L'amore non è mai inutile
“Vedere Gesù” è la grande aspirazione di un gruppo di greci che, forse attratti dalla fede e dal culto degli israeliti, si trova a Gerusalemme per la Pasqua ebraica. Probabilmente essi hanno sentito parlare di questo strano Rabbì, assai sapiente e operatore di prodigi, e si rivolgono a Filippo, originario di Betsaida di Galilea e quindi aperto al mondo pagano forse più degli altri apostoli.
Filippo, sentito poi Andrea, comunica a Cristo questo desiderio. Come tante risposte del Gesù giovanneo anche questa spiazza, perché sembra, almeno superficialmente, non centrare l’argomento. In realtà Cristo vuole purificare l’aspirazione di questi stranieri: essi, come tutti gli ellenisti, sono affascinati da discorsi di sapienza, dall’erudizione e della eloquenza dei maestri. Ma Cristo non è un retore e il suo messaggio non può essere ridotto a mera filosofia. La sua missione sulla terra è quella di rivelare l’amore di Dio Padre giocando tutto sé stesso in una relazione piena e definitiva con l’uomo, offrendo la sua vita sulla Croce.
Se essi vogliono vedere Gesù, cioè vogliono afferrare la sua identità, la sua essenza profonda, il suo modo di agire e di pensare allora devono contemplarlo sul legno maledetto, perché è lì che si manifesterà per quello che è. Lui non è altro che il seme che muore e che produce molto frutto.
Vedere Gesù significa abbracciare la Croce, cioè scommettere sull’amore gratuito, quello che tutto dà senza pretendere nulla, l’amore che accoglie l’altro anche se non corrisponde sempre alle aspettative, l’amore che non si lascia corrompere dal rancore ma perdona, l’amore che non si ribella arrabbiato di fronte a una realtà traboccante solo di dolore e fallimento, l’amore che trasforma i cuori induriti dal cinismo e dall’egoismo.
Solo chi perde vince, solo chi serve regna, solo chi lascia trova!
Il Cristianesimo è una cosa seria, non è una delle tante religioni o filosofie che promettono il benessere psico-fisico, l’ingresso in uno stato onirico di pace e serenità, un’autorealizzazione sganciata dalla realtà. Cristo prospetta una felicità, una beatitudine: egli promette la santità che è il compimento pieno della nostra umanità. La conquista della felicità non avviene fuggendo dal mondo, dalla propria corporeità e soprattutto dalla realtà in cui si è immersi, ma accogliendola fino in fondo, con tutte le contraddizioni, i fallimenti e le sofferenze che essa può provocare. La felicità si raggiunge solo abbracciando con amore la Croce, accettando, cioè, il presente così come la Provvidenza ce lo consegna, esercitandoci continuamente a mettere da parte le nostre pretese assurde, i nostri infantili capricci, le nostre relazioni immature dalle quali vogliamo trarre solo benefici, la nostra immagine che deve essere sempre vincente e accattivante.
Abbracciare la Croce significa guadagnare una profonda libertà interiore! Dai condizionamenti del mondo, dai giudizi degli altri, dalle corse ai primi posti, dal bisogno di essere lodati, ringraziati o peggio ancora compatiti, da quelle tante schiavitù (l’ira, la gola, la lussuria, l’invidia, l’accidia, la superbia, la cupidigia) cui il demonio vorrebbe farci soccombere.
Non è certo facile accogliere la Croce, anche Gesù, che è veramente uomo, sembra voler rifiutare questo percorso di purificazione e di spossessamento di sé stesso: è doloroso, esige impegno, non promette risultati in tempi brevi, richiede umiltà, abnegazione, pazienza infinita, caparbietà e tanta fiducia in quel Dio che non pone mai sulle spalle dell’uomo pesi superiori alle sue forze.
Giovanni parla della morte in Croce di Gesù, come l’ora della glorificazione, ma come si può parlare di gloria di fronte ad un patibolo infame riservato soltanto ai malfattori più incalliti e violenti?
È l’ora della glorificazione perché quella morte, che è manifestazione estrema dell’amore di Dio per l’umanità, ha provocato una fecondità straordinaria di bene. Da quella morte è nato un popolo che sa sacrificarsi per il bene di tutti, che è pronto a puntare i piedi quando è in gioco la sacralità della vita, la dignità degli ultimi, il riscatto dei poveri, la famiglia naturale aperta alla procreazione; un popolo che non teme di spendersi per la giustizia sociale, il rispetto dell’ambiente, la crescita armoniosa e l’educazione solida dei propri figli.
L’amore ha sempre la meglio sulla morte! Ogni sacrificio compiuto per amore non è mai vano, sprecato. L’amore non è mai inutile!
La vera morte è la sterilità di chi non dà, di chi non spende la propria vita, ma la vuole conservare gelosamente. Ma se il chicco di grano non si lascia avvolgere dalla terra, non marcisce, resterà irrimediabilmente solo. Resterà infecondo. Sarà irrimediabilmente inutile!
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commenti
Stefano
17 marzo 2024 17:17
Facile parlare di felicità senza entrare nelle situazioni di disastro sociale e personale di cui anche la Chiesa appare essere "complice"quanto meno nell'indifferenza o nella speculazione
Vacchelli Rosella
19 marzo 2024 21:59
Condivido il commento di Stefano. "Facile parlare di felicità" senza trovare il coraggio di guardare al dolore del mondo cioè dei singoli e delle società per quello che è e di chiamarlo col suo nome senza mistificazioni e fughe nel consolatorio. Fuori da uno sguardo di verità che poi comporta scelte di responsabilità anche la Chiesa risulta complice soprattutto se si accompagna ai potenti perchè ci sono posizioni e sodalizi che spengono lucidità e libertà di giudizio.
Stefano
20 marzo 2024 12:12
Grazie signora Vacchelli. Anzi se mai queste prediche sembrano la scusa per mettersi il cuore in pace, ovvero giustificare l inattivismo, l indifferenza istituzionale, Chiesa compresa, tanto poi c'è il paradiso, siamo a posto. E tutti vissero felici e contenti