Profughi tra migrazioni, esodi, deportazioni. Le troppe svolte storiche in cui si dimenticano gli esseri umani
E’ scritto nella “Storia della civiltà europea” a cura di Umberto Eco: “I trasferimenti forzati di popolazione rappresentano un’importante caratteristica della storia del Novecento europeo: i primi casi risalgono alle guerre balcaniche del 1912-1913… L’acme del fenomeno si ha tuttavia con eventi quali il genocidio armeno, l’espulsione dei Greci dall’Asia minore, le deportazioni su base sociale ed etnica portate avanti in URSS sotto Stalin, il genocidio nazista degli ebrei europei e infine l’ondata di espulsione dei Tedeschi residenti in Europa orientale".
Partendo da qui, intenderei accennare a qualcuna delle piaghe più dolorose del nostro tempo, lamentando ciò che manca: istituzioni politiche e giuridiche sovra-statali in grado equilibrare i poteri e le spinte contrapposte tra i grandi della terra, tesi a inseguire il sogno funesto dello “stato omogeneo”. Con nella memoria quanto scriveva Joseph Conrad più di un secolo fa a proposito della civiltà europea, faro di civiltà e di distruzione: “L'aria era tenebrosa … e ancora più indietro pareva condensarsi in un'oscurità funerea, che incombeva immobile sulla più vasta, e più grande, città della terra” (Cuore di tenebra).
Migrazioni. Nelle comunità umane del presente e del passato il fenomeno delle migrazioni troppo spesso è collegato a situazioni critiche, in molti casi tragiche. Già Seneca ne dava una descrizione efficacissima: “Non tutti hanno avuto gli stessi motivi per abbandonare le loro patria e cercarne un’altra: alcuni, sfuggiti alla distruzione della loro città e alle armi nemiche e spogliati dei loro beni, si volsero ai territori altrui; altri furono cacciati da lotte intestine; altri furono costretti ad emigrare per alleggerire il peso di un’eccessiva popolazione … altri, infine, si sono lasciati attirare dalla notizia di una terra fertile e fin troppo decantata… Questo, però, è certo: che nessuno è rimasto nel luogo dove è nato. Incessante è il peregrinare dell’uomo” (Seneca, 43 d.C.). Parole di ieri e purtroppo dell’oggi.
Un fenomeno universale quello delle migrazioni, ineluttabile. Si tratta dello spostamento temporaneo o definitivo di famiglie, larghi gruppi di persone, anche etnie intere, da una località geografica ad un’altra, all’interno di uno stato (migrazione interna) o verso l’estero (migrazione estera). Noi italiani abbiamo vissuto in prima persona il fenomeno migratorio, soprattutto dopo l’Unità d’Italia, quando le grandi città si svilupparono a macchia d’olio (Roma: divenuta capitale nel 1870 passò dai 245.000 ab. ai 500.000 di inizio ‘900; Milano: alla proclamazione del Regno d’Italia toccava i 200.000 abitanti, nel 1901 raggiunse i 490.000). In quei decenni esplose anche la migrazione estera: nel 1913, ad esempio, migrarono verso diversi continenti 873.000 persone. Più vicine a noi le grandi migrazioni interne negli anni spesso narrate dal grande cinema italiano. Come dimenticare ad esempio “Rocco e i suoi fratelli” di Luchino Visconti (1960)? Il controcanto alla “Dolce vita” di Fellini nel boom economico (1960).
Esodi. Quando la partenza investe un’intera popolazione o una parte rilevante di essa, si può parlare di esodo: una emigrazione comunitaria forzata o scelta per motivazioni morali, religiose, etiche, politiche, a volte dovuta a calamità naturali, verso una destinazione nota, mitizzata, ignota. In Italia il termine esodo è di solito associato all’esodo istriano e giuliano-dalmata dopo la II Guerra mondiale e l’occupazione jugoslava delle loro terre. Il termine si è diffuso con le narrazioni bibliche a proposito degli Ebrei fuggiti dall’Egitto verso “la terra di Canaam” promessa loro da Dio (anche se sul piano storico non esiste prova di quanto avvenuto in realtà). Tuttavia gli Ebrei hanno sofferto altri esodi lungo i millenni, quando allontanatosi dalla loro terra fondarono le comunità della diaspora, a partire dal tempo dei Romani quando avvenne la distruzione del tempio (70 d. C.). Ricordate l’Arco di Tito nel Foro romano? O della “reconquista” cristiana in Spagna, con la cacciata dei Musulmani, degli Ebrei e i battesimi forzati. “Vile marrano!” si leggeva nei fumetti degli anni ’50. Importanti le comunità ebraiche dei Sefarditi (ebrei di origine spagnola) e degli Aschenaziti (ebrei di origine germanica), che si sparsero in tutta Europa.
Ma esistono altri esodi dimenticati. Un viaggiatore instancabile, il mantovano Mario Pavesi, un europeista convinto che visitò almeno 100 paesi nel mondo per il desiderio di conoscere altre comunità e culture, visitando l’Armenia, che ora vanta tre milioni di abitanti, traccia un parallelo con Israele: “Tra Israele e Armenia le analogie sono impressionanti. Come Israele, anche l’Armenia è una nazione antica, nata molti secoli prima di Cristo… Come Israele, anche l’Armenia ha una diaspora (iniziata con l’invasione degli Arabi nel settimo secolo) sparsa in tutto il mondo… Oggi la diaspora armena conta otto milioni di persone… Come Israele, anche l’Armenia ha subito un genocidio. Un milione e mezzo di morti: è accaduto ad opera dei Turchi. Anche se la Turchia respinge con vigore le accuse. E infine: come Israele, anche l’Armenia, oggi stato sovrano, si rifà dei tanti secoli di dominazione e soprusi con un nazionalismo sfegatato” (Vivere per viaggiare? Viaggiare per vivere? Mantova 2017).
Profughi. Rifugiati. Il fenomeno dei profughi è legato a costrizione, violenza, anche a stermini. I “profughi” sono gruppi umani costretti ad abbandonare la propria terra, il proprio paese, la patria, in seguito ad eventi drammatici come guerre, lotte intestine e fratricide, a persecuzioni. Il dramma dei profughi dà origine al problema, gravissimo, dei rifugiati. Scrive il Centro Astalli dei Gesuiti: “I migranti forzati sono un popolo immenso, che aumenta costantemente di anno in anno. A maggio 2024 sono 120 milioni le persone che sono state costrette a fuggire dalle loro case cercando rifugio all’interno o all’esterno dei propri confini nazionali… I numeri confermano che sono sempre i paesi a medio e basso reddito ad ospitare la maggior parte delle persone in fuga (75%). I 46 paesi meno sviluppati (che rappresentano meno dell’1,3% del prodotto interno lordo globale) ospitano più del 20% di tutti i rifugiati”. Ma a farne un problema sono i popoli più ricchi. Il campo profughi più grande del mondo è forse quello di Cox’s Bazar, che si trova in Bangladesh, e in 24 kmq ospita quasi 1 milione di rifugiati di etnia Rohingya, provenienti per la maggior parte dal Rakhine (Myanmar), di religione islamica sunnita, vittime di un genocidio da parte delle truppe birmane, con stupri di gruppo e uccisioni di massa.
Una tragedia dimenticata del secolo scorso è quella dei “Greci del Ponto”, sul Mar Nero, con un grande passato. Fondarono città come Sinope, Trebisonda, Amasia fino a Batum in Georgia. Tra loro famosi furono studiosi come Diogene e Strabone, personaggi come Mitridate. Scrive Maria Tatsos su “Avvenire”: “un popolo fiero di coloni della Ionia, che si stabilirono lungo il Mar Nero intorno al 1200 a. C. Una comunità con tremila anni di storia, che ha scelto di chiamarsi “pontioi” da “pontos”, che in greco antico significa mare... Per secoli furono navigatori e commercianti lungo le rotte del Mediterraneo… La metà di questa antichissima comunità greca è stata massacrata tra il 1914 e il 1921 dai turchi e i superstiti sono stati costretti ad andarsene con quanto potevano portare in mano lasciando le loro case, circa 350.000 scampati al massacro”. Chi ne parla? Sono molto più convenienti gli accordi commerciali e politico-militari con la Turchia!
Deportazioni. Le deportazioni sono invece traduzioni di individui e gruppi, anche di interi popoli, fuori dalla propria patria. Si tratta di una decisione politica attuata su vasta scala, che riguarda intere popolazioni partendo da ragioni razziali, etniche, religiose o ideologiche, che portano al trasferimento forzato prima e in seguito a restrizioni delle libertà personali, lavoro coatto, obbligo di residenza in regioni lontane o in campi di detenzione. Le deportazioni rappresentano uno degli aspetti più terribili e colpevoli della storia umana, quasi sempre negate e nascoste, oppure falsificate: crimini storici per i quali si sono distinte pressoché tutte le grandi o piccole potenze, civiltà e religioni.
Le più estese e sistematiche deportazioni furono quelle terribili attuate, oltre che dai nazisti, da Stalin, spesso con un doppio obiettivo: quello di levare di mezzo le minoranze poco inclini a seguire le direttive del Soviet supremo, o i contadini “riottosi” che non intendevano accettare le collettivizzazioni forzate delle loro terre e quello di ripopolare regioni lontanissime in Siberia e in Asia. Quando attualmente Putin sostiene che molte aree dell’Ucraina e della Crimea sono abitate da popolazioni russe per cui devono essere annesse allo Stato russo, omette di precisare che molte di quelle aree, in epoca zarista o staliniana, erano state “svuotate” tramite deportazioni forzate o stermini di massa dalle preesistenti popolazioni ucraine o tartare. Ad esempio come dimenticare i 4 milioni di contadini condannati a morire di fame?
Porto un esempio, che rappresenta le molteplici storie di regioni e città che hanno subito feroci invasioni, stragi, deportazioni di massa, sradicamenti di interi popoli operate da Hitler e da Stalin. Scrive a questo proposito ancora Mario Pavesi: “La Prussia Orientale aveva la sua capitale in Koenigsberg, patria di Kant e indubbiamente molto tedesca; ma oggi la città è totalmente degermanizzata, grazie a Stalin, che ha eseguito una pulizia etnica totale, ripopolandola di diseredati chiamati da ogni parte dell’impero, ribattezzandola Kalinigrad, e assegnandola alla Russia, tanto per precauzione, invece che alle confinanti Polonia e Lituania. Senonché, con lo scioglimento dell’URSS, adesso Kalinigrad è un’enclave russa circondata da paesi dell’Unione Europea”. Ricordo quando al mio paese, Isola Dovarese, giunse nel 1946 una famiglia italotedesca, di Koenisberg, i Fonzetti, con due bambini che divennero nostri amici, Alfons e Sigfried. Giunsero coperti di stracci e di croste. Erano stati messi in campi di detenzione dalle truppe sovietiche, prima di essere spediti in Italia.
Per giustificare sradicamenti di intere popolazioni, fino al loro sterminio si porta a sostegno quasi sempre una volontà superiore: storica o divina. Non è un caso che il 27 marzo il 25° Concilio mondiale del popolo russo, presieduto dal Patriarca Kirill sostiene una guerra senza limiti contro l’Ucraina e l’Occidente: “Da un punto di vista spirituale e morale, l’operazione militare speciale è una guerra santa, in cui la Russia e il suo popolo, difendendo l’unico spazio spirituale della Santa Rus’, compiono la missione di Colui che trattiene [o Katéchon], proteggendo il mondo dall’assalto del globalismo e dalla vittoria dell’occidente caduto nel satanismo… dopo il completamento dell’operazione militare speciale, tutto il territorio dell’Ucraina contemporanea dovrà entrare una zona di influenza esclusiva della Russia... I confini del Mondo russo come fenomeno spirituale e culturale-civile sono significativamente più estesi dei confini statali sia dell’attuale Federazione russa sia della grande Russia storica”. Una prospettiva di espansione perenne voluta da Dio.
Analogamente si esprimono i coloni israeliani a proposito del problema palestinese: “Dio ci ha dato questa terra fino al mare”, “Gaza fa parte della Terra d’Israele”. E possono citare il loro libro sacro, che in decine di passi proclama il diritto alla loro terra e il diritto allo sterminio di altri popoli. Un esempio: “Sicon, insieme alla sua gente, ci affrontò in battaglia a Iaaz. Il Signore, nostro Dio, lo abbandonò in nostro potere, e uccidemmo lui, i suoi figli e tutta la sua gente. In quel tempo abbiamo occupato tutte le sue città e destinato allo sterminio i loro abitanti: uomini, donne, bambini. Non lasciammo superstiti” (Deuteronomio 2, 32-34). Tali convincimenti purtroppo sono sostenuti dall’attuale governo Netanyahu. E Hamas non è da meno.
Ciò che porta spesso allo sconforto le persone più integre e sensibili, maggiormente attente al rispetto delle diversità e delle concezioni di vita altrui, è la costatazione della continuità nella storia di questi fenomeni: un destino tragico che accompagna i popoli. In questi casi a nulla sembrano valere i valori morali, le influenze religiose, gli impegni proclamati con convinzione, contro il puro rapporto di forza, l’autoproclamato “diritto di vita e di morte” del più potente: il “diritto” del più forte a infrangere ogni trattato, convenzione, patto anche sottoscritto e firmato.
Queste persone sono consapevoli che la radice più vera, più profonda e più sorgiva del diritto anche penale non sta tanto nella volontà autoritaria dello Stato che si proclama al di sopra di tutto e di tutti, quanto nei convincimenti e nei valori connaturati alla società civile, di cui parte fondamentale sono le vittime, che vanno protette, ricompensate, onorate. per le quali il senso della pietas, nei confronti di tutte e di tutti, deve prevalere su ogni altra pretesa o forza o potere particolare.
Per le ragioni fin qui portate ritengo che – un sogno da povero illuso, il mio –se non verranno ripristinate e rafforzate le grandi istituzioni internazionali come ONU, Corte Penale Internazionale, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la previsione di Papa Francesco sull’avvio della Terza Guerra Mondiale si rivelerà sempre di più attuale. Non solo Papa dei poveri, dunque, ma un’autorità morale dall’ampio sguardo strategico sul mondo di fronte al quale gli attuali potenti della terra, che magari lo irridono, sono dei ciechi.
Nella foto Cox’s Bazar, che si trova in Bangladesh, e in 24 kmq ospita quasi 1 milione di rifugiati di etnia Rohingya
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