Siamo sicuri che siano proprio i cristiani i “pecoroni”?
Forse non tutti sanno che la più antica raffigurazione di Gesù è del III secolo, è conservata nelle catacombe di San Callisto a Roma, sull’Appia Antica, e rappresenta il “buon Pastore”: ovvero un giovinetto che porta sulle spalle una pecora. In un tempo in cui ancora si vergognavo di dipingere la Croce – considerata scandalosa e stolta dal popolo pagano – i primi discepoli di Cristo trovarono nell’immagine del “buon Pastore” la concreta manifestazione del messaggio cristiano: l’amore infinito di Dio declinato in tenerezza, cura, custodia, protezione.
Più di una volta Gesù utilizza per sé il titolo di pastore, così come accadeva nell’Antico Testamento per certi personaggi di rilievo nella storia di Israele. Geremia profeta non risparmia ad alcuni di loro gravi accuse per l’incuria avuta verso il popolo: “Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati”. Chi ha responsabilità di governo (a tutti i livelli) ed educative dovrebbe ogni tanto rileggersi questi versetti così pungenti…
La figura del pastore a quel tempo era molto comune: tanti giudei vivevano di pastorizia. E proprio il modo di agire di queste persone - che paradossalmente erano viste con un certo disprezzo perché considerati impuri e ladri - ispira Gesù. Quante volte il Maestro di Nazareth usa immagini quotidiane, familiari, semplici per raccontare di Dio e del suo Regno!
Anzitutto Cristo si ispira per la loro abnegazione al gregge: pioggia o sole, tempesta o sereno, vento o afa, il pastore è sempre in mezzo al suo gregge. Anche per difenderlo dagli assalti di animali feroci o dalla bramosia di ladri e briganti. Il pastore vive con il gregge e con lui condivide le asprezze delle rocce e la dolcezza dei pascoli erbosi.
L’atteggiamento dei pastori è lo stesso di Cristo: una dedizione assoluta al suo popolo! Così assoluta da farsi uomo per sentire sulla propria carne il calore di un abbraccio, le lacerazioni provocate dalla malvagità, la complessità delle relazioni umani… Nulla, Cristo, si è risparmiato della nostra umanità, tranne naturalmente il peccato che è la negazione, la diminuzione dell’umano. Sfrondiamo, infatti, un grande equivoco: il peccato è totalmente estraneo all’umano, al contrario lo infanga, facendolo scadere al livello delle bestie. Cristo ci vuole uomini veri, realizzati, cristallini… e la pienezza di umanità non è altro che la santità!
C’è un secondo aspetto che sicuramente ha colpito Cristo: i pastori di notte erano soliti chiudere i loro greggi in un unico recinto e quindi le pecore e le capre si mescolavano tra loro, gli schieramenti perdevano visibilità. Quando sorgeva il sole gli animali uscivano prontamente non appena si sentivano chiamati dal loro legittimo proprietario: non c’era pericolo di sbagliarsi. Quella voce rappresentava protezione, sicurezza, pascoli abbondanti, una strada sicura. Gesù chiede ai suoi discepoli la stessa fiducia, la stessa prontezza nel seguirlo: atteggiamenti, però, che devono nascere da una profonda libertà interiore. Cristo, infatti, non ci chiede di essere dei pecoroni che seguono ciecamente il Pastore, abdicando alla nostra responsabilità. Non facciamo parte di un gregge informe: ciascuno di noi è conosciuto per nome, ciascuno di noi ha una propria identità certa, ciascuno è chiamato a dire, con totale libertà, il proprio “sì” a Dio, il proprio “eccomi”, così come fece Maria nella casa di Nazareth.
È vero che l’immagine del pastore e del gregge può far passare l’idea che il cristiano sia una persona che ha venduto il proprio cervello per qualcosa di fantasioso o strampalato: quante volte ci siamo sentiti affibbiare il titolo di “pecoroni”, magari proprio da quelli che aspettano l’influencer di turno che gli dica che scarpe comprare o l’opinion leader che gli ordini quando e dove inginocchiarsi!
Di fronte a questi attacchi mi domando: è forse irragionevole l’invito ad un amore gratuito che ci fa Gesù? È forse da stupidi investire la propria vita sul perdono, sulla mitezza, sulla ricerca del bene, sul rispetto della dignità dell’uomo? Parole come giustizia, onestà, purezza di cuore, essenzialità del vivere non sono mete che tutti, in fondo, desideriamo conquistare? Dinanzi al mistero di Dio la ragione a un certo punto deve fermarsi, eppure quello che Lui ci chiede non è per nulla irragionevole, anzi, è l’unica strada per non annientare il Creato che ci è stato affidato e, soprattutto, per non autodistruggerci!
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