15 dicembre 2024

Facciamo spazio al fratello, così che tutti possiamo sentire il mondo una casa

Il tempo dell’Avvento che ci orienta al Natale ci offre ogni anno di sostare nell’ascolto di Giovanni il Battista, uomo austero e ascetico che “non mangia pane e non beve vino” (cfr. Lc 7,33) a differenza di Gesù, il quale invece non disdegna di unirsi ai momenti conviviali a cui viene invitato. Nonostante la diversità nel loro atteggiamento entrambi restano inascoltati, perché tanto l’uno quanto l’altro chiedono e propongono a coloro a cui si rivolgono un cambiamento di vita e di mentalità non facile da mettere in pratica. Questa constatazione ripresa da una pagina di Vangelo diversa da quella che oggi si ascolta, ci aiuta a vedere la sostanziale continuità che c’è fra il Battista e Gesù, ancorché non manchino differenze, fra le quali spicca quella di identità: Giovanni immerge nell’acqua del Giordano, Colui che viene dopo immerge nel Fuoco dello Spirito; di fronte a Colui che viene dopo Giovanni è persino indegno di svolgere il ruolo del servo che slaccia i calzari del suo padrone; Giovanni, infine, annuncia i giorni futuri mentre Colui che viene dopo li realizza con il giudizio descritto con l’immagine della purificazione del frumento che viene separato dalla paglia. 

Eppure entrambi, ci dice Luca, evangelizzavano. Non meno che la parola di Gesù, quella di Giovanni è una buona novella, un annuncio di gioia e di salvezza. Anche le parole severe del Battista non sono una sentenza di condanna, ma l’offerta di una possibilità: Dio manda profeti, ancora una volta, ancora oggi, per offrirci la possibilità di dare alla nostra vita una qualità diversa, nuova, più fresca. Non possiamo che partire da qui, oggi, mettendoci in ascolto di Giovanni, accogliendo le sue parole come offerta di una novità di cui spesso nella vita abbiamo bisogno. Una novità che a volte cerchiamo con viaggi in posti esotici, cambi pettinatura o vestiario, frequentando luoghi diversi dai soliti. Giovanni ci regala una proposta originale, che penso valga la pena soffermarsi ad ascoltare. Alle folle, agli esattori delle tasse e ai soldati che gli chiedono “Cosa dobbiamo fare?”, Giovanni dice di continuare a fare quello che fanno, ma di farlo in modo diverso.

Giovanni invita a cogliere la novità in un atteggiamento diverso rispetto alla propria vita quotidiana mettendo al centro l’altro che ci sta accanto. Hai da mangiare, hai di che vestirti? Condividilo anche con chi non ne ha. Puoi esigere una percentuale sulle tasse per ricavare il tuo stipendio? Non eccedere rispetto al giusto che la legge ti prescrive. Hai il diritto di entrare nelle case, di perquisire, di confiscare? Non farlo per arricchirti, accontentati della tua paga e non fare della tua posizione un’occasione di usurpazione, lasciandoti corrompere o chiedendo tangenti per svolgere il tuo lavoro. 

Non sarebbe difficile, con un po’ di immaginazione, sentire Giovanni che oggi denuncia contro di noi le chiusure che abbiamo verso gli altri, che denuncia la sete di guadagni che talvolta ci prende, desiderando prendere quel che non ci spetta, solo perché possiamo farlo (impunemente).

E anche questo, ci dice Luca, è Vangelo, è buona notizia, perché se lo mettiamo in pratica crea lo spazio necessario perché il mondo sia da tutti abitato, senza che qualcuno lo abiti più degli altri.

Rileggendo questa pagina di Luca, mi è tornata in mente una canzone di Jovanotti che ormai ha trent’anni e che tuttavia trovo di una particolare attualità: 

dammi spazio spostati di un passo

per lo meno chi ha detto che sia tuo questo terreno

soltanto perché dici io c'ero prima

amico mio ascolta questa rima

non ho inventato io questo sistema

ma adesso abbiamo noi questo problema (Jovanotti, Dammi spazio, 1994).

Se ci ripensiamo la logica che Giovanni suggerisce altro non è che l’invito a fare spazio nelle nostre vite alla presenza degli altri, l’invito a farci accoglienti, dando a tutti la possibilità di vivere ed esistere, dando loro il necessario per sopravvivere dignitosamente (cibo e vestito) senza usurparne i diritti approfittando del ruolo che ricopriamo.

Rispetto ai tempi di Giovanni, oggi possiamo fare un passo in più. Possiamo chiederci non solo se i nostri comportamenti e atteggiamenti funzionano, ma possiamo chiederci se il sistema in cui viviamo è giusto, perché egualitario, oppure lo è solo per qualcuno, ritenuto più uguale degli altri. Don Romeo Cavedo, commentando questa pagina di Vangelo, diceva che per il mondo antico è incontestabile l’autorità dei re e degli imperatori, la libertà del cittadino era al di sotto della legge dello Stato. Per noi, a un paio di migliaia di anni di distanza, le cose sono un po’ diverse, oggi possiamo provare ad costruire o decostruire il sistema, non accontentandoci di esso, come se fosse un’entità divina alla quale sottomettersi e prostrarsi. 

Oggi parliamo di sistemi fiscali oppressivi, di sanità sempre meno disponibile, di mancanza di rapporti sociali per cui non ci si conosce tra vicini e si può morire in casa da soli trascorrendo mesi prima che qualcuno se ne accorga, di flussi migratori dai quali ci sentiamo schiacciati e che guardiamo con preoccupazione. Eppure ogni azione ha un responsabile e quella sovranità del popolo che si richiama in tempo di elezioni forse potrebbe interpellarci anche nel tempo che divide due campagne elettorali. Forse nel mondo non manca lo spazio, ma è mal distribuito, è gestito male, lo gestiamo male. Forse nel mondo non mancano il pane, il cibo, le case, manca l’idea di un sistema politico intelligente che sappia distribuire la ricchezza senza soffocare la capacità d’impresa. Forse le nostre città e paesi non sono irrimediabilmente segnati da relazioni sfilacciate, ma offrono la possibilità di nuove tessiture di rapporti. Forse oggi Giovanni ci ricorda che il dramma dell’uomo è sempre la sua libertà: una sfida, un impegno, un’opportunità. È qui che sta oggi e sempre ancora la differenza tra il giardino che Dio ha pensato e il deserto che talvolta riusciamo a produrre. 

Allora oggi diamo spazio a Dio e al fratello, diamo spazio al coraggio di idee nuove, diamo spazio alla voglia di non accontentarci del sistema, ma proviamo a ripensarlo, partendo dalle nostre relazioni perché come il lievito riescano a far fermentare la pasta della nostra società. 

Francesco Cortellini


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