20 dicembre 2022

Dai cappotti ai pannoloni?

I centri storici delle nostre città e gli edifici rilevanti hanno saputo mantenere, in gran parte, le loro caratteristiche architettoniche anche in tempi bui e difficili ma ora sono a rischio per l’applicazione spensierata di norme concepite per altri contesti. 

La qualità delle nostre città è costituita da una serie di elementi che concorrono a renderle uniche. Tra questi le facciate hanno una grande importanza. La grande varietà delle forme, dei materiali, delle finiture, dei colori, degli aggetti e delle decorazioni rende unico questo paesaggio, considerato giustamente come una caratteristica preziosa invidiata in tutto il mondo.

Questa ricercata identità è minacciata oggi da un nuovo pericoloso nemico: la moda del cappotto termico. Si tratta di una tecnica favorita dalle nuove norme dei vari bonus compreso il famigerato superbonus energetico del 110%. Costituito in gran parte da lastre di materiali sintetici derivati dal petrolio da incollare sulle facciate, servirebbe per risparmiare proprio lo stesso petrolio (un vero e proprio paradosso).  Si tratta di una tecnica destinata agli edifici degli anni ‘60 e ‘70, come tanti condomini e villette costruite senza nessun criterio legato al consumo di energia. Il cappotto, che funziona bene per le nuove costruzioni, non produce particolari vantaggi su vecchi edifici che hanno caratteristiche totalmente differenti. Anzi, il suo uso è di solito negativo e può ingenerare molti problemi. La gran parte del patrimonio edilizio dei nostri centri storici possiede murature in mattoni pieni di grande spessore vecchi centinaia di anni con un equilibrio termo igrometrico consolidato. Questi materiali possiedono una elevata porosità e il livello di umidità viene smaltito tramite la facile evaporazione dell’umidità interna dell’edificio. L’utilizzo del cappotto altera questo equilibrio e quasi sempre impedisce la transizione del vapore dall’interno all’esterno con pessime conseguenze dell’insorgere di condense e muffe. Poiché normalmente insieme alla realizzazione del cappotto vengono anche sostituiti i serramenti con eliminazione di fessure, il ricambio dell’aria e la traspirazione delle murature sono eliminati. Per evitare altri problemi diviene quindi indispensabile in tali casi provvedere a realizzare un costoso e complicato impianto di ventilazione meccanica controllata. Capite bene che si entra in un circolo vizioso che comporta ulteriori spese.  In questi casi il cappotto non migliora il benessere interno dei fabbricati e il valore presunto del risparmio energetico è surrogato dagli altri costi ingenerati dall’intervento stesso. Per non parlare del rischio di incendio che si può ingenerare.

Ma c’è di più, oltre ai problemi tecnici i cappotti distruggono tutte le caratteristiche che fanno la bellezza delle nostre facciate storiche: il cotto, le cornici, le modanature, le lesene, gli scuretti, gli sfondati, le cornici, le tinteggiature a calce... Inoltre 15-20 cm in più sull’involucro esterno ne cambiano le proporzioni. Così, nell’indifferenza si cancella un patrimonio di secoli d’intelligenza costruttiva e se ne sovrappone uno nuovo di “plastica”.  Una specie di distesa di tanti pannoloni. Che cosa succederà a queste lastre tra venti o trent’anni quando le colle cederanno, i tasselli si sfileranno e tutto cadrà di sotto? Che cosa succederà quando le tecniche saranno affinate e anziché 20 cm ne servirá solo 1? Forse, succederà quello che accade per gli isolanti di polistirolo nelle vecchie pareti a sacco? Come controllare lo stato delle murature ricoperto dalla spessa pelle impermeabile? Questi materiali sintetici siamo sicuri che in futuro non debbano essere smaltiti come la brutta storia dell’Eternit? Capite che andando avanti così siamo di fronte ad una nuova Disneyland, incentivata dalla normativa che, ha un corretto obiettivo (il risparmio di energia) ma in realtà produce, per i vecchi edifici, una vera e propria sciagura. 

Anche il Ministero della Cultura si è accorto di questo pericolo incombente e ha recentemente suggerito una serie d’indicazioni per cercare di limitare i danni che può comportare, così la locale Soprintendenza con gli intelligenti interventi del dott. Barucca  cerca di arginare questa minaccia. Il nuovo sottosegretario Vittorio Sgarbi  sta tuonando contro un uso dissennato di pale eoliche, fotovoltaico e cappotti.  Il soprintendente di Brescia e Bergamo Luca Rinaldi ha  emanato preziose linee di indirizzo. Anche Italia Nostra si è mossa opportunamente con la presidente Anna Maramotti che ha approfondito il problema, ma il pericolo è ancora imminente. Certo, gli edifici vincolati hanno una maggiore tutela e sono vaccinati contro l’epidemia ma gli altri edifici d’interesse per la loro qualità che non hanno vincoli notificati sono veramente a rischio di contagio. 

Una maggiore attenzione al risparmio di energia è indispensabile, come si sa il comparto delle costruzioni assorbe la molta parte dell’energia disponibile ed emette una buona parte della Co2. In realtà abbiamo a disposizione questa energia a basso costo solo dagli ultimi settantacinque anni e le nostre costruzioni tradizionali hanno un’esperienza accumulata di millenni senza questa energia. Com’è possibile che in così breve tempo abbiamo scordato tutto questo preziosissimo bagaglio di saperi? Com’è possibile che dalla metà del secolo scorso abbiamo buttato al vento una tradizione così importante? Certo, siamo tutti succubi del sistema economico che è come una macchina che produce scontento da colmare con il desiderio che si nutre di consumismo. E l’adozione dei numerosi bonus a pioggia di questi ultimi tre anni testimonia proprio il fallimento di una specie di elemosina che umilia il settore anzichè trasformare gli incentivi in una seria politica permanente sulla sostenibilità. Tuttavia c’è un limite anche allo spreco.

Purtroppo le amministrazioni locali sono poco sensibili alla vera conservazione intelligente del nostro patrimonio e preferiscono pensare alle innovazioni e alle esigenze del mercato: tutti vogliono incentivare la transizione energetica, tutti vogliono favorire azioni ecologiche e di tutela della salute dei cittadini ma la realtà è esattamente il contrario.  Volete un esempio? Nel territorio con l’aria più inquinata d’Italia si decide di cementificare un enorme area per la logistica lungo via Mantova di ben 300.000 metri quadrati (come 60 campi di calcio!) che produrrà un traffico di 1600 camion al giorno. Una contraddizione evidente!

Datemi retta, se non saremo capaci di tutelare in maniera intelligente il nostro patrimonio del centro storico più esteso e conservato della Lombardia ci troveremo con tanti cappotti di plastica che in realtà avranno la consistenza di una distesa di pannoloni al vento. Come ci giustificheremo per questo disastro con i nostri figli e nipoti? 

Marco Ermentini (architetto)


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