10 luglio 2022

Ricordando Agarossi. "I medici di base non considerati"

Nel dibattito sulla sanità pubblica nella nostra provincia, intervenne un anno fa il dottor Mauro Agarossi, medico e sindaco di Ticengo. Agarossi se n'è andato sabato a 74 anni. Cremonasera lo ricorda riproponendo questa sua riflessione sul ruolo del medico di base.

La sanità lombarda deve essere riformata? Questo nessuno lo dubita. Sul come qui i pareri non sono unanimi. Un dibattito sul tema è più che opportuno e la scelta di Cremonasera di affrontare il problema è più che apprezzabile.  

Ho letto l'editoriale di Antonio Grassi e l’articolo di Federico Centenari e l’intervento del collega Agostino Dossena.  Vorrei aggiungere il mio contributo alla discussione. 

Ho frequentato molti ospedali, specie in Lombardia e Veneto, per motivi personali di aggiornamento, ho sempre dato importanza alla professionalità e talento dei colleghi, ma non ho mai considerato la struttura muraria.

Riflessioni che scaturiscono da 40 anni di servizio come medico ospedaliero. Considerazioni che spesso mi hanno trovato in disaccordo con i dettami della nostra politica, che in questi ultimi 20/30 anni ha distrutto realtà ospedaliere anche importanti e che servivano nel modo migliore le aree territoriali di competenza.

La sanità deve essere in mano al medico di base, o di famiglia, In questi ultimi anni lo hanno chiamato in tutti i modi.

Tutti lo valutano e tutti lo condannano: i burocrati lo controllano, gli ospedali lo additano come responsabile del ritardo diagnostico che porta al fallimento delle cure, i pazienti lo deridono e spesso gli suggeriscono cosa deve fare, cure e prescrizioni, spesso su suggerimento… della vicina di casa.

Cosi il nostro medico è precipitato ad impiegato prescrittore e se si azzarda a visitare il paziente, cioè ad esercitare la  sua professione, viene visto con sospetto, “fa paura”.

L’Ospedale, invece, è diventato un’entità a se stante, un centro di potere dove si sbizzariscono le varie ondate politiche, ogni politico cerca di piazzare il suo raccomandato.

Le due realtà non si parlano, il collegamento avviene solo attraverso il medico specialista ospedaliero, è lui che decide.  Il medico di base non può decidere il ricovero, così come, spesso, non gli si riconosce la competenza di prescrivere le indagini strumentali speciali. Il povero medico di base può solo riportare l’eventuale richiesta fatta dallo specialista. Spesso è il parente che riporta, al medico di base, il consiglio/indicazione che ha dato lo specialista, il quale spesso non si degna neanche di mandare due righe esplicative; la professionalità, ma anche la semplice l’educazione, è scomparsa.

Quale è il processo che ha esautorato la competenza del medico di famiglia?

E’ difficile stabilirlo. Il controllo della spesa? A me viene però più facile pensare che da quando le varie strutture private eseguono gli esami a pagamento, non ci sia più bisogno della richiesta di chicchesia, ma solo dell’adeguato pagamento.

Io rabbrividisco ogni volta che sento un cittadino che si riempie la bocca dicendo sono andato privatamente. Quel privatamente vuol dire che la prestazione è stata fatta a pagamento indipendentemente dal fatto che ci fosse bisogno! La frase di rito è: se paghi fanno tutto e subito.

Questo circolo vizioso si è instaurato, ed è diventato consueto, come se fosse giusto! E l’assistenza ne ha sofferto.

Il paziente ospedaliero poi, si è trasformato in un DRG, ed i bravi professionisti sono quelli che riescono a gonfiarlo meglio. Infatti gonfiare una diagnosi non è una truffa, ma è un virtuosismo, espressione di maggiore precisione, sicuramente le cliniche private convenzionate, in questo, sono maestre. Nel privato la sanità rende!

Così in questi anni molti professionisti sono stati attratti dalla sirena della sanità privata al punto che è diventato un marchio di bravura: la richiesta di una clinica è una valorizzazione del professionista.

Al contrario, i professionisti che rimangono nella sanità pubblica sono i poveri idealisti su cui viene esercitato il ricatto morale di risolvere spesso anche il problema della carenza di personale, spesso senza neanche considerare il loro sacrificio. Si può azzardare un parallelismo con gli insegnanti.

A questo ci ha portato la sanità pubblica.

E’ un logorio che dura da anni, cominciato negli anni ottanta è diventato sempre più forte, consolidandosi negli anni novanta. Ricordo a tale proposito che a Cremona la prima TAC era in dotazione ad una clinica privata e l’ospedale maggiore mandava i pazienti ad eseguire l’esame alla clinica.

Così è successo a Milano con la prima Risonanza magnetica nucleare.

Non ne faccio un problema etico, ma cerco di analizzare perché la sanità pubblica ha sofferto.

E’ pacifico che il concedere posti letto convenzionati alle cliniche private ha significato toglierli al settore pubblico. Cosi è stato naturale chiudere tanti  piccoli ospedali invece che ristrutturarli.

Unificare Casalmaggiore a Viadana, è risultato che da due discreti ne è risultato uno con criticità.

Chiudere Soresina, Castelleone, Soncino, Rivolta d’Adda ha permesso alle cliniche private di esistere, anzi di essere necessarie.

A Cremona così come a Crema poi si sono fatte unificazioni dei reparti chirurgici con riduzione dei posti letto, rendendo necessario il supporto del privato.

Va inoltre sottolineata la riduzione dei posti letto nelle terapie intensive di entrambi gli ospedali.

La sanità è, e deve essere, una entità unica, territorio ed ospedali non possono e non devono andare per i fatti loro, ma devono compenetrarsi, lavorare assieme (lo sento dire da sempre, ma non è mai avvenuto!).

Ogni volta che l’ondata influenzale si abbatte sui nostri territori, gli ospedali sono al collasso ed appaiono quelle scene desolanti dei pazienti accatastati nei corridoi di ogni pronto soccorso.

Così si dimette chi deve essere ricoverato e si ricovera chi ha qualche santo in paradiso.

Il caos dell’ultima debacle della sanità è stato sì, imprevedibile e disastroso, ma è l’amplificazione del fenomeno che ciclicamente si ripete ogni anno.

Il diktat “state a casa” usato fine alla nausea, per necessità contingente, per il Covid 19, non penso abbia aiutato nella gestione assoluta  perché poi molti pazienti sono giunti in ospedale in condizioni critiche.

Sicuramente è necessario un piano generale ed armonico dove i vari ospedali della provincia non si facciano la guerra, ma lavorino in sinergia con uguali  potenzialità. 

Strumentazioni e reparti particolari, che altrimenti sarebbero sottoutilizzati, devono essere disponibili e fruibili da tutti con meccanismo sopra distrettuale.

Gli ospedali non devono essere cattedrali autoreferenziali scollegate fra di loro e dal territorio, l’assistenza deve essere in continuità territorio-ospedale ed ospedale-territorio, le due entità si devono parlare e magari in certe fasi operare insieme.

I medici del territorio devono far parte del percorso assistenziale dei loro pazienti anche nella fase ospedaliera.

Mauro Agarossi, medico


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