La storia del re che non voleva abdicare. Quando nelle fiabe ci sono i nostri sogni e le nostre speranze
Ai miei nipoti piace molto ascoltare una fiaba d’altri tempi, quando sono stanchi di stare davanti al computer e rischiano di annoiarsi e riesco a strapparli alle loro sofisticatissime, ma anche stupidissime meraviglie elettroniche ed informatiche. Ed è così che comincio.
C’era una volta, tanto ma tanto tempo fa, al tempo delle fiabe, un re che si sentiva invecchiare, mentre ai confini del regno premevano i barbari, che avrebbero invaso il suo reame, distrutto la civiltà in cui credeva, stravolto i valori a cui aveva dedicato la vita. Ogni tanto gli capitava di inciampare mentre tentava di salire sul trono, oppure facendo le scale del suo palazzo. Altre volte perdeva l’orientamento e non riconosceva più il corridoio dove stava la sua stanza da letto, confondeva il nome dei suoi ministri, e perfino il nome del suo peggior nemico. Come fare, dato che non aveva più figli legittimi in vita, essendogli morto il figlio che adorava?
Chi poteva succedergli e assicurare la salvezza del suo regno? Gli stessi suoi dignitari di corte, ministri e consiglieri erano assai dubbiosi sulla strada da intraprendere. In realtà una soluzione ci sarebbe stata, ma non era da tutti accettata: sollevava riserve anche tra i suoi più fedeli cortigiani.
Il re aveva avuto da giovane un amore nascosto, una bellissima donna, che però non era di nobili natali: era loro nata una figlia naturale, come si diceva ai suoi tempi. Era sicuramente all’altezza del compito. Pronta, intelligente, decisa: sapeva cogliere sempre il momento giusto per quando doveva essere cauta e diplomatica, e per quando invece era necessario rompere gli indugi. Quando le veniva assegnato qualche incarico secondario, qualche faccenda un poco complessa anche se non di primo piano, si era sempre dimostrata all’altezza delle attese.
Però, data la sua origine non proprio nobilissima, per molti sarebbe stato disdicevole proporre al popolo e soprattutto ai dignitari, la sua figura. E in più, il difetto più grande agli occhi soprattutto della corte: era una donna. Nel suo regno non si era mai vista né sentita una figura femminile tenere le redini di quella carrozza velocissima a volte, e altre lentissima, come appariva il suo sterminato reame.
Molti dei suoi più fedeli collaboratori avrebbero accettato prontamente la sua proposta, una volta che fosse stata da lui avanzata. Come fare, tuttavia, a convincere i titubanti, gli incerti, i timorosi delle novità?
Dopo avere a lungo pensato, ed essersi confidato solo con strettissimi collaboratori, l’anziano signore, che in realtà era un abilissimo stratega e conosceva a fondo tutti i segreti dell’animo umano, escogitò uno stratagemma. Avrebbe continuato a lungo a commettere errori, a inciampare e a cadere, ad apparire confuso, in modo che tutti avrebbero temuto una sua sconfitta, e a ritenere prossima la caduta del loro regno.
Quando tutti, ma proprio tutti, avrebbero avuto la certezza che il nemico era ormai alle porte, che gli ultimi baluardi della loro civiltà erano ormai barcollanti, quasi indifendibili, in quel momento avrebbero auspicato l’arrivo di un salvatore, di un eroe, capace di rinfocolare gli entusiasmi, dare coraggio ai fanti e ai cavalieri, risollevare le sorti del regno, riaccendere la fiducia del popolo, che in massa sarebbe accorso a dare man forte ai difensori. Anche gli incerti, e gli invidiosi, si sarebbero arresi.
E perché non un’eroina, una nuova Giovanna d’Arco? D’altra parte, date le frequenti guerre e le epidemie che avevano fiaccato le migliori forze dei suoi territori, delle città e dei villaggi, le donne spesso erano state chiamate a impegnarsi in prima persona a svolgere compiti sempre più importanti e delicati. La proposta di una principessa a capo del regno, anche senza essere nobile come il padre, sarebbe stata accolta dalle altre donne con entusiasmo, come la fine di un’ingiustizia.
E così avvenne un miracolo inaspettato. Il sovrano, all’ultimo momento, consigliato dai medici e dai guaritori più esperti e stimati, ma anche dagli indovini che erano numerosi alla sua Corte, come in tutte le Corti del resto, pronunciò la parola fatidica: “Non sono più in grado di affrontare le gravi difficoltà del regno. Magari potrei ancora per una battaglia o due, ma dove trovare le forze per reggere con polso fermo gli anni cruciali che ci attendono? Così propongo a tutti, ministri e dignitari, amministratori e consiglieri, agli uomini e alle donne da cui è composto il nostro popolo, un degno successore. Anzi, una donna forte e coraggiosa che saprà sconfiggere i nostri nemici, che presuntuosamente pensano ad un nostro tracollo, ad una vittoria certa. Questo è il dono che faccio a tutti voi”. E come d’incanto anche i dubbiosi accettarono di buon grado la sua saggia decisione.
Certo non fu facile riacquistare il terreno perduto, ma ormai il regno aveva trovato una nuova guida, che sarebbe stata capace di portare tutti quanti alla vittoria. E avvenne proprio così: la tempesta passò e alla sera le nuvole si colorarono ancora di rosso”.
Dopo avermi ascoltato con grande attenzione, ecco i miei nipoti dire: “Bella, nonno, la tua fiaba”. Poi, diventati più seri, domandare: “Ma tu, nonno, anche così vecchio, credi ancora nelle fiabe?”. “Certo, nelle fiabe stanno i nostri sogni e le nostre speranze. Per questo ho ancora voglia di vivere, di raccontare storie, di sorridere ad un futuro migliore. Anche per voi”.
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commenti
ennio serventi
19 luglio 2024 07:49
..... e forse anche le nostre utopie.
ciao.
Vacchelli Rosella
23 luglio 2024 22:49
Il fatto è che spesso si ricorre alle donne quando si è alla frutta. E' il caso della Harris senza concorrenti nel suo partito (meglio non bruciare future ambizioni in una congiuntura simile) e anche quello ancora futuribile del sacerdozio femminile nella Chiesa cattolica. Sono favole tristi.