23 luglio 2022

Ludovico il Moro compie gli anni: il vertice del Rinascimento nella Milano più chic della storia

Il 27 luglio di 570 anni fa nasceva nel castello di Vigevano Ludovico Sforza detto Il Moro: Duca di Milano, Signore di Genova, mecenate di straordinari artisti, uomo di eleganza raffinatissima e politico tanto abile quanto sfortunato. Guidò il Ducato di Milano prima come Reggente e poi come Duca per 20 anni, durante i quali la corte sforzesca divenne la più ricca, potente, ammirata e raffinata di tutta Europa, raggiungendo un apice unico nella storia di Milano e della Lombardia, fondamentale anche per le nostre terre cremasche e cremonesi che per secoli furono loro appannaggio.

Il soprannome di “moro” gli venne quasi certamente dalla capigliatura incredibilmente folta e scurissima, così scura che nelle pale d’altare da lui commissionate i suoi capelli sono dipinti con il blu oltremare scuro. Secondo altri, il soprannome gli venne dall’aver introdotto la coltivazione del gelso “morone” nel Ducato, portando così la seta in Lombardia e dando vita ad una tradizione di moda e tessuti che ancora oggi fa di Milano una capitale mondiale. E infatti, la corte sforzesca era famosa in tutto il mondo per essere la più elegante e sfarzosa del tempo, come si evince da ogni dipinto dell’epoca: le vesti dai tessuti broccati o marezzati nei colori più preziosi o sgargianti sono il simbolo della dinastia, che era anche una delle più belle: suo fratello, il primogenito e Duca Galeazzo Maria Sforza era probabilmente il più bel principe d’Europa, campione di bellezza, lussuria, eleganza e ambizione, inarrivabile nella sua cascata di riccioli dorati che incorniciavano un naso adunco da capostipite di razza, sempre in cavallo bianco e armature ricoperte di porpore e ori. A proposito: dimenticatevi di Toledo o di Damasco, le migliori armature del mondo si facevano nella Milano degli Sforza… 

Del resto, il loro sangue non poteva tradirli: erano figli di un vigoroso e affascinante guerriero in carriera, Francesco Sforza, e di una raffinatissima e diafana duchessa, Bianca Maria Visconti, Signora di Cremona città che amava moltissimo. Lui, Francesco Attendolo, fu chiamato Sforza per le sue straordinarie doti di guerriero: era figlio di Muzio Attendolo, un contadino romagnolo di forza e bellezza non comuni che partito da una cascina con in mano un randello divenne il capitano di ventura più pagato d’Italia, fino ad essere l’amante di Giovanna Regina di Napoli, donna assai brutta ma degli appetiti sessuali insaziabili, tanto che dopo il padre ebbe nel letto proprio il Francesco futuro Duca. La madre dei nostri era invece la nobilissima erede di Filippo Maria, ultimo Duca dei Visconti: astutissimo ma paranoico, obeso, omosessuale eppure spietato, esoterista e cultore di veleni. Fu lui a perdere Crema cedendola a Venezia, città un tempo prezioso appannaggio speciale del primogenito del Duca di Milano. Fu in verità odiatissimo dai milanesi, che proclamarono perfino una repubblica alla sua morte, tanto che per salvare la sua traballante eredità la raffinata Bianca Maria si concesse in sposa allo Sforza e alle sue salvifiche truppe: un Ducato in cambio della salvezza, un matrimonio che si direbbe oggi tra un potente parvenu ed una altolocata ereditiera. 

La famiglia dello Sforza era unita: i genitori governavano saggi e stimati e i fratelli si volevano bene. Ma scomparso il padre Francesco, il figlio e nuovo Duca Galeazzo Maria non fu all’altezza del padre: ben presto la sua bellezza e ambizione si mutarono in follia e depravazione, provocando sdegno e facendolo morire pugnalato da una congiura in un chiostro coperto di neve nel 1476. Ed ecco che il nostro Ludovico, fino ad allora riservato e colto secondogenito, entra sul palco della storia: il Moro “regge” il Ducato del piccolo nipote Gian Galeazzo Sforza, che crescendo si rivela un debosciato libidinoso e malaticcio: finisce avvelenato a mezzo di un serpente pare proprio per ordine dello stesso Ludovico, che dopo anni di reggenza più di ogni cosa ormai bramava il potere assoluto, e lo meritava decisamente più dell’incapace nipote. Diventa finalmente Duca di Milano nel 1494.

Milano, che grazie a lui e all’eredità paterna stava diventando la città più ricca, raffinata e colta d’Europa, era pronta per essere anche la padrona d’Italia, almeno nei sogni del Moro, che già ne aveva fatto la capitale della moda, delle armi e dei commerci. E della cultura: Leonardo da Vinci trascorse il periodo stabile più lungo della sua vita, quasi 20 anni, nella Milano di Ludovico, protetto e coccolato quale pittore, inventore, urbanista, ingegnere, armaiolo, scultore e maestro di cerimonie. Soprattutto come maestro di cerimonie: Leonardo si presentò per lettera al Moro con un vero e proprio curriculum, che sta all’Archivio di Stato di Milano, descrivendosi per tre quarti come ingegnere di armi e solo alla fine come artista e pittore… all’epoca si mangiava più con la guerra che con il pennello, ma tale e tanto fu il talento di Ludovico come governante che Leonardo si dedicò molto di più al mestiere di scenografo e inventore di feste e banchetti. Pare davvero che quelle della corte di Milano fossero inimmaginabili per sfarzo meraviglie e divertimenti: e se oggi mettete in tavola un tovagliolo, lo dovete ai banchetti degli Sforza e al genio leonardesco, prima di allora ci si puliva nelle brache o nel pelo di cani e gatti che assediavano le tavole. La Vergine delle Rocce, la Dama con l’ermellino, il Cenacolo, il Codice Atlantico sono solo alcuni dei capolavori che la Milano del Moro regalò al mondo. Se Leonardo è l’unico pittore fino a Modigliani che non dipinge le donne solo o come prostitute o come sante sofferenti lo deve in buona parte alla corte di Ludovico: le donne di Leonardo non sono mai nude né mai penitenti, sono magre, astute, elegantemente maliziose e sempre dallo sguardo intelligentissimo: ecco, questo modello femminile così emancipato attualissimo e unico lo si deve agli Sforza e alle loro straordinarie mogli e amanti.  Gli Sforza hanno sempre condiviso con le loro mogli, e amanti, il peso del comando: donne fidate, bellissime e intelligenti. Quella di Ludovico fu Beatrice D’Este, donna di bellezza rara e di intelligenza e fedeltà uniche, che morì 10 anni prima di lui lasciandolo nel dolore più tetro, tanto che secondo alcuni fu proprio la sua scomparsa a minare la capacità di governo del Moro.

La complessissima trama di alleanze e tradimenti, guerre e paci che Ludovico costruì per regnare sull’Italia finì per strangolarlo nel 1499: i troppi continui strappi con le altre potenze italiche non gli consentirono di reggere alla seconda discesa dei francesi in Italia. Luigi XII, energico e spietato, gli fece pagare caro di aver oltraggiato e sconfitto il cognato Carlo VIII, il più brutto e ambizioso dei Re francesi. In un pungo di mesi Ludovico cadde, morendo abbandonato e prigioniero in Francia nel 1508. I decenni di raffinatezza, potere, splendore e ricchezza che i Visconti Sforza avevano costruito crollarono come un castello di carte, e su Milano e la Lombardia calarono in un batter d’occhio come una tremenda scure tre secoli e mezzo di dominazioni straniere: la rapidità con cui una società crolla lascia sempre sbalorditi.

Finiva assieme allo splendore del Moro quello del ‘400, mentre Colombo scopriva l’America e iniziava l’era degli Imperii Mondani e della Monarchia Universalis intercontinentale di Carlo V°, nella quale l’Italia non avrebbe contato più nulla come oggi...  

Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano

 

Francesco Martelli


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