Papa Francesco, don Camillo e la vicinanza alla gente
Il legame di papa Francesco con i personaggi di Guareschi lo si era scoperto a Firenze, quando il pontefice, ai vescovi della Cei riuniti, aveva detto: «La Chiesa italiana ha grandi santi, il cui esempio possono aiutarla a vivere la fede con umiltà, disinteresse e letizia, da Francesco d’Assisi a Filippo Neri. Ma pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone. Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente. Di sé don Camillo diceva: “Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro”. Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte».
Al termine di quell’incontro, monsignor Carlo Mazza, allora vescovo di Fidenza, così descrisse la citazione di papa Bergoglio: «…portando il prete guareschiano ad esemplarità nazionale, recuperando il modello del sacerdote don Camillo: prete all’apparenza intransigente da una parte, ma umanamente capace del dialogo con Peppone dall’altra. Un modello che sembra superato ed invece è di grandissima attualità: il rapporto costante, sostenuto dal medesimo amore, del sacerdote con la gente e con Gesù». E non fu quella l’unica volta in cui papa Francesco citò Guareschi e i suoi personaggi, perché il cuore degli emiliani, il cuore di Giovannino, di don Camillo, di Peppone e di tutto il «Mondo piccolo» aveva colpito il pontefice, quando era arrivato nelle terre del terremoto, a riaprire il Duomo di Carpi. Lo aveva riferito Monsignor Francesco Cavina: «Il Papa ha proprio detto» riferiva il vescovo «“Non conoscevo gli emiliani ma adesso capisco i film di Don Camillo e Peppone”, aggiungendo come sia “apprezzabile il cuore emiliano che sembra burbero, a volte, ma che in realtà dà amore in modo viscerale e quasi radicale se si rende conto di avere di fronte a sé un interlocutore in grado di amare”».
Il papa che i cardinali erano andati a prendere «alla fine del mondo», quindi, conosceva, apprezzava e capiva i personaggi guareschiani. Giovannino Guareschi aveva scritto una lettera a papa Pio XII, nella quale si rivolgeva al pontefice chiamando sé stesso “giullare degli uomini” a confronto del Santo da cui Bergoglio aveva preso il nome: quel Francesco che si proclamava “giullare di Dio”; così, a questo punto, vien da chiedersi: e se al posto di Pio XII ci fosse stato papa Francesco? Come e cosa gli avrebbe scritto Giovannino Guareschi? O piuttosto gli avrebbe forse telefonato? Più probabilmente, conoscendo il papà di don Camillo e papa Bergoglio, sarebbe andata a finire con un incontro, magari a Santa Marta, per parlare di giullari di Dio e degli uomini, del modo in cui rivolgersi, come hanno fatto in tantissimi, al Papa come fosse un amico di nome Francesco, talmente amico di Gesù, da poter parlare ad ogni uomo come farebbe il Crocifisso dell’altar maggiore con don Camillo.
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