Luigi Cazzaniga, dal jet set degli anni ’70 un pezzo di storia da raccontare
Gli artisti sono animali strani. Quando trovano un proprio stile, o la propria cifra, o raggiungono la cosiddetta “maturità” (che poi non è altro che il massimo del loro talento) a volte ripetono quel se stessi fino alla noia, a volte cercano continuamente nuove strade con risultati molto meno appaganti.
Non c’è una equazione, non c’è una regola, è così e basta. Il rapporto col proprio talento è complicato, e a questo vanno aggiunti quello con la pulsione creativa e con l’esercizio della tecnica che non lo sono da meno. Solo i titani del talento riescono a sperimentare continuamente ottenendo sempre il massimo, abbandonando strade consolidate per crearne di nuove: me ne vengono davvero in mente pochissimi e sui due piedi Picasso e Miles Davis, due che hanno continuamente raggiunto il massimo e hanno continuamente rimesso tutto in gioco raggiungendo di nuovo sempre il massimo possibile o addirittura inventando nuovi stili o generi.
A volte poi il talento naturale di un artista confligge col suo desiderio, senza peraltro ottenere il medesimo risultato: per Bob Dylan scrivere una canzone perfetta è quasi un banale riflesso mentre dipingere quadri (discreti…) è la sua vera passione. Paolo Sorrentino è un superdotato dell’immagine, ma la sua vera passione pare essere la scrittura tanto da essere diventato romanziere, per la verità senza molto successo. Woody Allen è uno dei è più grandi cineasti di sempre eppure suona il clarinetto con la serietà e la dedizione di uno studente… Ciò che li accomuna di fatto è che ad un certo punto tutti tentano di sfuggire un po' dalla loro naturale dimensione, sia perché l’ambito di espressione del talento è dato dal destino mentre quello della propria passione è dato dal desiderio, sia perché ad un certo punto, se si ha la fortuna di diventare almeno un po' famosi, la società, la storia, gli uomini tendono a volerti per forza incasellare in uno stereotipo, che di norma è ciò che più gli artisti odiano.
Ieri sono stato ad una piccola mostra di Luigi Cazzaniga al Comune di Crema, ormai una tradizione nei suoi soggiorni estivi padani dal loft di Soho a New York in cui vive da anni con la compagna Ilka, ed anche lui non ha fatto eccezione: ogni volta che vedo una sua mostra o un suo lavoro ciò che mi colpisce è il continuo tentativo di sperimentare, di percorrere strade nuove, dalla proiezione di immagini sugli edifici alla pittura alle realizzazioni in 3D, magari con risultati modesti rispetto ad altri suoi lavori, ma in cui la voglia di scoprire e di cercare non si spegne.
Ma il dono di Luigi, il suo talento, è la fotografia, o meglio è fotografare i corpi: in quello ha avuto pochi avversari. E la sua “maturità” il suo zenit creativo, per me, sono stati gli anni ’70, che lui ha vissuto nel modo più totale e di cui è stato assieme alla moglie una icona. Digitate su Google “Luigi Cazzaniga Donayale Luna” e la rete vi esploderà una serie di immagini inconfondibili dove lui e lei erano incontestabilmente due simboli del jet-set di quegli anni, con dei look incredibili degni di aver ispirato un film di Tarantino. Lui figlio del più grande petroliere italiano di allora, quel Cazzaniga che partito da Soncino divenne l’unico italiano nella storia arrivato a sedere nel board americano della Esso. Lei la prima top model di colore della storia, una delle donne più belle del mondo che fu la musa tra gli altri di Dalì, Antonioni, Andy Wharol e Carmelo Bene. Di quegli anni incredibili furono non solo delle icone e dei testimoni, ma li vissero in tutti i loro eccessi e in tutti i loro drammi.
Dalla sperimentazione di tutti gli stupefacenti fino ai viaggi californiani per la rivista Play-boy, dalle fughe negli anni dei rapimenti e del terrorismo fino agli scandali finanziari tra affari e politica. E in ognuna di queste estreme e fantastiche circostanze, Luigi documentava con la sua macchina: una incredibile Donayale alata lanciata in cielo da dei baffuti play-man degli anni ’70 nel deserto della California fino agli scatti surreali di Luna rubati alla campagna milanese durante il nascondimento tra la paura dei rapimenti e lo scandalo dei petroli, la prima enorme maxi-tangente pagata nel nostre paese.
Forse perché sa che non si può fare di meglio, forse perché l’intensità di quella vita in credibile non è più nemmeno immaginabile (e sopportabile) oggi, forse perché la fine drammatica di Luna ha chiuso un’epoca non solo per lui ma per tutti (non ha caso è morta proprio nel 1979, ultimo anno dei 70s’, lasciandogli però la bellissima figlia Dream), Luigi custodisce quasi gelosamente quello straordinario patrimonio fotografico passato e si dedica oggi a giocare con le immagini e con i colori, come se non volesse più essere “impegnato”, ma preferisse giocherellare un pò con quel suo talento di fotografo. Ma lui è, volente o nolente, un pezzo di storia del costume, e prima o poi quel pezzo di storia andrà raccontato, e quel Luigi anni’70 andrà celebrato. Ne va della storia della fotografia di quegli anni, ne va anche un po' della nostra storia locale, di aver avuto un personaggio che degli eccessi di quegli anni è stato protagonista e che ancora potrebbe e dovrebbe raccontare cose che non si possono nemmeno immaginare oggi, di quanto si potesse provare, sperimentare, rischiare ed esagerare in quegli anni drammatici e incredibili: soprattutto dovrebbe farlo alle nuove generazioni che si affacciano sul baratro dell’epoca più sterilizzata e politically correct della storia…
I testimoni, finché ci sono, vanno ascoltati.
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
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commenti
Vanni
21 febbraio 2024 15:24
È vero, certe storie andrebbero proprio raccontate…ma forse non c’è il tempo,andiamo troppo in fretta..peccato.