia, è in stato di sintonia con la volontà di Dio, pur nella notte di una fatica, o in fuga da Lui, per ripararsi nella comoda regione delle proprie sicurezze e certezze.

Solo rispondendo a questa domanda, inevitabile punto di partenza, possiamo incontrare il Risorto che anche a noi si rivolge, in modo unico e personale.

Mentre ci troviamo in mezzo alle onde di una vita che si è messa alle spalle il Signore oppure in mezzo alle difficoltà che comporta compiere la volontà di Dio, la nostra certezza è sapere che il Signore è presente anche se un po’ distaccato da noi. È presente con il suo sguardo amorevole e paterno. Gesù non ci lascia soli, mai. Egli ci parla sempre di Dio che come padre amorevole attende il ritorno del figlio, che come padre amorevole non soffoca la nostra libertà, intraprendenza e anche cocciutaggine, affinché impariamo dalla vita e nella vita l’essenza più profonda del nostro essere uomini e donne che affrontano l’avventura dell’esistenza con tutte le sue incertezze, fatiche, gioie e speranze. 

Di fronte all’infruttuosità di azioni che non portano a nulla perché fondate solo su di noi oppure rinchiusi in gesti che pensiamo evangelici e in realtà sono frutto del piccolo calcolo umano, la nostra certezza è sapere che il Signore ha ancora qualcosa da dirci per risollevare la nostra situazione, aprendoci prospettive inaspettate e riscattare i nostri fallimenti umani e religiosi, affinché possiamo portare frutto, nonostante tutto. Le sue domande non ci vengono rivolte per poterci dire: “te lo avevo detto”, ma per offrirci qualcosa di nuovo oltre l’infruttuosità a cui talvolta testardamente ci autocondanniamo.

Pensando che tutto dipende da noi, per cui solo a seguito del nostro sforzo e del nostro impegno potremo raggiungere la felicità desiderata e attesa, in una vita che rischia la mondanità o nell’impegno della testimonianza di fede, la nostra certezza è sapere che l’esito favorevole dell’esistenza ci è donato da Lui, più che essere prodotto da noi. Chiamandoci a mensa quel di cui godiamo è principalmente offerto da Lui: il pane e il pesce sono già pronti per essere mangiati, là dove il Signore ci chiama ad abitare. Egli certamente ci invita a contribuire, anche se la sicurezza del pasto dipende da quello che Egli prima ha già preparato per noi.

Riconoscendo i nostri peccati, i momenti della nostra vita in cui lo abbiamo rinnegato, abbiamo fatto a meno di Lui, abbiamo preferito noi stessi alla sua parola, Egli viene incontro a noi per ricordarci che la nostra certezza è sapere che non si è pentito di averci amati e ancora una volta ripete la sua offerta di salvezza e di vita: “Seguimi!”. Ancora una volta, di nuovo, nonostante tutto.

Al discepolo amato, testimone privilegiato del Signore, in questa parte conclusiva del racconto del Vangelo, chiediamo di aiutarci ad avere sempre più coscienza di essere anche noi “amati dal Signore”, poiché, sentendoci immersi nell’amore, anche noi, come quel discepolo, potremmo riconoscere la costante presenza del Risorto nella nostra vita.  

Francesco Cortellini


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