6 giugno 2022

Il tramonto dell'Occidente e quel grande deficit educativo e culturale

Della foto, uscita in occasione della recente festa della mamma dal pensatoio pubblicitario dello stilista Calvin Klein, tutto o quasi è già stato detto. In effetti, il pugno nello stomaco è notevole: un barbuto transgender brasiliano offre all’obiettivo fotografico un roseo pancione prossimo al parto dividendo la dolce attesa con un giulivo trans che si sente donna ma, in realtà, è in parte rimasto uomo. Lo è talmente che l’incolpevole nascituro (cui toccherà lo sconvolgente enigma di chiamare mamma un uomo e papà una donna) è per l’appunto suo figlio. Mentre il barbuto incinto che si sente uomo e ogni mattina regola la folta barba e si compiace del bicipite palestrato è in parte rimasto donna. In caso di patria in pericolo e conseguente chiamata alle armi chi varrà arruolato: il lui che però si sente lei? Oppure lei che però si sente lui? Nel dubbio, al fronte entrambi. Prima linea, se possibile.
 
Non c’è che dire: pruriginoso modo di celebrare la maternità. Perché non la foto di un’ucraina in marcia verso la salvezza con un figlio caricato sulle spalle e l’altro per mano? Perché il marchettaro stilista newyorkese (famiglia di ebrei ungheresi) è, manco a dirsi, schierato coll’eroica pattuglia che difende i diritti delle minoranze. Che uno strapagato modello brasiliano e la sua compagna/o siano pur vagamente assimilabili allo status di minoranza perseguitata è una stravagante spiritosaggine tragicamente smentita dall’andazzo generale. Si direbbero piuttosto avanguardie di un costume coccolato con smaccata compiacenza da chiunque ne ricavi dividendi da indotto pubblicitario o elettorale. Quel che resta da capire è cosa mai abbiano in comune con il valore libertà o diversità decentemente inteso queste sensazionalistiche esibizioni di procurati ‘scherzi di natura’ che un tempo le pietose mura del Cottolengo avrebbero protetto dalla morbosa curiosità esterna e ora vengono orgogliosamente sbandierate come una specie di versione politicamente aggiornata della Sacra famiglia.
 
Apriti cielo. Prevedo l’obiezione: siamo gente di mondo, siamo occidentali, eredi della civiltà che ha inventato lo straordinario e non cedibile valore che si chiama libertà personale. Perimetrarla e darle confini ci metterebbe in contraddizione coi valori fondanti del nostro liberalissimo umanesimo. Vedendo in che salsa viene ormai cucinato il famoso ‘umanesimo liberale’ temo che il ragionamento faccia penosamente acqua. Proviamo a ribaltarlo con una domanda. Le forzature di un sensazionalismo che spinge sempre più in alto l’asticella della manipolazione dei ruoli maschile e femminile, paterno e materno hanno realmente a che fare con il senso profondo della civiltà occidentale? Nessuna delle culture che l’hanno
storicamente costruita nei secoli in realtà s’è mai sognata di svincolare i comportamenti individuali e le relative libertà dall’obbligante orizzonte del bene collettivo e dell’interesse generale della comunità. Siamo eredi – purtroppo sempre meno consapevoli – del famoso ‘contratto sociale’ per cui se vuoi godere dei vantaggi di vivere in società e nel sistema di regole chiamato Stato devi pur cedere qualcosa in cambio qualcos’altro. Non a caso è un contratto. Pur con differenze di accenti e scale di valore, dal fondamento greco romano in poi, passando per cristianesimo, illuminismo, liberalismo e marxismo si è sempre ragionato in termini di etica della responsabilità personale e di necessità che l’individuale diritto a realizzarci nel modo che più ci aggrada – compreso quello a un libero orientamento sessuale – si mantenga entro limiti di sopportabilità sociale. Difficile, difficilissimo vedere in
questi eccentrici avventurieri della genetica che non vogliono regole ma solo diritti qualche significativa continuità coi valori autenticamente liberali e umanistici della nostra civiltà e della sua traiettoria storica. Caso mai, cresce di giorno in giorno il sospetto che troppi costruttori dell’immaginario collettivo nonché detentori delle preziose leve che orientano il costume sociale e ne ridefiniscono i valori siano da tempo sul libro paga di chi punta alla distruzione della civiltà occidentale, assecondandone la deriva in una debole e sbracata periferia geopolitica futilmente modaiola.
 
Pare pensarla così anche Carlo Calenda nel suo recente saggio ‘La libertà che non libera’. Se sappiamo ancora distinguere le cose serie dalle baggianate, questo libro, nel suo lineare realismo, merita attenzione e fortuna. E merita anche, perché no, di suscitare qualche imbarazzo in una certa sinistra che non riuscendo a mettere efficacemente le mani nella materia, più che mai urgente, dei diritti economici e sociali investe testa, cuore e soprattutto retorica in tutt’altro. Calenda invita a non regalare la preziosa parola ‘libertà’ a roba che va catalogata sotto tutt’altra voce. Ci sono libertà che liberano e libertà che non liberano. Le prime concorrono a tenere in sicurezza le vitali basi liberaldemocratiche del nostro sistema. Le altre non sono che eccentriche provocazioni individualistiche destinate, passo dopo passo, a indebolire e decostruire quel sistema di regole condivise e conseguenti discipline senza il quale una comunità non si regge e fatalmente s’avvia alla dissoluzione.
Decidiamoci a chiamarlo col nome che gli è proprio: il problema delle nostre società è il gigantesco deficit educativo e culturale che fa ritenere odioso residuato autoritario tutto quanto abbia a che fare con principi normalmente costitutivi di qualunque comunità come quelli di gerarchia e di autorità.
 
Se il pontefice stesso, con problematico minimalismo, apertamente ama chiedersi “chi sono io per giudicare?” figuriamoci quale margine di autorevolezza può accampare un povero genitore o insegnante o poliziotto dovendo stabilire o ristabilire qualche linea di confine fra libertà e arbitrio. Riflessioni inevitabili, condotte quando il tempo ormai stringe e l’Europa, con l’intero Occidente, è palesemente entrata in una parabola discendente che peraltro ne asseconda il nome. Occidente significa appunto ‘ là dove tramonta il sole’. Per nostra fortuna la giornata dell’Occidente storicamente parlando è stata lunghissima e tardivo il tramonto. Ma è col suo tramonto che ci tocca vedercela. E la faccenda è assai complicata. Il futuro riserva alla nostra area geopolitica prove paurosamente impegnative. Dovremo misurarci con sistemi di ben altra stazza muscolare come Cina o Russia, dove la persona è niente e la disciplina è tutto.
 
Se pensiamo di presentarci con le credenziali radical chic dei barbuti incinti e dei maschi-mamma in tacchi a spillo, patinate icone del favoloso luna park in cui tutto è concesso, poveri noi. Vivissimi auguri alle future generazioni.
 
vittorianozanolli.it
Ada Ferrari


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