11 giugno 2022

La Regina e l’orso Puddington, apoteosi e fine di un‘era

Winston Churchill era nato nel 1874, in piena Era Vittoriana, e ricorda nelle sue memorie che le parate militari cui assisteva da bambino nel centro di Londra davano l’impressione che l’Impero, allora veramente al suo apice, non sarebbe mai tramontato. C’è un vecchio film degli anni ’50 che si chiama “Il Principe e la ballerina”, in cui recitano due miti del cinema come Laurence Olivier e Marilyn Monroe, lui Arciduca Reggente della vecchia Europa e lei ballerina americana senza storia ma con abbondanti argomenti… Quasi tutto il film ruota attorno alle sconfinate, lunghissime e straordinarie parate londinesi cui tutto il mondo partecipava, a gloria del Britannia Imperat. E non ha fatto eccezione la ormai mitologica Regina Elisabetta II, che per il suo Giubileo di Platino, che lo festeggia come la regnante più longeva d’Europa dopo il Re Sole, è stata osannata da migliaia di soldati in fantastiche uniformi, cavalli, carrozze, aerei militari, e da milioni di sudditi sbandieranti in tutte le parti del globo su cui ancora regna serenamente, ultima surreale vestigia dell’ultimo impero della terra. In più, anche qui in perfetta tradizione swinging London, ci ha aggiunto un mega concerto rock pieno di super star.

“Apres moi, deluge!”, dopo di me sarà il diluvio, disse Luigi XV ben consapevole di quello che attendeva i rampolli di San Luigi: un bagno di sangue rivoluzionario che avrebbe lavato anni di sperperi e lussi senza pari. Elisabetta è riuscita più volte ad arginare il diluvio, e pare che la monarchia britannica goda di ottima salute, con ben tre linee dirette di successione al trono tutte accanto a lei sul balcone di Buckingham Palace, lo stesso dove suo padre Giorgio VI e Winston Churchill salutarono la fine della guerra ma anche dell’Impero nel 1945…

Le parate militari nei grandi imperi hanno sempre avuto lo scopo di rappresentarne il potere, il prestigio, l’intramontabilità e la sconfinatezza geografica. A Roma, madre di tutti gli imperi, i grandi generali vittoriosi venivano portati in “Trionfo” e con essi sfilavano genti sconosciute dai variopinti costumi, animali esotici e tesori favolosi: tutto a gloria della inarrestabile espansione territoriale e dalla invincibilità della Repubblica prima e dell’Impero poi. Non è un caso che proprio in Inghilterra ancora oggi si tengano queste parate, unica nazione al mondo: come ben vide il grande storico Arnold J. Toynbee, la Britannia è la vera unica erede storica di Roma, l’unica ad aver mutuato appieno l’imperialità romana, con lo stesso senso del dovere, lo stesso orgoglio, la stessa determinazione (e anche una certa spietatezza bellica e commerciale), la stessa infallibile struttura politica militare e mercantile. 

Elisabetta II ha dunque goduto, forse ultima sovrana, del suo “Trionfo” in perfetto stile imperiale. Ma ci ha aggiunto qualcosa di veramente speciale: un video perfettamente realizzato in cui la 96enne Sovrana estrae un sandwich alla marmellata dalla borsetta assieme ad un cartone animato, l’orsetto Puddington, beniamino dei bimbi inglesi da 60 anni. Un trionfo mediatico incredibile, un osanna di lodi alla Regina quasi centenaria che scherza con sé stessa recitando impeccabile per la gioia di tre generazioni di sudditi che sono nati quasi tutti sotto il suo regno: una vera madrina del suo popolo, che non sbaglia mai un colpo, baciata da una regalità quasi taumaturgica degni dei grandi re medioevali.

Ma né il tripudio mediatico, né quello imperialista vecchio stile, mi hanno fatto passare quel rumore di fondo che ho percepito dall’inizio di queste celebrazioni: qualcosa di cui in realtà, sotto sotto, non interessa più nulla a nessuno. Nonostante il carisma unico della Regina, nonostante le indovinatissime scelte mediatiche, la grandiosa capacità di mettere insieme il rock e le uniformi coloniali, i nipotini scherzosi con le carrozze dorate, l’odore di superato non ho mai smesso di sentirlo. Perché il mondo è già cambiato. Le parate elisabettiane, simbolo di tradizione e lusso sono sopravvissute alle furie sessantottine della contestazione, ma non credo sopravviveranno ad un nemico ben più potente che avanza inarrestabile: l’oblio. La dimenticanza è la cifra del mondo che avanza, nel senso proprio di ignorare il meglio o il peggio, ma di conoscere solo il minimo e farselo bastare. 

L’altra sera tornando a casa passeggiavo davanti all’Università degli Studi, letteralmente circondata da migliaia di studenti: un muro umano inattraversabile.  Contestavano? Per niente, festeggiavano. Festeggiavano come non ci fosse un domani, ma con qualche bicchiere di plastica in mano e poco più. Un tripudio che in me, che ho vissuto una jeunesse dorée quasi da Dolce Vita, ha dato una sensazione veramente contrastante: da un lato una grande stima, dall’altro, lo ammetto, un po' di sano e sdegnoso rigetto. Perché come diceva Talleyrand, chi non ha vissuto gli anni di Versailles non può capire cosa sia la dolcezza vera del vivere. Perché accontentarsi, per come siamo cresciuti noi, è un po' una roba da sfigati. Si divertono con qualcosa che per la mia generazione edonista è veramente poco e nulla: ma in questo li invidio moltissimo, perché sono già settati geneticamente per un nuovo mondo, già pronti a una società che gli darà molto molto meno di quanto ha dato ai nostri padri e promesso a noi.

L’impressione che si ha delle nuove generazioni è che hanno proprio un sistema di valori completamente diverso perfino dalla mia generazione che di anni ne ha poco di quaranta. Sono più asciutti, più pratici, meno portati a fantasticare, molto meno baldanzosi, hanno meno vizi e danno nessuna importanza a cose futili che per noi erano un “must”. Per noi l’automobile era tutto, loro girano in monopattino. In parte perché sono dei veri ecologisti, in parte perché non avranno mai i soldi per comprarsi una macchina. L’elevazione del “vorrei ma non posso” a standard normale di vita è uno dei grandi intrecci della contemporaneità, tra inganno commerciale e necessità di sopravvivenza. Ma è anche un grande rischio. Io il monopattino non l’ho mai usato, e ho sostituito da tempo l’auto coi mezzi pubblici. Però l’ebrezza di correre sulla Corniche di Montecarlo con una jaguar cabrio come in un film di Hitchcock l’ho provata, e ne è assolutamente valsa la pena. Certe raffinatezze un po' superficiali sono la dolcezza del vivere. E la dolcezza del vivere va provata sempre: poi si decide se ne inseguirla tutta la vita o rifiutarla tutta la vita, ma è una questione di memoria e tradizione, perché si trasmette a chi viene  dopo di noi solo il meglio e il peggio della vita. Se c’è una cosa che non si potrà mai dire degli anni ’70 e degli anni ‘80 è che fossero mediocri: non ci arrendeva mai alla mediocrità. Chi contestava ha perso, ma almeno aveva chiaro davanti cosa non gli piaceva. Chi era ambizioso ha sperperato a scapito di chi è venuto dopo, ma di certo ha goduto. Ciò che mi spaventa è che da qui in avanti ci sia solo una pericolosissima abitudine ad un ordinario al ribasso. 

Come diceva Loganesi, vissero infelici e contenti, perché costava di meno…

Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano

(la foto del professor Martelli è di Irina Mattioli) 

Francesco Martelli


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