Il 25 aprile tra storia reale e iconologia politica
Il 25 aprile del 1945 è la data con cui ufficialmente si conclude in Italia la Seconda Guerra Mondiale, data di fatto convenzionale perché in realtà quel giorno si sparava ancora, e molto: la guerra civile italiana tra partigiani e fascisti di Salò non era ancora finita. Ricordo che mia nonna paterna, che si sposò proprio il 25 aprile del 1945, mi raccontava che dopo la cerimonia, mentre andavano verso la loro nuova casa di sposi, udivano ancora gli spari delle mitraglie e nemmeno troppo in lontananza. E molti sono i partigiani caduti ancora quel giorno, come molti repubblichini e fascisti.
Questo per dire che la convenzionalità di una data ha un peso, e che la rappresentatività che essa raggiunge richiede tempo. Nel caso del 25 aprile poi ha richiesto decenni: la sacralità laica che essa ha raggiunto negli ultimi anni è l’approdo di un lungo e interessantissimo percorso che gli archivi ci raccontano con dovizia e che proverò a riassumere in queste poche righe.
L’Italia che si impone alla fine della guerra è quella di Alcide De Gasperi: un’Italia fortemente cattolica, anticomunista, votata al riscatto da una miseria devastante molto più che alla celebrazione della vittoria sul Fascismo. Ma è anche un’Italia per certi aspetti ancora totalitaria: la censura in molti campi è rigidissima e l’apparato pubblico è in gran parte formato da ex fascisti senza i quali non si può fa funzionare lo Stato, a meno di fare una devastante tabula rasa come quella che dei leninisti nel 1917 portando però alla fame e al collasso la Russia di allora.
In questa Italia, la piazza è ancora guardata con molto sospetto, e le forze dell’ordine sono ancora assai più facili al manganello che al controllo: le celebrazioni dei primi 25 aprile finiscono spesso a botte, anche perché progressivamente quella che fu la resistenza bianca si ritira dalle piazze nelle istituzioni, e le piazze divengono sempre più appannaggio delle forze di sinistra, che però hanno alle spalle lo spauracchio stalinista e il terrore dei cavalli dei cosacchi che si abbeverano alle fontane di Roma (oggi fa sorridere, ma all’epoca la prospettiva che la Cortina di ferro calasse su Roma era tutt’altro che divertente...).
La Lombardia e Milano sono state loro malgrado il centro di queste vicende celebrative, perché qui tra il ’43 ed il ’45 la recrudescenza del Fascismo con Salò fu la più truce e violenta, così come fu la più agguerrita e cruda la Resistenza. Il primo decennale della Resistenza a Milano, ma anche nel resto del Paese, fu una celebrazione piuttosto paludata, militaresca e conservatrice: ne è simbolo una foto dell’allora Presidente Einaudi che saluta l’Arcivescovo Montini in cappa magna paonazza ed ermellino bianco in una piazza Duomo occupata da 5.000 soldati in alta uniforme perfettamente disposti. Siamo nel 1955 e questa Italia dei monocolori democristiani inizia a mutare con il tramonto dell’epoca degasperiana e il principio di quella fanfaniana, che sarà prodromica alla stagione del centro sinistra moroteo degli anni ’60.
Nel 1963 Aldo Moro, per la prima volta nella storia repubblicana, apre alla sinistra facendone entrare al Governo alcuni partiti. Il clima muta radicalmente, fuori e dentro le istituzioni, e le celebrazioni del 25 aprile divengono per una serie di ragioni una sorta di vetrina pubblica di queste nuove intese. Pare addirittura che nell’accordo politico che porta alla fine del ’64 al secondo centro sinistra e poi alla elezione di Saragat alla Presidenza della Repubblica, primo uomo di sinistra, ci siano proprio tra le altre condizioni le celebrazioni della Resistenza.
Il 9 maggio del 1965, ventennale della marcia partigiana su Milano, si organizza una manifestazione dalle dimensioni colossali, tenuta a battesimo proprio da Saragat con tutto il Governo, Moro e Andreotti in prima fila, e con alcune icone partigiane portate in corteo come delle vere e proprie reliquie, come il padre dei fratelli Cervi. Piazza Duomo è stavolta gremita di gente e di partigiani, e il corteo cui sono chiamate tutte le regioni italiane si snoda da Porta Venezia fino a ben oltre Piazzale Loreto. Il centro sinistra è ormai realtà, e vive la sua epifania laica in questa Milano incredibilmente gremita e vestita a festa. Inizia da qui quella trasformazione del 25 aprile in un rito politico quasi sacrale, sua definitiva mutazione di qualche decennio dopo.
L’arrivo del ’68 e della contestazione investe anche i quadri dirigenti della sinistra, che si trovano improvvisamente accusati di essere istituzionalizzati e retorici, e questi sommovimenti si riverberano anche sul 25 aprile. Ne sono una testimonianza meravigliosamente interessante i manifesti celebrativi di quegli anni, in cui si assiste proprio a una differenziazione tra quelli più istituzionali e un po' retorici e quelli giovanili, molto più internazionali e concettuali: il 25 aprile inizia ad essere rappresentativo di tutte le lotte politiche mondiali di sinistra, e non più solo di quelle della vittoria su fascismo mussoliniano.
Questa frattura si ricomporrà solo alla fine degli anni ’70 con il ’78, ormai divenuto di fatto la istituzionalizzazione matura del ’68, e si assiste in qualche modo ad una fusione tra vecchio e nuovo, tra un antifascismo nazionale romantico e un po' retorico, e un antifascismo giovanile internazionale e molto più attualizzato. Da questa fusione dagli anni ’80, complice anche la totale scomparsa dalle piazze delle forze di centro e della gioventù di destra inghiottita dal dilagante edonismo americano, inizia progressivamente a maturare una sorta di cristallizzazione del 25 aprile che lo trasforma in una icona quasi sacra di tutte le sinistre, una sorta di patto generazionale rispettato da tutti che è divenuto poi a tutti gli effetti, come il Primo Maggio, una grande kermesse della sinistra italiana, non senza essere anche oggetto di polemiche feroci e a volte di riprovevoli scontri e tensioni.
E come sempre, conoscere il passato può aiutare a vivere più serenamente il presente, anche quello celebrativo, scrostando le diffidenze di chi se ne sente provocato ma anche attenuando il rigore di chi lo celebra più attivamente.
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
(la foto del professor Martelli è di Irina Mattioli)
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