18 agosto 2024

Il gesto più trasgressivo oggi? Seguire Cristo!

“S’anche ti lascerò per breve tempo, solitudine mia, se mi trascina l’amore, tornerò, stanne pur certa; i sentimenti cedono, tu resti”. Così scriveva la poetessa e scrittrice Alda Merini, donna enormemente ferita nel cuore e nella mente e proprio per questo così audace, efficace, autentica nel raccontare le trame dell’amore, i perigli dell’esistenza. Ella riconosceva una fragilità di fondo dell’uomo nell’affrontare le relazioni interpersonali, nell’investire sulla passione per l’altro e sui sentimenti più belli: amare, in fondo, significa soffrire, lottare, arrendersi, fallire! Meglio, allora, tornare a rifugiarsi tra le braccia impietose, ma apparentemente rassicuranti della solitudine. Per lei, anima eletta nel sondare i meandri dell’umano, la solitudine era necessaria compagnia di viaggio, ma per tanti di noi, abituati a vivere a pelo d’acqua, essa rappresenta una scorciatoia dei sentimenti, un rifugio dolorante eppure certo, un ricovero sicuro e confortevole nel breve periodo, ma a lungo andare estraniante e disumano.

La solitudine non impegna, non espone, non richiede ripensamenti o cambiamenti: è un territorio battuto da chi anela unicamente alla tranquillità, da chi si nutre di ignavia, da chi teme di portare alla luce il proprio animo, da chi non ritiene per nulla arricchente il confronto con gli altri, anzi lo valuta come una forma di debolezza: svelarsi agli altri, in fondo, significa esporsi alla vulnerabilità.

Oggi, il mondo, si inebria di solitudine e inneggia all’individualismo: i legami sono guardati con sospetto, le scelte definitive con orrore, i progetti di vita considerati sempre a scadenza, nessuno si sente più di pronunciare “finché morte non ci separi”; quello straordinario atto di abbandono riassunto nel “ti amerò per sempre” è stato trasformato in un miserevole “ti amerò finché mi sento”. È l’emozione che schiaccia la ragione, il presente che divora il futuro.

Siamo soli” canta Vasco Rossi e lo siamo perché non troviamo più nessuna ragione plausibile che ci spinga a creare legami, ad investire la nostra individualità all’interno di una comunità, ad accogliere un pensiero o uno stile di vita che non siano identici ai nostri, a soffrire perché l’altro o gli altri a cui ci siamo sinceramente consegnati non corrispondono alle nostre aspettative, ai nostri desideri.

Meglio soffrire soli che permettere agli altri di infliggere sofferenza! Meglio gestire un’affettiva – e una sessualità – “mordi e fuggi” piuttosto che farsi ingabbiare in una relazione definitiva. Le vie di fuga devono essere sempre ben evidenti! E, forse, chi gestisce “il mondo” vuole degli “uomini soli” perché più facilmente condizionabili, controllabili, gestibili. Gli uomini che hanno forti idealità comuni e un radicato senso di appartenenza fanno paura!

Oggi giorno, poi, vanno di moda quelle religioni orientali che offrono un benessere interiore, che non coinvolgono più di tanto dal punto di vista morale, che non pretendono un’adesione forte e chiara: regalano consigli, filosofie di vita, prospettive. Accennano senza compromettere.

Sarà anche per questo che il Cristianesimo è giudicato con sospetto e spesso con ostilità perché è tutto il contrario di quello che predica il “mondo”.

Il cristiano, anzitutto, si sente parte di un popolo, assume una identità chiara che certamente non annulla la sua personalità, ma gli permette di purificare la propria idea di libertà. Per Cristo essere liberi significa aderire ad un progetto che poggia su due pilastri essenziali: un amore donato senza riserve e senza condizioni e l’accettazione della realtà in cui si è immersi senza ideologizzazioni. Libero è solo colui che si affida ad un futuro condiviso.

Il cristiano, poi, riconosce che da solo non è capace di conquistare la felicità: essa si può gustare soltanto insieme agli altri riferendosi continuamente ad un Altro, che ben conosce l’animo umano e sa che cosa può realmente appagarlo!

Il peccato è, in fondo, la risposta sbagliata ad un desiderio di verità e di autenticità insito nel cuore umano: è la ricerca della felicità “in solitaria”, una felicità comunque transitoria, inquieta, non appagante! La vita di grazia, invece, conduce a raggiungere una felicità condivisa, purificata dall’amore e quindi per certi versi sofferta e che nessuno potrà mai rapire! Una felicità con gli altri e per gli altri…

Il cristiano, inoltre, sa che non c’è altro cibo cui saziarsi se non la vita del figlio di Dio, Gesù Cristo. Lui è l’unico uomo vero che può insegnare all’uomo ad essere più uomo svelandogli la potenza rivoluzionaria dell’amore oblativo, la fecondità del perdono, l’appagamento che offrono certe scelte radicali e definitive.

Il cristiano, infine, è consapevole che nel pane eucaristico scopre la propria identità, la propria sorgente e il proprio fine: l’amore che si lascia consumare – l’evangelista Giovanni direbbe “masticare”- . Solo questo amore “eroico” consegna all’uomo quella pienezza di senso che è la felicità vera. Un amore “eroico” che, però, è sostenuto dall’amore di Cristo. Il discepolo riesce ad amare, e ad amare oltre il limite umano, perché sperimenta sulla sua pelle questo amore, immeritato eppure potente, imprevisto eppure trasformante, inatteso eppure efficace.

Vivere orientati a Cristo, oggi che si cerca la trasgressione a tutti i costi, è forse l’atto più anticonvenzionale che la storia abbia mai contemplato. Provate a pensarci se non è così!

Claudio Rasoli


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commenti


Massimiliano

18 agosto 2024 10:48

Don Claudio mi sono scoperto rivoluzionario. Un abbraccio.

Alberto

20 agosto 2024 22:58

Cerco la solitudine perchè è diventata un'oasi di salvezza che mi salva dal deserto della paura della sofferenza .
Ho perso la fede e non so come ritrovarla