Gli archivi locali. Come trasformare un problema in una risorsa
I casi che han fatto più discutere recentemente sono quelli di Lodi e di Napoli, ma molte sono le notizie di archivi che vengono chiusi per inadeguatezza delle sedi, spese eccesive di manutenzione, mancanza di addetti o addirittura per decenni di vero e proprio abbandono. Gli archivi sono un problema da anni per tutti gli enti locali perché costano e non “rendono”: costano gli impianti antincendio e quelli anti intrusione, costano le manutenzioni contro l’umidità e le infiltrazioni, costa il personale, che manca soprattutto specificamente istruito (benchè le università ne formino però in ottima qualità e buona quantità e che troppo spesso non trova occupazione).
E poi, diciamolo, si fa già così tanta fatica a sostenere pinacoteche e musei che pure hanno il pagamento degli ingressi, che investire negli archivi pare quasi incomprensibile.
Eppure non solo si può fare, ma funziona, e può addirittura “rendere”. Perché gli archivi sono né più né meno delle istituzioni culturali, e vale anche per loro la medesima, decennale, polemica italiana: la cultura è una risorsa economica?
Non c’è intrapresa che renda senza investimenti iniziali, è l’abc del programma di economia aziendale del primo anno di università. Occorre un progetto chiaro, un piano di investimenti, delle risorse, tenacia nella realizzazione e poi si possono raccogliere gli utili. Facile a dirsi, difficile a farsi? Forse, come tutto del resto.
La Cittadella degli Archivi che io dirigo, è oggi una realtà che ci ha addirittura consentito di ospitare l’unica sfilata di moda dal vivo di tutta la Settimana della Moda 2021, con una anteprima mondiale di un nuovo brand, un solido incasso per le casse comunali per pochi giorni di occupazione ed un ritorno mediatico imponente. Inoltre, siamo stati la “location” di alcuni spot pubblicitari, anche quelli a pagamento. Pur essendo un luogo estremamente periferico e post-industriale. Questo grazie a tanta fiducia, e tanti timori, di qualche lungimirante amministratore e ad un piano di investimenti in progetti culturali che hanno spaziato dagli interventi artistici di riqualificazione degli spazi, fino alle collaborazioni stabili con scuole ed università, volte alla ricerca e alla riscoperta dei tesori di carta. Investimenti, lo assicuro, di importi affrontabili e sostenibili.
Si tratta di innescare quel circolo virtuoso che è trasformazione del luogo, comunicazione all’esterno attraverso i social, attrazione degli addetti ai lavori, scelta del luogo per eventi che consentono di avere fondi per nuovi investimenti, ottenendo ancora più visibilità per aumentare la potenzialità divulgativa. Questo ovviamente non significa che gli eventi possano coprire le spese, ma non è questa la vocazione di un archivio. Certamente però ne consentono la sopravvivenza, che è sempre frutto di partecipazione collettiva.
Quali sono i punti di forza per cui gli archivi meritano che si investa su di loro?
Primo. La memoria. “Nous sommes ce que nous gardons” diceva Picasso, noi siamo ciò che decidiamo di conservare, tutta la civiltà umana si basa sul tramandare di generazione in generazione errori e conquiste: basterebbe questo a giustificare di investire negli archivi, e dell’importanza degli archivi ho già scritto nell’editoriale precedente.
Secondo. La forza del contatto: un documento coincide con l’emozione di trovarsi fisicamente davanti alla storia, la conferma che quanto ci è stato narrato è realmente accaduto.
Terzo. La “location” (termine che uso volutamente, perché come in tutti i termini anglofoni alligna il commerciale) . Gli archivi molto spesso si trovano in luoghi pieni di storia, edifici di pregio del centro storico, oppure in edifici di periferia isolati, ma di grandi dimensioni e con ampi spazi disponibili.
Quarto. L’eterogeneità. Il vantaggio di un archivio storico pubblico è l’ampiezza di contenuti: di qualunque argomento o evento si tratti in città, in archivio più o meno si trova una traccia. E questo consente di partire alla volta di connessioni e contenuti condivisibili con altri archivi, enti, fondazioni, scuole (quanto è fondamentale il rapporto e il coinvolgimento della scuola!!!), gruppi e realtà.
Come mettere a frutto questi punti di forza? Anzitutto prendendo posizione circa un'altra decennale diatriba italiana: i luoghi di cultura sono solo luoghi di conservazione ed esposizione o devono anche essere luoghi di interazione e di apprendimento? La mia posizione è evidentemente la seconda.
Qual è il momento in cui le due dinamiche, quella conservativa e quella divulgativa, possono coincidere?
La mostra, o meglio la mostra evento: cioè esporre un documento conservato, scegliendo una modalità che abbia il tratto esperienziale, e dentro una cornice che gli dia il valore aggiunto del “now or never”, cioè o ci vado adesso o mai più. I documenti che si trovano negli archivi, stavano lì anche prima. Ciò che fa evento è la modalità, il momento, la circostanza, la scenografia, la ricorrenza, all’interno delle quali li espongo.
Tutto questo ha senso però se abbiamo chiaro un obbiettivo, che non è incassare soldi: ma fare cultura, cioè fare in modo che il nostro patrimonio sia vivo e vissuto, partecipato, sentito come proprio da tutti e che tutti ne traggano un insegnamento, un po' di conoscenza, o anche solo ne ricordino l’esperienza. Perché le azioni dell’uomo sono figlie della sua cultura: ad una cultura forte e diffusa segue un agire consapevole e risoluto, ad una cultura debole lo smarrimento e l’indecisione. E ne abbiamo visto grandemente il tratto in questi tempi nefasti.
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di Archivistica all’Università degli Studi di Milano
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