Buon Natale e viva la libertà
Nuovo lampo d’ingegno dei vertici comunitari e nuovo contributo alla soluzione del dilemma che segretamente cova nella stragrande maggioranza degli italiani circa l’aggettivo che più s’addice all’Europa comunitaria: inutile o dannosa? Ma veniamo ai fatti. Qualche giorno fa la Commissione europea ha fortemente sconsigliato, se non vietato, ai propri dipendenti di utilizzare nelle relazioni sociali che si svolgono all’interno delle sedi comunitarie, l’espressione ‘buon Natale’ da sostituire con un più generico ‘buone feste’. Motivazione ufficiale: il Natale non è inclusivo ma altrettanto poco inclusivi, e dunque sconsigliati, risultano nomi come Maria, Giovanni e analoghi residuati dell’era cristiana. Una precettistica di così malinconico grigiore vola talmente basso da non essere in grado di intercettare alcuna obiezione critica tarata sui livelli di una pur mediocre sensatezza umana. Solo l’ennesima gaffe uscita dalle poderose menti dell’élite comunitaria e peraltro circoscritta ai quattro muri delle relative sedi istituzionali? Anche. Ma non solo. Anche indizio tutt’altro che rassicurante dei modi e delle logiche con cui si vanno assemblando i diversi materiali e stringendo i bulloni della famosa ‘casa comune europea’. Casa che, a quanto per mille indizi si annuncia, appare esposta al peggiore dei rischi: volendo essere ‘comune’ cioè di tutti rischia, per eccesso d’anonimato, di non essere più la casa di nessuno.
Bianchettare parole che evocano tradizioni non solo religiose ma a tutti gli effetti ‘storiche’ lascia intendere che la strada presa non è solo divaricante ma in ogni senso opposta a quella immaginata a suo tempo dai padri fondatori, i vari Schuman, Adenauer, De Gasperi, Monnet, Spinelli. E così via. L’Europa che per secoli era stata lo scannatoio di infinti massacri fratricidi, non esclusi quelli di natura più o meno pretestuosamente religiosa, doveva definitivamente chiudere col passato e aprirsi a un nuovo e più alto orizzonte di collaborazione e pacifica convivenza. Ma davvero l’algida signora Von der Leyen pensa che basti un innocente ‘buon Natale’ incautamente pronunciato nelle aule comunitarie per ripiombarci nei sanguinari capitoli del lontano passato … tipo cattolici che sbudellano ugonotti e analoghe amenità? Non siamo ridicoli e proviamo a porci qualche più seria domanda. L’Europa è proprio sicura che il miglior modo di cementare solidarietà e costruire un accettabile futuro comune sia smantellare nel linguaggio, nei comportamenti sociali e nelle più innocenti formule consuetudinarie ogni traccia del passato? Non è desertificando e ‘sovietizzando’ la spiritualità del vecchio continente, con più forte pregiudizio negativo nei confronti della tradizione giudaico cristiana, che un disegno di integrazione può dimostrare la propria forza e la qualità delle proprie ragioni. Direi piuttosto il contrario. Quest’assillante bisogno di stendere calce viva su ogni voce espressiva di un’identità tradisce piuttosto la paura di consentire alla vita sociale il libero gioco delle diversità. E non occorre alcun raffinato analista per intuire che siamo di fronte all’evidente difficoltà culturale e morale del maxi contenitore comunitario nel misurarsi col retaggio storico di straordinaria ricchezza della pregressa esperienza dei popoli europei. Peccato, perché osteggiare e cancellare, sia pur indirettamente, le diversità conviventi in quel che un tempo diplomatici e storici chiamavano ‘concerto europeo’ rischia di spegnere il meccanismo delle curiosità culturali che, spingendoci ad approfondire la reciproca conoscenza, è il più potente costruttore di autentica integrazione. Ma pare proprio che quest’Europa non sia amica delle diversità e tutte le vorrebbe spianare in nome di un nuovo ‘inclusivo’ anonimato collettivo. Non più maschio e femmina, padre e madre, parole in odore di perniciosa omofobia, non più Maria o Esther nomi in odore di ancor più perniciosa collusione con Antico e Nuovo Testamento … Da che ci siamo, tagliamo la testa al toro e bianchettiamo anche le pagine dei libri di storia così piene di date non inclusive e di personaggi e idee colpevolmente identitari. Non è forse vero che la storia è quanto di meno inclusivo e quanto di più dialettico e conflittuale? E dunque snidiamola, mettiamola al bando estirpandola dal lobo
stesso del cervello in cui la sua memoria collettiva risiede. Converrà dunque metter mano anche alla domenica cristiana, al sabato ebraico o venerdì musulmano…
Anni fa i casi della vita mi portarono a incrociare spesso una simpatica e intelligente signora di nazionalità araba. Fui piacevolmente sorpresa di ricevere da lei non solo auguri di Natale ma persino consigli circa una certa salumeria in fama di avere ottimi insaccati di quella carne suina che, da islamica praticante, lei teneva a rigorosa distanza. Fu un piacere ricambiarle gli auguri in occasione delle feste care alla sua tradizione. E non credo saremmo venute alle mani se per semplice estensione di sentimento positivo avessi augurato a lei buon Natale o lei avesse condiviso con me un augurio islamico. Indimenticata esperienza di quanto preferibile e godibile sarebbe vivere in un mondo abbastanza saggio da non demonizzare le diversità e le parole che le esprimono invece di incartarsi in una labirintica precettistica di ossessivi tabù.
E di dubbio in dubbio, eccoci al peggiore, quello finale. Stiamo davvero costruendo la comune casa europea o piuttosto un laboratorio di ingegneria genetica in cui, bianchettando questo, cancellando quello e vietando quest’altro, si va assemblando un neutro materiale umano che non sa più da dove viene né chi è? E che per questo è docilmente adattabile alla catena di montaggio della globalizzazione, sterminato allevamento intensivo di poveri polli gonfiati di estrogeni e vaccini per sopravvivere – almeno in senso strettamente biologico – alle periodiche morie connesse alla forzata promiscuità. Una sciagura per noi, una pacchia per le vampiresche esigenze del mercato globale che ci vuole appunto ‘riformattati’ e docili.
La conclusione è d’obbligo. Buon Natale e viva la libertà.
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