7 aprile 2023

Imparare a memoria la Costituzione per capire almeno che la persona è fine non mezzo

Spesso, quando i cittadini seguono il dibattito politico, sono presi da sgomento, data la facilità con cui molti parlamentari e uomini politici di ogni schieramento, anche di alto profilo istituzionale, mostrano una voragine di ignoranza dei principi fondamentali della Costituzione e del Diritto Costituzionale, dei Diritti universali dell’uomo votati dall’ONU, dei principi fondanti l’UE, fatti propri dallo Stato italiano. In particolare sembrano ignorare ciò che sta alla base di uno stato libero e democratico, che ha loro permesso di esprimere le loro opinioni (“idee” o “concetti” mi sembrano termini un poco forzati, nel loro caso) e di essere eletti dopo una libera campagna elettorale. Tra l’altro, hanno giurato di rispettare la Costituzione democratica e repubblicana. Ma l’hanno almeno letta? Per tale motivo, e per reagire al mio personale sgomento, è necessario richiamare alcuni principi che stanno alla base di uno stato liberale e democratico, così come è nato storicamente, alla base di una società solidale.

Rispetto alla nascita del consorzio umano, della comunità, dello Stato, è opportuno richiamare che si deve operare una scelta: se ci rifà ad una società che nasce sul principio: “homo homini lupus” da cui deriva come necessità: “bellum omnis contra omnes”: l’uso della forza come base della convivenza. Oppure se si considera che, come diceva Walter Benjamin, “noi siamo stati attesi sulla terra. Allora a noi, come ad ogni generazione che fu prima di noi, è stata consegnata una debole forza messianica, a cui il passato ha diritto”, Di certo, quando siamo nati, il primo atto che ci ha reso umani è stato un gesto tenero di accoglienza, un abbraccio, un’offerta di calore e nutrimento come risposta al nostro primo pianto. Da questo punto di vista, la comunità umana si fonda sulla pietas, sulla solidarietà, sull’accoglienza, sulla tenerezza, non sulla contrapposizione o negazione.

Più specificatamente, mi sembra che ci sia ignoranza totale rispetto a quello che chiamerei il diritto dei diritti, quello relativo all’individuo – alla persona nel linguaggio dei cattolici – che ne fa il punto fermo di tutta la costruzione politica di una democrazia avanzata come è la nostra e di uno stato di diritto. Il soggetto individuale, la persona, con la sua dignità, con i suoi diritti, con il suo assoluto valore, dovrebbe venire prima di ogni altra considerazione politica, giuridica, etica. Sembrano ignorare, troppi personaggi di potere, che, laddove questo elementare principio viene disatteso o violato, si dà inizio ad uno stato sostanzialmente illiberale, ci si avvia verso uno stato autoritario, che si pone al di sopra degli individui con le loro libertà e con il rispetto dovuto loro, in quanto esseri concreti, viventi.  

Ciò è avvenuto sia nel totalitarismo staliniano, dove tutto era subordinato al volere del Partito e alla edificazione dello stato socialista, con tristissime conseguenze che si possono cogliere ancora oggi nella struttura politica e giuridica della Russia attuale, nella quale si deportano i bambini per rieducarli, sia in quello fascista, che ha realizzato, come ricorda lo storico Emilio Gentile, il primo esperimento totalitario in Europa attuato da un partito/milizia, con la subordinazione degli interessi personali, privati, regionali allo Stato, teso a edificare una ‘nuova civiltà’, basata sulla militarizzazione della politica, la sacralizzazione dello Stato e il primato assoluto della nazione come comunità etnicamente omogenea. 

Il diritto dei diritti, studiato in filosofia all’università, l’ho più di recente riscoperto partecipando come relatore ad un convegno su padre Giuseppe Bozzetti, figlio di quel Romeo Bozzetti, uno dei Mille, che ebbe nascita a S. Marino in Beliseto e a cui abbiamo come Comune dedicato una targa. Scrisse padre Giuseppe Bozzetti, le cui lezioni romane furono seguite da personalità quali Alcide De Gasperi, Federico Sciacca e mons. Montini (futuro Paolo VI) e che divenne Preposito Generale dei Rosminiani, cioè VII successore di Antonio Rosmini: "Fu una liberazione quando trovai nella Filosofia del diritto di Rosmini che la persona umana è il diritto sussistente. Notiamo bene: la persona non solo ha dei diritti ma essa è il diritto". Il concetto di persona come diritto sussistente, a questo figlio di un cremonese, rivelò il senso del proprio esistere. 

Come laico, che ci tiene a sottolineare la propria laicità come valore su cui confrontarsi, due concetti mi affascinarono di questo studioso. Il primo è quello del libero ripiegarsi nella propria coscienza. Se Dio è una presenza silente e misteriosa che ognuno può trovare dentro di sé come possibile luce e richiamo al bene, è allora indispensabile lasciare a ciascuno la possibilità di ricercalo nel tempo storico e nel tempo della coscienza individuale, e di incontrarlo secondo la sua chiamata, oppure di non incontrarlo, lasciando la questione nel dubbio. Il secondo è quello di persona come diritto sussistente: fine, non mezzo.  

Se concepiamo la persona come centro di possibilità di cui la libertà di coscienza è momento fondante, in quanto spetta a lei sola la competenza di dire chi è, che fare della propria vita e di attribuirle un senso profondo, allora non esiste un astratto diritto, ma ogni singolo, calato nelle relazioni sociali che lo costituiscono, è valore supremo, è diritto vivente, da rispettare sopra ogni cosa. In un momento di abissale crisi della moralità pubblica e privata, quando tutto, proprio tutto, si può comprare e vendere – Robert Musil, nell’“L’uomo senza qualità” scriveva che ciò che caratterizza la prostituta è che lei vende solo una parte del proprio corpo, non tutta sé stessa, come fanno quasi tutti gli altri – è fondamentale ricordare che la libertà e la democrazia si rinnovano a partire dalle scelte morali di ciascun singolo nel rispetto delle persone come diritti incarnati.

In termini filosofici, il soggetto è ineffabile, non può essere definito, in quanto ogni definizione lo ingabbia in qualche cosa di troppo ristretto, o offensivo, o limitativo. Un concetto può essere definito, un individuo no. Uno dei maggiori filosofi italiani, Salvatore Natoli, lo afferma con grande chiarezza: il soggetto è “l'assolutamente singolare e come tale impredicabile. Può essere solamente indicato e per questo è addirittura ineffabile: il solo nominarlo lo generalizza e perciò lo tradisce” (La mia filosofia. Forme del mondo e saggezza del vivere, 2007). Lo stesso Duccio Demetrio, il più profondo studioso di scrittura dell’Io in Italia, nega che uno scritto autobiografico, nato da un patto individuale con sé stessi, possa essere classificato come un reperto di valore sociologico, o statistico: va accettato e rispettato come una testimonianza vissuta in prima persona di una donna o un uomo “che furono e che non si accontentarono solo di essere, ma, senza saperne il valore, in umiltà, vollero lanciare nel cosmico il loro grido o un sussurro”.

Ciò sta a significare che il soggetto che mi sta di fronte, va percepito come un essere corporeo vivente, senziente e pensante: un centro di elaborazione percettiva e cognitiva, un centro di esperienza autonomo rispetto al mio, con dei vissuti, una concezione di vita, una cultura, dei sentimenti, dei desideri e delle speranze, una concezione del mondo, di sé, della vita, assolutamente suoi. Scrive Laura Boella, a proposito di empatia: “Nel mio campo percettivo si presenta un individuo psicofisico, quindi non un corpo fisico, ma un corpo vivo che appartiene a un io che sente, pensa, vuole, e non fa solo parte della realtà esterna, ma è centro autonomo di orientamento nel mondo circostante, mi sta di fronte e interagisce con me”. 

E come tale irrompe nella mia esperienza, nel mio orizzonte vitale, emotivo e cognitivo, e mi pone il problema se io sono in grado di percepirlo come soggetto, oppure lo allontano da me, lo nego, chiudendolo in una etichetta, lo definisco ponendolo in una specie di prigione linguistica e concettuale: “straniero”, vecchio”, “malato”, “nemico”, “pazzo”, “bianco”, “nero”, “miscredente” ecc. Parole/etichette che una volta pronunciate, privano l’altro di una parte della sua umanità. E dei suoi diritti, inalienabili, che gli appartengono, come il respiro. 

La condizione di guerra è quella che favorisce in più larga misura questa opera di “etichettatura”, che annulla l’individualità dell’altro. Nasce il “nemico”, a cui vengono attribuiti le caratteristiche più feroci, invece magari ha solo “il tuo stesso identico umore, ma la divisa di un altro colore”. E così all’interno di una visione razzista o suprematista, magari un appartenente alla Gioventù hitleriana pensa di mandare in un campo di sterminio un “ebreo” col naso adunco e le dita con le unghie rapaci, e invece invia alla morte Edith Stein, grande studiosa di empatia, poi convertita al cattolicesimo, e santificata come Teresa Benedetta della Croce, dell’ordine delle Carmelitane Scalze. 

C’è un bellissimo passo di Paolo Jedlowski, nel suo testo “Intanto” del 2020, che sottolinea come chi ci spiazza di più sono i vissuti degli altri, sempre sorprendenti, fonti sempre inattese di stupore. Come gli altri elaborano, ad esempio, il senso della vita, degli incontri, dei rapporti. Parlando di migranti, inserisce un episodio spiazzante. In un quaderno di un giovane del Bengala, ritrovato su un barcone – lui è sparito in mare – trovano un dizionarietto, con alcune parole italiane. Uno si aspetterebbe parole utili, come ‘lavoro’, ‘farmacia’, ‘ospedale’ ‘documenti’. “Ma le parole annotate sono altre: ‘fiume’, ‘stelle’, ‘cielo’, ‘mare’, ‘poeta’, ‘attore’, ‘scrivere’, ‘conoscenza’. Mi trovo scaraventato in mezzo al mare, il cielo notturno sulla testa. In cuore il bello della vita”. 

Cristina Cattaneo, la dottoressa che esamina cadaveri rinvenuti nel Mediterraneo per restituire loro un volto, una storia, un nome, la dignità di esseri viventi, racconta che nella tasca di un altro annegato che era partito dal Corno d’Africa, trova un sacchetto. “Oddio, non sarà droga!”, pensa. No, non era droga, ma un poco di terra del suo paese natale da portare con sé (Naufraghi senza volto, Raffaello Cortina, 2018). 

Non vorrei citare esempi concreti più attuali, di cui si è dibattuto a lungo, in queste settimane. Per “educare” le zingare a non rubare di nuovo si tengono in carcere anche i loro bambini; per esaltare “la famiglia”, con “un padre” e “una madre”, si ordina la non registrazione anagrafica di figli di coppie omogenitoriali; per ingraziarsi le forze dell’ordine si propone la cancellazione del delitto di tortura. Per condannare le maternità surrogate, si finisce per considerare la pedofilia un male minore. Dove è andata a finire la concezione per cui ogni persona umana è “diritto sussistente”? Gramsci raccontò che per essere ammesso alle scuole elementari dovette imparare a memoria lo Statuto Albertino. Non sarebbe meglio, allora, far imparare a memoria la Costituzione a chi viene eletto e ricopre cariche istituzionali? E per chi non ce la fa, corsi di recupero e docenti di sostegno!

Carmine Lazzarini


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