5 novembre 2022

Le marcite: dai cistercensi di Chiaravalle agli Sforza, un miracolo lombardo

Chiaravalle è uno degli ex- comuni che l’anno venturo festeggeranno la propria aggregazione al Comune di Milano: oggi è un quartiere a sud est della città in buona parte ancora immerso nel Parco Agricolo Sud, e per la verità benché fosse Comune si trattava per lo più di un corposo agglomerato di aziende agricole che gravitavano attorno alla splendida Abbazia che ancora oggi troneggia serafica e che per secoli ne è stata il cuore pulsante e produttivo. Fu fondata nel 1135 da un gigante della fede, quel grandioso San Bernardo di Clarivaux che colonizzò mezza Europa di allora con le sue formidabili abbazie. Era questi un monaco cistercense, ordine che ebbe origine nella Abbazia di Citeaux (Cistercium in latino appunto), nella ricca potente e splendida Borgogna francese, fondata a sua volta da San Roberto di Molésm nel 1098. Tutti facevano parte della grande famiglia dei monaci di Cluny vicino ad Autun, il più grande monastero mai costruito che arrivò al suo massimo splendore a contenere al suo interno oltre 22.000 monaci, tutti ispirati alla stretta osservanza della “regola” del più grande monaco di tutti i tempi, quel Benedetto da Norcia fondatore del monachesimo occidentale. Quella “regola” che tanto spesso è stata erroneamente ma anche perfettamente riassunta nel motto “ora, studia et labora”. E infatti, i monasteri benedettini divennero in breve tempo degli incredibili microcosmi dove preghiera, contemplazione, studio e lavoro manuale gratuito generarono delle perfette macchine di sviluppo economico, la Abbazie, fonti di enormi ricchezze che divennero poi nei secoli agognate prebende di aristocratici potentissimi alla perenne ricerca di fonti di denaro da sperperare.

Pare proprio che fu Bernardo di Chiaravalle ad aver introdotto in Lombardia l'uso dei canali per l'irrigazione, in aperta campagna, e benchè secondo alcuni già prima si praticasse questo uso, furono di certo quei suoi monaci a farne un vero miracolo agrario. In alcuni documenti dei primi anni del XII coevi se non di poco anteriori  all’arrivo dei Cistercensi nel milanese, compare l’espressione “prato marcido”, ma la formula  “in marcitis”, si trova per la prima volta in una pergamena del 1188 (quindi successiva di 50 anni all’arrivo di Bernardo) riguardante una permuta di terre tra Ozzero e il monastero di Morimondo. Erano nate “le marcite”, un miracolo padano tesoro dell’umanità, nato dalle capacità che solo i monaci potevano avere di trasformare le asperità di un territorio in una risorsa con la loro dedizione e gratuità nelle ore quotidiane mai rimandate di lavoro indefesso e studio devotissimo; un miracolo che diventa poi centrale per secoli nello sviluppo agricolo, economico e militare della Lombardia.

Grazie alla marcita cresce come da un miracolo di abbondanza la disponibilità di latte e nasce quindi l’esigenza di conservarlo più a lungo. Ecco l'idea di ribollire il latte, aggiungervi il caglio, salarlo: nasce il Grana Padano, secondo la tradizione proprio a Chiaravalle dal 1135.

Ma la marcita non è solo abbondanza di latte: è abbondanza di erba, anche in inverno, e l’erba era il carburante dei cavalli da guerra, i carrarmati di allora: doppia erba  voleva dire doppia benzina per le truppe corazzate, ed ecco la potenza militare dei Visconti e soprattutto degli Sforza che tanto dovette alle marcite della propria supremazia militare, al punto che un genio come Leonardo si occupò su mandato preciso di Ludovico il Moro delle marcite, di come innovarle, di sistemi di irrigazione complessi e avveniristici mutati da secoli di pazienza cistercense: alla Sforzesca il grande genio vinciano si dedicherà a straordinarie innovazioni in campo agricolo sul terreno fertile, in tutti i sensi, dei frati di Bernardo.

Meriterebbe qui, ma non ne abbiamo il tempo, che ci si occupasse del rapporto incredibile tra Leonardo e l’acqua, che proprio qui nelle nostre umidissime terre di Lombardia tanta genialità produsse in fiumi di appunti di un acume indicibile. Perfino della nebbia, nei pressi della sua casa di fianco alla basilica di Sant’Ambrogio, Leonardo nelle buie sere invernali, osservatore instancabile, tesse le lodi incantato con quel suo incipit “poni mente sul far della sera” alla nebbia che si forma…

Ma torniamo alle nostre marcite: quale meraviglioso genius loci ha ispirato l’idea di sfruttare le acque dei fontanili e delle rogge, acque sorgive mai sotto i 10 gradi in inverno a mai sopra in 18 in estate, che d’inverno son più calde dell’aria ( una volta i nostri contadini ci mettevano i piedi per scaldarseli, piedi che stavano nella macchia umida dei campi sotto zero…), facendo capire ai monaci che quell’acqua tiepida poteva sghiacciare la terra dura d’inverno e far germinare l’erba perfino dai ghiacci delle brine scure di gennaio?! E così nasce un paradosso che ha del miracoloso, non c’è dubbio: diventa iper-produttiva quella terra ostile dell’inverno padano, superando tutte le altre per fertilità, e i lombrichi giganti pasciuti dai fanghi dei canali richiamo centinaia di uccelli e questi altri animali ancora, e così la natura che negli inverni impossibili di allora soffriva di stenti rivive e rinasce in pieno gelo. 

E l’acqua discesa in pianura dai monti non va dispera al mare dai grandi fiumi ma rimane nelle nostre terre e ritorna in falda, come in un perfetto meccanismo circolare quasi più confuciano che cattolico. Agronomi tedeschi e olandesi  per secoli studieranno le marcite senza riuscire a riprodurle, e ne lodano le straordinarie doti di fertilità e il talento dei loro custodi padani. 

Studi, disegni, misurazioni, lenta e paziente osservazione di pendenze e esposizioni a nord o a sud dei lotti di terreno minuziosamente nominati e censiti, e poi un lavoro di vanga paziente, lunghissimo, delicato e instancabile (la cosidetta “ vangata bugiarda”), che serve a rintuzzare continuamente gli argini dei canali a pelo del terreno per consentire alle acque di allagare i prati piatti come tavole da biliardo sommergendoli sottile e precisa come una lama, mai troppo alta e mai troppo bassa.

Ne nasce perfino un incredibile trattato, un capolavoro di cultura agraria che si chiama “Libro delli prati del Monastero di Chiaravalle, il nome, la forma, il sitto, li confini, de qual aqua si adaquano  fatta per  don Silverio de Massa nel ano 1578”: un volumetto impressionante per la precisione tecnica, per le mappe che disegnano complicatissimi incastri a cascata di canali che da maestri divengono di colo per poi tornare maestri in un gioco di alternanze incredibile e fruttuoso. Disegni, planimetrie, mappali, perfino schizzi di case casotte e cascine con  croci che segnano esposizioni solari eccessive o ombre perenni su prati perfettamente piani e lisci, irrigati da canaletti e chiusini che come serpentine elettriche irradiano di acqua la brutale terra ghiaccia dell’inverno.

Dagli anni ’60 del ‘900 la marcite vengono progressivamente messe al bando dalle colture intensive, il mais raccolto in settembre ha sostituito d’inverno l’erba di marcita,  e i consumatori non vogliono più il burro giallo del latte d’erba allagata, ma solo i bianchissimi candidi panetti del latte super scremato …

Quanta meravigliosa storia anche nelle nostre timide e scontrose terre di bassa Lombardia.

Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano  

Francesco Martelli


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