1 maggio 2023

Demolizione della villa Liberty di Crema, vincolo e valore culturale

Riprendo l’articolo sulla demolizione della villa in stile liberty in via Monte di Pietà a Crema non certo per polemizzare: ormai quanto è accaduto lo si può solo costatare. Però le giustificazioni addotte a tale intervento vanno prese in seria considerazione in quanto costituiscono presupposti per ulteriori interventi. 

A prescindere quindi da quanto accaduto a Crema, ben si evidenzia come ancor oggi prevalga la convinzione di possedere criteri che sappiano distinguere ciò che ha valore storico-testimoniale da ciò che non lo ha. Sembra che non ci si sia accorti come la storia non è una conoscenza apodittica, ma si avvale di considerazioni che nel tempo vanno modificandosi in riferimento a nuovi contesti culturali. Chi non ricorda, ad esempio, come nel XIX secolo il Barocco fosse demonizzato e come anche nella prima metà del secolo successivo tale giudizio fosse ancora presente? Eppure tale stile, piaccia o non piaccia, è ricco di testimonianze culturali che vanno ben oltre la stessa arte. 

A tale proposito non si tralasci di ricordare quanto accaduto al Duomo di Crema.  Il restauro nelle intenzioni voleva ripristinare l’identità precedente del monumento, ma il risultato ottenuto è stato un “autentico falso storico”. Eppure con tanta tracotanza si era affermato che era assente il valore storico dell’edificio e che dovevano essere “recuperati” i precedenti stilemi. La storia, figlia del tempo, non è reversibile. Il passato o è testimoniato dai documenti (l’architettura di per sé costituisce un documento storico), oppure lo si mette in scena: lo si rappresenta, ma tale azione scenica nulla ha a che fare con la verità storica. 

Certamente per Crema la villa in oggetto assume una funzione differente rispetto a quella del Duomo per l’importanza monumentale che quest’ultimo possiede. Ma è doveroso sottolineare che il liberty, che noi a ragione definiamo “stile”, è una forma estetica che non solo testimonia valenze storico-sociali e culturali, ma attesta una storia complessa del “saper-fare architettura”. Il liberty non possiede caratteri strettamente unitari e ogni edificio costituisce una documentazione della sua evoluzione. Sarebbe opportuno ricordare, a tale proposito, che ogni edificio è da ritenersi un momento evolutivo dell’architettura, tesi sostenuta ed argomentata da Gustavo Giovannoni. Per tale motivo a Cremona Dario Rastelli, allievo del docente romano assertore del restauro scientifico, si era opposto a conferire un’unità rinascimentale a palazzo Fodri.

Ma c’è di più. La motivazione addotta per asserire che la villa non possedeva un valore storico-testimoniale è l’alterazione dell’impianto architettonico e tipologico originario avvenuta nel corso del secolo passato. Non riprendo l’esempio del Duomo di Crema (non voglio infierire!), ma osservo come sia un mero presupposto che la “verità” di un edificio consista in un impossibile, quanto irreale, mantenimento delle scelte progettuali originarie. Il tempo comporta invecchiamento e questo si manifesta in una serie di trasformazioni.  Gli edifici, come le persone, invecchiano e subiscono cambiamenti. 

Non si considera inoltre che il restauro-conservativo è disciplina, tutto sommato, recente. Il pensiero che la supporta riprende il tema della “memoria intrinseca o identitaria” e la prassi progettuale si avvale di tecniche conservative che sono state e sono tuttora oggetto di studio.  Il fondamento teoretico avrebbe bisogno non solo di essere enunciato, ma di essere argomentato. Valga comunque come considerazione comune la perdita di identità del nostro pianeta e le conseguenze di tale fenomeno. Le stesse considerazioni “per la salvaguardia della casa comune” non è patrimonio comune nonostante già stiamo subendo pesanti conseguenze che coinvolgono diversi settori: da quello clinico a quello ambientale. 

L’argomento del caso della villa liberty si sta allargando a dismisura? Forse sta oltrepassando il proprio orizzonte? Certamente. Ma quanto si vuole qui osservare è come sia comune l’atteggiamento: la non curanza dell’ambiente di cui è segno concreto anche il costruito. Si tratta principalmente di questione etica: il presente ha bisogno di mantenere vive le memorie del passato per avere consapevolezza dell’oggi in vista del futuro. Nel caso specifico dell’architettura le testimonianze sono necessarie per rendere vivibile il nostro habitat e non dimenticare che è “l’arte del costruire” è al contempo segno del sociale e della personalità dell’artefice. 

C’è poi da osservare, in margine alle posizioni espresse da chi giustifica la demolizione della villa, che il giudizio estetico, analogamente a quello storico, è giudizio individuale-soggettivo. Chi si può ergere a giudice e asserire che le motivazioni che vengono addotte sanciscono la validità o meno di un manufatto estetico? Di più: chi può individuare un’opera come espressione d’arte? La storia ha l’oggettività dei fatti, cioè degli accadimenti; un manufatto esibisce solo se stesso e la propria identità figlia del tempo. Esiste una storia dell’arte, ma questa testimonia come l’arte costituisca di per sé una componente culturale imprescindibile. Poi ciascuna opera è, come opportunamente asseriva Cesare Brandi, riconosciuta come tale dalla coscienza individuale nel momento in cui essa è “astante” (si esibisce) a chi ne constata la presenza. Gli studi preziosissimi degli storici dell’arte in primo luogo identificano l’oggetto, poi prendono per mano il fruitore e gli insegnano a guardare oltre l’immediata visione. Quest’ultimo diviene protagonista dell’esperienza estetica.  Per altro si ricordi che la stessa scienza è oggetto di importanti dibattiti che ben dimostrano come nessuna teoria sia incontrovertibile, ma sia conseguenziale ai “modelli” assunti. Non si tratta di assumere una posizione scettica, ma di constatare come il sapere, condizione imprescindibile della cultura in tutte le sue manifestazioni, sia soggetto continuamente ad istanze critiche. 

Addurre inoltre la scusa che la villa non aveva alcun vincolo è un atteggiamento culturale, mi si permetta, un po’ squallido: molto da burocrate, ma poco culturale. Far riferimento poi agli incentivi in vista di un indubbio miglioramento energetico lascia aperto un problema che, in modo troppo sbrigativo, è stato affrontato anche dai governi non solo in Italia, ma a livello europeo e, si potrebbe dire, a livello mondiale. Ma su tale argomento sarebbe opportuno un dibattito non di opinione, ma scientifico e aperto a più istanze. 

Non posso però non complimentarmi con l’Amministrazione di Crema per avere avvertito la necessità di chiedere supporto alla Soprintendenza che ha al suo interno studiosi di grande competenza ed esperienza.  

Con questo mi taccio. 

Spero solo che il liberty, sviluppatosi fuori dai nostri centri storici, trovi un’adeguata salvaguardia. È importante non perdere una testimonianza che identifica le nostre città e che tanta parte ha nella nostra Provincia. Il liberty testimonia la presenza di un tessuto sociale che andava affermandosi agli inizi del secolo scorso e che costituiva un’espressione capace ancora di magnificare l’artigianato. Dell’artigianato, particolarmente noi in Italia, abbiamo bisogno che venga salvaguardato e che si creino le condizioni che ne favoriscano lo sviluppo. 

Presidente della sezione di Cremona di Italia Nostra

Anna Lucia Maramotti Politi


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commenti


michele de crecchio

2 maggio 2023 00:25

Meglio di come ha scritto la mia amica Anna, non credo si sarebbe potuto fare. Per non sembrare eccessivamente elogiativo, mi permetto però, evadendo un poco dalla tematica così brillantemente affrontata, di aggiugere due piccole e banali riserve che, spero, mi verranno perdonate. La prima riserva, se non ricordo male, è che il miglior architetto cremonese del novecento, l'ottimo Rastelli, portava, se non ricordo male, il nome Vito (e non Dario, come sfuggito, penso per una evidente banale svista, all'ottima Anna).
Parimenti, se non proprio un errore, mi suona però come un poco gradevole arcaismo l'espressione "mi taccio", un modo di dire che è, ormai, solo una remota e quasi moribonda traccia di un parlare medioevale che alle orecchie contemporanee non suona da tempo ormai più molto gradevole. Con rinnovate scuse per la pignoleria della quale ho abusato, divagando dall'argomento già così ben trattato da Anna, mi scuso con la stessa Anna e l'annoiato lettore che mi abbia seguito fin qui. Buona notte a tutti.

Anna L. Maramotti

2 maggio 2023 07:49

Ebbene, sì. Grazie Michele. Per correttezza debbo dire che il nome Dario mi è venuto involontariamente spontaneo. Dario Rastelli, docente di lettere moderne laureatosi a Pavia, ha insegnato a Cremona, successivamente si è trasferito a Lucca. Perchè lo ricordo? Perchè è stato uno dei primi studiosi ad utlilizzare alla fine degli anni "60 dello scorso secolo strumenti innovativi (computer) per individuare le origini dei termini utilizzati da Dante. Inoltre, è stato uno dei primi a scrivere sulla prestigiosa rivista Cremona Produce, rivista la cui mancanza si avverte prepotentemente nel contesto culturale della nostra Città. Il mio errore è certamente grossolano, ma mi ha permesso almeno di ricordare una persona che ho apprezzato e ancor oggi apprezzo. Grazie Michele: te ne sono grata.
Scusami anche per aver utilizzato un'espresssione tanto in voga oggi nei dibattitti pubblici. Corsi e ricorsi della storia! I tuoi rilievi li apprezzo enormemente perchè sono sempre molto puntuali e non solo arricchiscono il dibattito nella nostra Cremona, ma ne implementano la memoria. A tutti buon inizio del mese di maggio.