Cent'anni fa la fine dell'avventura di Fiume: una parentesi incredibile, dimenticata dai più’
Il 26 dicembre del 1921 una cannonata della nave Andrea Doria mise fine alla Reggenza Italiana del Carnaro, meglio nota come l’Occupazione di Fiume: quel "Natale di sangue" in cui gli italiani uccisero un pugno di altri italiani segnò una pagina unica nella storia dell’Occidente.
Siamo alla fine della Grande Guerra, anche detta non a caso “La quarta guerra di indipendenza italiana”, che ci restituisce dopo i trattati di Londra le terre austro-ungariche a maggioranza italiana: rimane esclusa solo la ricca città portuale di Fiume, perché Woodrow Wilson, onnipotente Presidente Americano, ha deciso che vada alla Croazia. L’opinione pubblica italiana è in subbuglio, e il debole governo liberale tentenna senza ottenere nulla. Decine di soldati irredentisti italiani, avanzi della terribile guerra che li ha lasciati incapaci di una vita normale, vedono come occasione di riscatto l’occupazione militare della città, ma sanno benissimo che ci possono riuscire solo se condotti da un mito vivente che trasformi un colpo militare impossibile in una provocazione mediatica su scala mondiale: soltanto un uomo può realizzare l’impresa, e si trova a Venezia. E’ Gabriele D’Annunzio, l’italiano più famoso del mondo, poeta acclamato e guerriero pluridecorato, che già da tempo inneggiava furibondo “all’amaro Adriatico” e alla “vittoria mutilata”. Benché febbricitante, D’Annunzio accetta la sfida e si reca in motoscafo da Venezia a Ronchi da dove alla guida della sua Fiat Torpedo rossa, la più bella macchina d’Italia, raggiungerà Fiume. Lì troverà il generale Pittaluga, governatore militare italiano incaricato di sventare l’impresa. Il povero Pittaluga è sì un ufficiale regio ma anche figlio e nipote di garibaldini, e come tutti i suoi pari si sente in colpa da quando sull’Aspromonte il colonnello Pallavicino fu costretto a sparare ad una gamba a Garibaldi ( da cui la celeberrima canzonetta, ndr…): all’idea di sparare al sommo eroe D’Annunzio, che si scopre il petto coperto di medaglie, il generale va in crisi e cede il passo al Vate, che davanti all’alt dei Carabinieri risponderà con un motto destinato a fare storia: “me ne frego!”.
L’ingresso in Fiume è degno di Napoleone: senza sparare un colpo D’annunzio e i suoi “Legionari” prendono la città in un clima di festa incontenibile, con il loro splendido stendardo rosso e con l’Orsa Maggiore circondata da un uròboro dorato. Inizia così, il 12 settembre del 1919, “l’impresa di Fiume”, 16 mesi che cambieranno la storia d’Italia. D’Annunzio prende possesso del palazzo principale e tiene un memorabile discorso da un balcone…prima di una lunga serie di “invenzioni” dannunziane che Mussolini copierà a mani basse per il suo neonato fascismo. Il futuro Duce, allora ancora solo un influente giornalista, sosterrà dal Popolo d’Italia l’impresa, in realtà studiandola meticolosamente, copiandola senza ritegno e soprattutto alla fine abbandonando il Vate al fallimento, per rovinarlo politicamente e prendere il suo posto sulla scena nazionale. Moltissimi dei motti fiumani, mutilati e riadattati, diverranno fascisti: me ne frego, me ne strafotto, la giovinezza, e soprattutto il saluto “eia eia alalà!”, preso dagli antichi soldati greci e che i legionari di D’Annunzio gridavano a squarciagola seguito da un fragoroso “VIVA L’AMOR!!!”.
Ma l’esperimento fiumano è tutto meno che fascista: è un sessantotto in piena regola 50 anni prima, anche se militaresco e goliardico. Tutto è nuovo, tutto è permesso, tutto è contro corrente e anticonvenzionale, tutto è gioventù, bellezza e libertà: dieta vegetariana, droghe legalizzate, omosessualità dichiarata e accettata, divorzio concesso (perfino un mito come Guglielmo Marconi attraccherà a Fiume col suo panfilo Elettra per divorziare) e soprattutto pari diritti tra donne e uomini: voto, elezione, comando militare (c’è perfino una Tenente al comando degli Arditi) niente è proibito al gentil sesso che in Italia non aveva alcun ruolo e diritto. Fiume è addirittura il primo Stato a riconoscere la neonata Unione Sovietica di Lenin!
D’Annunzio decide pertanto di mettere nero su bianco tutto questo incontenibile magma sociale, e dare alla “sua” Fiume una Costituzione: la Carta del Carnaro (dal nome della terra che circonda Fiume), che lascia sbigottiti per la sua contemporaneità. Gli archivi del Vittoriale sul Garda e del Museo Storico di Fiume a Roma grondano immagini e scritti di questa incredibile parentesi super avanguardista e progressista della nostra storia. Feste continue, tavolate infinite nelle piazze e nelle strade, musica e arte ovunque: Arturo Toscanini ci porta addirittura tutta l’orchestra della Scala, e decine di artisti, intellettuali, personalità varie accorrono a Fiume per respirare quell’aria di libertà e vedere quell’incredibile esplosione di festa e goliardia incontenibili. C’è perfino Guido Keller, aristocratico svizzero-milanese, eroe della squadra aerea di Francesco Baracca, nudista e omosessuale dichiarato, che ribattezza alcuni Legionari col nome di “Uscocchi” come i pirati slavi, e infatti li usa per requisire le navi di passaggio e rifornire la città chiusa da un embargo. Scherma, equitazione, atletica: Fiume è una sorta di olimpiade continua, e chi vince il campionato di calcio ottiene un piccolo scudo tricolore sulla maglia: lo “scudetto”, un’altra invenzione dannunziana.
L’opinione pubblica è totalmente con i Fiumani, e il governo va su tutte le furie, con gli Americani che danno di matto e pretendono il ripristino degli accordi. Primo Ministro è il povero Francesco Saverio Nitti, un economista tentennante e debole che D’annunzio, spietato giocoliere della parola, ribattezza “Sua Indecenza Cagoia”.
Ma niente sa essere morbosamente brutale quanto la politica, che non ha il senso dell’umorismo e soprattutto non sopporta gli ingovernabili: il Governo Nitti cade come voleva D'Annunzio, ma torna al potere Giolitti, uomo di tutt’altra tempra, che non a caso D’annunzio chiamerà “il boia labbrone”… Il giorno di Natale del 1921 Giolitti lancia l’ultimatum, ma i Legionari rispondono con il loro giuramento “Fiume o morte!”: a Santo Stefano le cannonate della flotta italiana uccidono una cinquantina tra legionari e civili e mettono fine alla Reggenza.
D’Annunzio, sentendosi tradito dall’Italia, si ritirerà a vita privata nel Vittoriale, con le solite presaghe parole: “il martirio è semenza. Ma anche la colpa è semenza…”. E infatti Fiume sancisce l’inizio della fine del decotto liberalismo giolittiano, e apre la strada al potere assoluto di Mussolini: D’Annunzio aveva dimostrato che si poteva far cadere un Governo capeggiando i diseredati della guerra e agendo contro le impopolari imposizioni della ormai bolsa politica liberale che non aveva più il consenso del popolo.
Ebbene, l’unica città della storia governata da un poeta è stata italiana, ed era avanti di 100 anni rispetto ai suoi contemporanei: come si fa a immaginare la politica senza l’argine e l’ispirazione della cultura? O una nazione senza politica culturale? O peggio ancora, come può la politica salvarsi dalla brutalità senza la sregolatezza e la chiaroveggenza degli artisti, dei poeti, degli intellettuali?
Sono stato in molte librerie in questi giorni per i regali di Natale, ed ho avuto la percezione di una editoria moribonda e di una cultura abbandonata da tutti, da destra a sinistra. Va bene il green, va bene l’integrazione, va bene il sociale e i diritti, ma li stiamo sostituendo ad una cultura di cui sono loro delle declinazioni, che deve essere fatta di molto, molto di più. E che va rimessa al centro con un’urgenza irrimandabile, o saremo perduti.
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
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commenti
michele de crecchio
25 dicembre 2021 23:55
Splendido articolo che, opportunamente, tralascia di descrivere il modo cinico con il quale il "Vate" seppe poi vivere lussuosamente di rendita, a spese dello stato italiano, sfruttando il timore reverenziale che Mussolini aveva di sue eventuali prese di posizione critiche verso il regime fascista.
Martelli
26 dicembre 2021 13:28
Grazie del complimento. Eh si, non avevo abbastanza spazio ma la chiosa è assolutamente veritiera. Anche se in realtà quelli per il Vittoriale sono stati tra i soldi meglio spesi nel Ventennio.