26 novembre 2022

Dai Medici ai Rothschild: alle Gallerie d’Italia di Milano una mostra sui grandi banchieri collezionisti, interessante e coraggiosa

Se c’è un difetto nelle mostre italiane, ebbene è tutto nei capolavori, che siano di un solo autore o di molti differenti poco conta: se siamo fortunati ce ne vengono sciorinati in gran quantità tutti assieme, una vera delizia per gli occhi ma una vera maledizione per il nostro arricchimento personale: tante splendide visioni che in alcuni casi ci regalano momenti di vera contemplazione, ma pochissima comprensione delle opere, della loro storia, dei loro autori, dei loro segreti simboli e significati. Insomma, per dirla in breve, tanta estetica ma poca storia dell’arte. Ora se la cosa può apparire buona in apparenza, per la verità lo è molto meno nella sostanza, soprattutto quando i capolavori sono due o tre e tutto il resto della mostra è allestimento, con bellissimi pannelli di cartongesso colorati che fanno da enorme scenografia a un paio di quadri e finita lì.

Poca davvero pochissima attenzione viene riservata all’educazione del pubblico, alla sua formazione culturale: certo, già scritto così sa di noioso, l’idea che nel nostro tempo libero ci tocchi stare ancora ad imparare, meglio riempirsi gli occhi senza impegno ed autonominarci intenditori e storici dell’arte personali di noi stessi. E in fondo, dato che purtroppo anche nelle mostre da anni è importante far cassetto e contare migliaia di visitatori (la maledetta “bigness” americana che tutti ci ha ammorbati) costruire contenuti e far interagire con essi il pubblico, magari usando i tantissimi laureati in beni culturali che stanno a spasso, beh quello magari lo rimandiamo a più in là. 

E del resto, se non c’è capolavoro non c’è attrattiva e non c’è pubblico, esattamente come succede nei film: se non c’è qualche super star il film non tira. Poco importa poi se il regista è mediocre, i dialoghi scarsi, la fotografia piatta e la trama inesistente, chi fa andare al cinema sono le star.

Chi scrive invece è fermamente convinto che le cose debbano cominciare ad andare diversamente: ci piaccia o no, per quanti dubbi abbiamo, l’umanità non è mai stati tanto istruita colta e soprattutto alfabetizzata come ai giorni nostri. E questo è un dato di fatto che non possiamo non sfruttare anche per fare cultura. Pensare davvero che ancora la nostra percezione dell’arte sia solo visiva è riduttivo e perfino dannoso. Ci sono già internet e la TV che ci inondano di immagini a raffica senza nessun corredo di spiegazioni, a che ci serve che lo faccia anche l’arte?

E’ ora che chi fa cultura pensi a educare il suo pubblico alla conoscenza, a interagire con le opere e non solo a contemplarle. E l’interazione è sempre didattica, dinamica, e anche un po' faticosa: ma avete di meglio da fare che usare i giochini sul cellulare, no..?

Alle Gallerie d’Italia va il plauso per una mostra difficile ma che tenta proprio questo sforzo: non una infilata di grandi capolavori ma un lavoro storico e curatoriale molto puntuale e interessante che si apre e racconta uno spaccato raffinatissimo e interessante della storia dell’arte: quella dei banchieri-collezionisti.

Qualche capolavoro di splendida fattura c’è, non vi preoccupate: un San Gerolamo di Caravaggio stupendo, un bassorilievo di Michelangelo quindicenne che una volta saputa l’età in cui l’ha scolpito lascia senza parole, un gentiluomo di Van Dyck che veste una casacca damascata  in raso bordeaux di una raffinatezza sublime; una deposizione di Veronese con uno dei panni dorati più belli che siano mai stati dipinti, una natura morta di Morandi di una finezza cromatica unica e un giovane angelo marmoreo di Manzù talmente bello che avrebbe fatto innamorare all’istante Baudelaire ben più del giovane Rimbaud (queste ultime opere sono merito di Raffale Mattioli, il grande banchiere umanista, e anche l’ultimo, che nel dopoguerra li aveva comperati coi soldi della banca per la banca). E soprattutto tanti Hayez, i più belli della mia vita, che lasciano sbigottiti di fronte al talento del pittore divorato dalla fama del suo Bacio.

Bastano e avanzano per valere la visita alla mostra, anche se sono certo che per molti visitatori sarebbero troppo pochi, e anche distribuiti in modo troppo “diverso dal solito”…

Ma il senso è proprio qui ed è tutt’altro: appartengono tutti a grandi banchieri del passato che assieme al denaro accumulavano opere d’arte, e la mostra è esattamente divisa così, anche negli spazi: per famiglie di collezionisti. E i capolavori sono sparsi qui e là in mezzo a opere minori, siano esse quadri, statue, disegni, monili.

Ma il viaggio nel tempo di ben quattro secoli, nel gusto personale e collettivo, e nei contesti culturali e sociali in cui questi grandi accumulatori di opere hanno “comperato” è di un interesse veramente innovativo, è storia dell’arte raccontata dalle opere.

Ecco allora Cosimo il Vecchio fondatore della più grande dinastia di collezionisti al mondo, i Medici, che non potevano che comperare antichità classiche o commissionarne ai più grandi del Rinascimento: dai camei dell’antica Grecia alle sculture di Michelangelo ragazzino o ai ritratti del Pollaiolo. Ecco che i Torlonia o i Giustiniani che si facevano strada a suon di affari nell’antichissimo e imperturbabile patriziato romano e cattolico del settecento non potevano che comperare arte sacra di Caravaggio o Veronese o riempirsi le case di busti romani, spesso solo vecchie teste attaccate a nuovi corpi plasmati dai quei geni del make-up neoclassico che erano Cavaceppi o Ceracchi...

Ecco che invece i collezionisti dell’Austria trionfatrice su Napoleone, come Moritz Von Fries, comperavano ritratti degli aristocratici nordici al Grand Tour o matrone ancora vestite stile impero ma già con le bimbe dalle faccette bruttine, gli occhietti liquorosi e le scarpette rosse del noiosissimo Biedermeier.

Ecco che invece il banchiere berlinese di metà ottocento è già romantico fin nel midollo, e compra abbazie e castelli arroccati e solitari su monti avvolti da cieli grigi e giallastri alla Kaspar Friedrich o tramonti un po' spettrali quasi da espressionismo tedesco del ‘900: Joachim Wagener era già un tedesco romantico 50 anni prima che dei tedeschi lo dicessero tutti. 

E poi ci sono i banchieri collezionisti lombardi, nativi o acquisiti, ma sempre fedelissimi alle regole d’oro del lombardismo: guadagnare con accortezza, spendere con oculatezza, tenere un profilo basso e comperare vicino a casa. Ed ecco che compare una sfilata di Hayez da rimanere veramente a bocca aperta, e poi tanti ritratti di famiglia che sembrano quasi usciti da una comunità Hamish o di calvinisti americani : tutti vestiti di scuro, tutti seri, tutti un po' bruttini, ma con tante finezze nascoste e gelose di se stesse, che poi ogni tanto esplodono in enormi tele dai colori meravigliosi, un po' come i cortili dei nostri palazzi padani, grigi fuori e bellissimi dentro. 

Insomma una mostra che racconta come le arrampicate sociali influenzavano chi comperava, ma anche di come il gusto di chi comperava molto spesso precorreva i tempi e influenzava i gusti, sia nell’arte che nella società.

Uno sforzo coraggioso lo hanno fatto le Gallerie d’Italia, l’altro dobbiamo farlo noi: leggiamo bene i tanti pannelli (belli grandi e belli pieni, laus Deo) che spiegano ogni stanza e poi magari quando torniamo a casa usiamo il grande potere di internet per farci un po' di cultura e studiamo un pochino.

Ultima considerazione: il digitale è un po' il pezzo che manca a questa mostra, ma anche a quasi tutte, ma il digitale come lo intendo io, e cioè una completa, studiata ma facile accattivante guida virtuale da guardarsi a casa prima o dopo la mostra che ci dia quei contenuti che non possiamo pensare di avere in un’oretta di visita. Ma la strada è quella giusta! 

Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano 

Francesco Martelli


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