10 ottobre 2021

Ma io quando sono veramente felice?

Il cuore di quel tale, protagonista del Vangelo di questa domenica, è in tumulto, assomiglia a un campo di battaglia dove gli eserciti si fronteggiano con violenza, all’ultimo sangue. È un pio israelita, osserva con rigore la Torah, ha uno sguardo profondo sulla vita che lo conduce a fare pensieri tutt’altro che superficiali, possiede un ingente patrimonio ed è certamente stimato e onorato dai suoi compaesani, eppure…

Eppure avverte come un crampo allo stomaco, sente che qualcosa difetta nella sua esistenza: un salto, uno slancio, un balzo in avanti che la rende autentica, vera, appassionata e perché no attraente. Nella sua umanità manca un tassello decisivo, il suo cuore pulsa ma non abbastanza! È un bravo uomo, ma quello che ha costruito non lo appaga totalmente!

Benedetta inquietudine! 

Volesse il Cielo che, almeno per una volta, gli uomini ascoltassero la propria coscienza, scavassero nei meandri reconditi dell’anima alla ricerca della propria essenza, dei desideri più veri, del proprio volto scevro da infingenti e maschere. Un esercizio doloroso, quasi devastante, che molti anestetizzano catapultandosi in tanti paradisi artificiali che umiliano la dignità umana e mortificano tutto ciò che di bello e innocente c’è nel cuore. L’uomo è anche ciò che desidera!

L’evangelista Marco non ci consegna il nome di questo tale, resta anonimo perché, in fondo, sta cercando la propria identità. E questo viaggio interiore lo porta a Gesù: “Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. Domanda decisiva! Chi di noi, nella propria preghiera, si è sognato di chiedere a Dio una cosa del genere? Tutt’al più gli si chiede di guarire dal mal di schiena, di trovare un lavoro sicuro, di avere l’armonia in famiglia… ma la vita eterna, che roba è? 

Quest’uomo ha il merito grande di fare domande grandi a Gesù! Questa vita non gli basta più, quella scintilla che arde nel cuore e che lo rende somigliante a Dio vuole deflagrare per diventare un incendio che brucia l’inessenziale.  

La domanda, in realtà, cela altre domande: “Cosa devo fare per essere felice, per non sprecare inutilmente i miei giorni, per realizzarmi pienamente nella mia umanità?”.

Quando annuncia la vita eterna - quel Regno di giustizia e di pace dove si può gustare per sempre la bellezza del volto di Dio – Gesù non pensa soltanto all’esistenza dopo la morte. Egli annuncia e promette la vita eterna già su questa terra. Se l’uomo segue sul serio il Vangelo, cercando, con la grazia di Dio, di combattere ogni giorno il male che è accovacciato alla porta del suo cuore, può già gustare la gioia del Paradiso. Questo tale non gli sta chiedendo altro che un assaggio di quella felicità che nessuno potrà toglierli.

Qualche giorno fa riflettevo a partire da questa pagina evangelica: “Ma io quando sono felice?” Sono felice quando in famiglia stanno tutti beni, quando gli amici mi cercano per una cena o una pizza insieme, quando sono apprezzato nel mio ministero sacerdotale, quando riesco a condurre un’anima a Dio… . Mi sono accorto, con grande tristezza e delusione, che la mia felicità è sempre legato a fattori, eventi o circostanze esterni a me stesso. E se all’improvviso tutto divenisse avverso? Probabilmente, come tutti, cadrei in depressione perché non avrei quegli appoggi umani che mi assicurano serenità e solidità.

La felicità, quella promessa da Cristo, non poggia su risultati o approdi terreni, che oggi ci sono e domani possono svanire come neve al solo, ma solo sulla certezza che Dio ci ama smisuratamente – direi follemente - per quello che siamo e per quello che possiamo dare. Nei fioretti di San Francesco c’è un episodio emblematico: il Santo Poverello spiega a frate Leone che per lui è perfetta letizia anche quando nel mezzo della notte, tra acqua e vento, si viene scambiati per ladri dal portinaio del convento e lasciati all’addiaccio a male parole. Il cuore di Francesco era talmente immerso nell’amore di Dio che qualsiasi cosa gli fosse capitata, anche la più brutta e dolorosa, non avrebbe potuto scalfire la sua intima felicità.

Torniamo al Vangelo. Gesù, di fronte, alla domanda di questo tale ne rimane ammirato: egli che sa ciò che c’è nel cuore degli uomini, vede in lui una sete di verità e di autenticità. Come prima risposta il Maestro rimanda semplicemente ai comandamenti: per avere la vita eterna, per essere felici, per liberare veramente la propria umanità è necessario riconoscere che da soli non si va da nessuna parte! Serve un metodo, una regola di vita, la consapevolezza che il vero bene si conquista non a caso, seguendo le mozioni del cuore, le passioni del momento, le emozioni subitanee, ma attraverso una seria disciplina interiore, seguendo dettami che non mortificano la libertà, ma al contrario l’aiutano a ricercare e conquistare il vero e il bello, in una continua e fruttuosa relazione con l’altro e con Dio. E di fronte alla reazione positiva del suo interlocutore – egli fin da piccolo osservava i comandamenti – Gesù fa un passo avanti che in realtà è un salto di anni luce e gli chiede di abbandonare tutte le sue sicurezze umane – le cose terrene che lo rendono felice – e di seguirlo. A quel tale manca “la mancanza”, il fatto ciò “di non avere niente su cui aggrapparsi”. Per essere davvero felice occorre rinunciare a tutte quelle polizze sulla vita che garantiscono sempre una via di uscita, per arrivare così a fidarsi unicamente di Cristo.

Gesù chiede a quel tale e a ciascuno di noi di liberarsi da tutto ciò che ci fa credere che possiamo trovare il senso vero e compiuto dell’esistenza, la felicità piena e assoluta, la vita eterna solo e unicamente con le nostre risorse, la nostra intelligenza, le nostre forze. La ricchezza è certamente un ostacolo grande, ma ci sono altre realtà, altrettanto nocive  che ci impediscono di seguire Dio: il narcisismo spirituale, l’arroganza intellettuale, l’edonismo, lo scientismo, il tecnicismo…

 

Quel tale resta nell’anonimato, seppellito dalle proprie ricchezze, ma quanti di noi hanno perso la propria identità per servire idoli falsi?

 

Claudio Rasoli


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