9 ottobre 2021

Manzoni e Verdi: un incontro che ha segnato la storia della musica

Il “Dies Irae” del Requiem di Verdi è uno dei brani più usati ed abusati della storia della musica: dal Re Leone della Disney a Quarto Potere di Orson Welles, da I Visitatori con Jean Renò fino agli spaghetti western e agli spot pubblicitari dei profumi degli anni ’80, quasi nessuno ha resistito alla tentazione di utilizzarlo.

Ebbene, questa vetta inarrivabile della musica mondiale si deve ad un incontro che ebbe luogo il 30 giugno del 1868 in Via Morone a Milano, in casa dell’ormai ottuagenario Alessandro Manzoni. Giuseppe Verdi, poco più che 50enne, era già una vera e propria gloria italiana, una superstar della musica contemporanea (di allora) famoso in buona parte del pianeta e primo contribuente del Regno d’Italia, cioè l’uomo che guadagnava di più e che pagava più tasse in tutto il Paese. L’orso di Busseto, così chiamato per via del carattere scorbutico tipico del genio, aveva per Manzoni una venerazione che rasentava l’idolatria, arrivando addirittura a definirlo “l’unico Santo” del suo calendario. Li univa del resto anche l’impegno indefesso e straordinario per l’unificazione della nazione sotto il tricolore, cui contribuirono in maniera determinante e straordinaria con le loro opere, dal Va Pensiero all’Adelchi e molto altro ancora.

A organizzare l’incontro sono due donne: Clara Maffei, contessa patriota e mecenate milanese, e Giuseppina Strepponi, moglie di Verdi, che proprio a casa della Maffei ebbe l’onore di conoscere il Manzoni un anno prima, suscitando l’invidia e perfino la commozione del marito. Narra la stessa Strepponi che alla notizia dell’incontro con Manzoni, Verdi impazzisce letteralmente saltando ovunque come un bambino dentro la carrozza che li trasportava. 

Cosa si siano detti rimane un mistero tra i due titani, ma sappiamo che Verdi disse che gli si sarebbe messo davanti in ginocchio tanta fu l’adorazione che in lui suscitò Manzoni, il quale da par suo prima dell’incontro gli aveva fatto recapitare un ritratto con la dedica, squisitamente manzoniana,  “A Giuseppe Verdi, gloria d’Italia, un decrepito scrittore lombardo”.  Non si rividero mai più.

Manzoni morì il 22 maggio del 1873, una settimana dopo essere caduto battendo il capo sui gradini della chiesa di San Fedele, uscito dalla irrinunciabile messa: i solenni funerali in Duomo suscitarono una enorme commozione in tutta la nazione, che perdeva uno dei suoi padri. Tale e tanto fu l’eco della morte del grande scrittore che un anno dopo le celebrazioni del primo anniversario della sua scomparsa divennero un vero e proprio evento nazionale atteso da tutti, e che non poteva lasciare Verdi indifferente. La morte di Manzoni toccò profondamente il Maestro, che più volte disse di voler onorare in qualche modo il grande amatissimo scrittore. A questo punto della nostra vicenda entrano in scena due personaggi minori, rispetto ai due giganti, ma altrettanto cruciali: Giulio Bellinzaghi, sindaco di Milano, e Giulio di Tito di Giovanni Ricordi, impresario ed editore di Verdi ed erede della dinastia musicale che tutti ancora oggi conosciamo.

Inizia a questo punto una narrazione che i nostri archivi descrivono minuziosamente con copiosa documentazione: Ricordi propone al Sindaco di organizzare un concerto in onore di Manzoni ad un anno dalla scomparsa, che sarà non solo diretto dal Maestro, ma addirittura da lui composto in esclusiva per la ricorrenza. Nasce così il Requiem di Verdi, in memoria di Alessandro Manzoni.

L’evento diviene immediatamente di proporzioni enormi: viene scelta la grande Chiesa di San Marco in Brera, ove aveva avuto ospitalità il giovane Mozart, ed inizia una vera e propria competizione tra i più illustri fornitori della Real Casa per i gloriosi addobbi della chiesa. Viene perfino realizzato un acquarello raffigurante lo stemma della famiglia Manzoni che avrebbe poi dovuto campeggiare in forma di gonfalone durante il concerto.

Verdi si trova a Genova dove risiede temporaneamente per l’allestimento di una sua opera, ed è il Ricordi a tenere le fila con il Comune per l’organizzazione. L’eco è subito internazionale: conserviamo perfino una cartella piena di telegrammi e lettere di Senatori, Sindaci, Consoli e aristocratici del livello dei Borromeo e dei Rosmini con le loro meravigliose carte intestate che chiedono tutti al Sindaco una cosa sola: un posto in chiesa la sera dell’evento… come dire che infondo cambiano i tempi ma non i costumi…  

Del resto l’evento è assoluto: il musicista più famoso del mondo che celebra il più grande scrittore italiano. Si arriva perfino ad affiggere dei pubblici manifesti per regolare il traffico delle carrozze la sera dell’evento, temendo ingorghi e assembramenti.

Ciò che però impressiona è la fama di Verdi: se Manzoni era una gloria italiana, ma ancora appartenente a un mondo piccolo e ristretto nei confini nazionali peraltro appena disegnati dai Savoia, Verdi è il primo italiano a divenire una star internazionale, e si affaccia su un mondo che inizia diventare molto più grande dei soli confini della nazione. Accade così che è proprio Verdi, che idolatrava Manzoni, a rendere il suo idolo famoso nel mondo grazie alla propria di fama, e internazionale. Fama che crescerà inarrestabile di anno in anno sempre più fino alla leggenda e alla sua morte, nel gennaio del 1901, che sarà veramente un evento mondiale. 

Due giganti dell’arte, che furono però anche uniti da profondo patriottismo irredentista che tanto contribuì all’Unità d’Italia e alla libertà della nazione: una storia straordinaria di bellezza e impegno politico che ci sembra veramente lontana anni luce ma che gli archivi continuano a raccontare.

Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano

Francesco Martelli


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti


Tiberio

9 ottobre 2021 07:23

Splendido, splendido pezzo di storia, professore. Grazie!

Martelli

9 ottobre 2021 11:59

Grazie a lei!

Divo

14 ottobre 2021 13:14

"Ebbene, questa vetta inarrivabile della musica mondiale" Questo se lo dice lei. Il requiem a mo di opera pacchiana... Sì ascolti Berlioz come medicina.

Alessandro Peppoloni

21 aprile 2024 10:33

Egregio Signore, rispetto. ovviamente, la Sua opinione ma mi permetta di dissentire.
Sa, ho 84 anni e sono nato a Roma, da una famiglia i cui rappresentanti più antichi erano, verosimilmente, Romani fin dal tempo di Diocleziano, ma prima di tutto sono e mi sento Italiano (con tutti i difetti e qualche pregio che questa Nazione conferisce ai suoi cittadini). Pur non essendo un patito della musica operistica, ho acquisito, negli anni una grande considerazione per la musica di Rossini, di Verdi e di tanti altri che Lei, da musicofilo quale sicuramente è, conoscerà meglio di me.
Definire la musica del Requiem di Verdi "pacchiana", nol Le sembra un tantinello azzardato? Sicuramente Verdi scrisse il suo "Requiem" in quanto molto colpito dalla scomparsa del Manzoni, che "venerava"; la musica del suo "Requiem" reca la sua impronta e quella del suo tempo, ma non Le sembra quanto meno esagerato o inopportuno definirla in questo modo?
La saluto.
Alessandro P.