15 giugno 2024

Il teatrino di Cremona. Le scelte, le persone, la piazza

Il teatrino di Cremona è una definizione che si presta a facili ironie, a volte indovinate altre volte un po' eccessive. Quello che è importante è il messaggio che vorrebbe offrire ai cremonesi ma non solo, è un messaggio che può racchiudere determinati valori o trasmetterne altri che ogni singola persona interpreterà in maniera strettamente personale. Il bello sta proprio in questo, il fatto di poter dare spunti personali che riescano a partorire nuove idee o forme di confronto, partendo da quelle si può rinnovare veramente ciò che, spesso, vediamo come una continua ripetizione di errori storici.

Siamo nel 1988 alla XVII Triennale di Milano dove l'argomento della esposizione internazionale è “La città del mondo e il futuro delle metropoli”, nella serie di opere presenti fa capolino anche la città di Cremona, città che viene rappresentata con una immagine storica di Piazza del Duomo circondata da una struttura, a mo' di teatro delle marionette, arricchita da qualcosa che potrebbe ricordare una tavola imbandita. L'esposizione è curata da un gruppo di persone che fanno capo al direttore scientifico della mostra architetto Marco Romano, la Triennale, da sempre, rappresenta un enorme palcoscenico nel mondo, una sorta di crogiolo di idee che vengono riprese in ogni angolo del globo o quasi.

La scritta sotto il teatrino di Cremona è tutta da leggere, è bilanciata e di certo rivolta ai cittadini “Talvolta uno spazio pubblico viene immaginato nel suo insieme dalla collettività come un ambiente confortevole ed elegante”. Sono passati quasi 40 anni da quel teatrino e da quella scritta, Piazza del Duomo è ancora, circa, come l'immagine proposta; la città, forse, un po' meno. Il teatrino di Cremona è una opera che racconta molto di una città, la vede come una piazza pubblica ma che ha come contorno la tranquillità di una tavola domestica imbandita. Uno spazio pubblico, spesso poco idoneo alla comodità del singolo, che diventa confortevole ed elegante come un piccolo mondo privato, una fetta di vita quotidiana raccontata in una piazza piena di persone dove ognuno è parte di quella immagine.

Cremona è cambiata da quel 1988, come ogni città che si evolve ha trovato strade differenti da percorrere, che poi quelle strade siano sconnesse e destinate a perdersi o filanti e tranquille è tutta un'altra storia, quello dipende molto dalle scelte fatte. In quel teatrino il vero protagonista non è la piazza, almeno a mio modo di vedere, ma la collettività, quella collettività che sembra sempre più essere messa ai margini di decisioni o scelte in relazione alla strada da percorrere. La piazza è il contenitore, bellissimo nei suoi colori e nei suoi contenuti, che accoglie quei cittadini i quali sono, da secoli, il fulcro della vita di una comunità. L'allontanamento dalle decisioni cruciali non è solo un passaggio dannoso per la cittadinanza, ma lo diventa anche per coloro che dovrebbero scegliere quale strada prendere. E' cosa certa che la politica deve decidere, sulla base di un mandato popolare, quale direzione prendere; il principio cardine della democrazia sta proprio nel ruolo che viene affidato ad una persona, ma la risposta concreta alle esigenze delle persone sembra sparire in secondo piano a favore di progetti sempre meno rivolti a quella piazza e a ciò che la circonda, che sapeva raccogliere far vivere una comunità.

Cremona è cambiata e non poco in 40 anni, pensandoci bene 40 anni sono niente rispetto ai 2200 anni di storia che si porta dietro, la città non è una metropoli con tutti i suoi problemi, ma vede comunque ridursi sempre più quegli spazi che ne facevano un ambiente confortevole ed elegante. La necessità di ritrovare, riscoprire e tornare a vivere quegli spazi intorno a piazza del Duomo fino alla periferia è il vero teatrino, quello buono quello fatto per raccontare la storia che sta dietro una favola, perché avvicina lo spettatore ad un mondo che magari già conosce ma che vorrebbe provare a vivere in maniera differente. In questi 40 anni sembra che quegli spazi collettivi siano diventati sempre meno e sempre meno rivolti alla collettività; del resto è così dappertutto, ci viene ripetuto quasi come una sorta di giustificazione che però non trova conforto nella vita vita quotidiana. Sarà anche vero, però sembra che l'accelerazione verso la riduzione di quegli spazi e di quella collettività proceda sempre più velocemente e che stia fagocitando in maniera vorace, lasciando solo un futuro incerto, una parte sempre più ampia di Cremona.

Il salotto cittadino non può rimanere una isola in mezzo ad una sconfinata distesa d'acqua, perché prima o poi anche quella verrà erosa dal tempo e dalle scelte, è la natura stessa di una piccola isola quella che la vede destinata alla sparizione; senza idee per renderla vivibile sparirà come quei piccoli atolli paradisiaci ma sofferenti in base all'umore dell'Oceano. Il teatrino di Cremona racconta una storia, la storia di una città che, al pari di una tavola imbandita per gli ospiti, offre quel bisogno di confortevole vita quotidiana che non sia soltanto chiusa in quella piccola area, ma che si possa vivere anche in altri luoghi; in questo senso il passaggio più importante è proprio quello di valorizzare il rapporto tra la comunità e le scelte che dovranno essere fatte.

Marco Bragazzi


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