20 novembre 2021

Storia dell'illuminazione: abbasso il modello Las Vegas, ridateci un po' di buio

“In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu”.

Così’ ha inizio tutto, almeno secondo Genesi, il primo libro della Bibbia: era buio e fu la luce. Ne dobbiamo dedurre che da quando l’uomo esiste, la luce coincide in qualche modo con la vita e il buio con la morte: “Gli occhi dell’uom cercan morendo il sole” scriveva Ugo Foscolo, a cesellare l’antichissima abitudine di vegliare i morenti con un lume acceso. E chi di noi non ha faticato da bambino ad abbandonare la luce accesa sul comodino o nel corridoio per paura del buio?

E in effetti, non solo il buio di norma ci spaventa, ma per secoli ha rappresentato un vero e proprio pericolo sia nelle campagne che nelle città: in campagna perché si veniva assaliti dalle belve, in città perché si veniva assaliti da ladri e assassini. La notte è stata per millenni appannaggio solo di prostitute, alcolizzati, giocatori d’azzardo, banditi e piantagrane. Nelle nostre città la più oscura tenebra notturna ha regnato fino al XV° secolo, tempo in cui iniziarono gli obblighi di tenere accese in inverno le lanterne sull’uscio di casa o dietro a una finestra, a pena di multe salatissime: ebbene sì, la prima illuminazione pubblica era a carico dei privati cittadini, costosissima per loro, inefficace per la città e origine di decine di incendi domestici che spesso si mangiavano interi quartieri.  

Se cercate su Wikipedia “storia della illuminazione” noterete qualcosa di sorprendente: dal 50.000 a. C. fino al 1786 d.C. ci sono solo 3 date, dal 1786 al 2010 ben 30 date: significa che per quasi 52.000 anni l’uomo per combattere il buio non ha usato altro che fuoco e candele. E che la storia della luce e della lotta alle tenebre e delle invenzioni tecnologiche ad essa legate sono una questione tutta moderna.

Parigi, che non a caso è nota come “la Ville lumière”, fu la prima città nel 1832 a installare dei lampioni a olio, erano solo sei e stavano in Place Vendôme. Cinquant’anni dopo la città era illuminata al punto che gli Impressionisti la consegnarono alla storia come la città della irrefrenabile e vivacissima vita notturna, una novità assoluta per tutta l’umanità: nel 1897 Pissarro dipinge ne Le Boulevard Montmartre, effet de nuit  la città nera e blu striata da file infuocate di luci ardenti, una cosa inimmaginabile solo pochi anni prima.    

E infatti proprio i francesi diventano i maggiori “venditori” di luce in tutta Europa, un primato che detengono ancora oggi, come ben sappiamo dalle tormentate vicende delle varie multi-utilities locali e non. In Cittadella degli archivi custodiamo una corposa documentazione sulla storia dell’illuminazione pubblica milanese, da cui si evince che ancora ai tempi dell’Impero Austro-Ungarico e del Regno Lombardo-Veneto, i francesi si proponessero come realizzatori di impianti di illuminazione pubblica con le varie Société Générale d’Eclairage, Société de Nouveau Gàz e via dicendo… Seguono, forse per influenza territoriale, i piemontesi Ferrero e Croizat, che presentano brouchure e preventivi per illuminare la città con metodi sperimentali.

Fino alla metà del 1800 l’illuminazione è a olio, e i “lampdee”, così vengono chiamati, devono ogni sera salire con le scale a riempire di olio le lanterne che fanno molto fumo e poca luce. Arriva poi l’illuminazione a gas, grande rivoluzione che regala luci più intense, gialle invece che marroni, non produce caligini puzzolenti e che per la verità terrà banco fino agli anni ’20 del ‘900, quando prenderà definitivamente piede, dopo un vero e proprio  testa a testa fatto di continui sorpassi,  l’illuminazione elettrica.  Si facevano calchi su carta lucida delle principali arterie cittadine e su di esse, con dei puntini rossi, venivano indicati i posizionamenti dei futuri lampioni.

Si assiste ad un vero e proprio assalto di preventivi, proposte progettuali, sperimentazioni dei più diversi sistemi e di illuminazione e di produzione di combustibili: becchi a incandescenza per il gas e archi per la tensione elettrica, enormi carburatori che trasformano in gas qualunque cosa, dall’acqua alla torba agli olii, in una continua competizione che vede nel 1887 il Comune sottoscrivere un contratto per il “metodo Edison” a illuminazione elettrica e poi tornare nel 1902 alla illuminazione a gas con il metodo “Millennium”, sempre con lo stesso unico scopo: avere più luce con meno costi. Da lì in poi, se escludiamo il coprifuoco notturno in tempo di guerra per evitare i bombardamenti, quella per illuminare le città è divenuta una vera e propria cavalcata inarrestabile, con i cartelloni pubblicitari al neon divenuti simbolo indiscutibile di sviluppo benessere e progresso.

Oggi abbiamo la tecnologia LED, che ci permette di illuminare a giorno le nostre città con costi quasi risibili, con una sorta di “effetto Las Vegas” che ha invaso tutte le più belle città italiane. La luce ormai è un must irrinunciabile: ci consente di vivere giornate di 24 ore, è il primo deterrente utilizzato contro aggressioni e vandalismi, e diviene addirittura indice di buon governo delle città e strumento di consenso politico: illuminate a giorno strade e piazze e sarete i beniamini dell’elettorato.

Eppure una sera, mentre attraversavo la bellissima seicentesca Piazza Sant’Alessandro, durante un breve black-out, improvvisamente la luna piena si è ripresa la scena illuminando quattro secoli di arte di una luce che nemmeno ricordavo, e che mi ha fatto tornare alla mente quanto scriveva D’Annunzio sulla piazza di Pisa nel 1919: “Imbruniva. L′ombra del marmo era cerulea. E’ quello un marmo che a vespro fa il turchino come il lapislazzuli. Inazzurrava l′erba, quasi con una pennellata d′oltremare". Scene meravigliose che ormai abbiamo dimenticato: perfino le nostre cattedrali sono illuminate come i Casinò del Nevada. Antonio Paolucci, grande sovrintendente museale italiano, è uno dei maggiori esperti di illuminazione delle opere d’arte e al contempo un irriducibile nemico dell’illuminazione notturna dei monumenti.

Senza cadere in quel romanticismo decadente e scontato che nauseava i Futuristi al punto da farli dichiarare ufficialmente “contro il chiar di luna”, oggi che la modernità ha permeato invasiva e maleducata ogni angolo della nostra vita, abbassare un po' le luci ci farebbe bene, specialmente adesso che le nostre città sono impacchettate come delle opere mal riuscite di Christò per il Bonus 110 sull’edilizia, che avrà anche salvato dal baratro tante imprese ma che sa tanto di economia drogata che ha bisogno di steroidi per non afflosciarsi rovinosamente.  

L’impressione di vivere in una società che cerca di annegare la paura nell’edonismo è sempre più marcata, abbiamo abitudini che vanno oltre le nostre possibilità ma non osiamo neppure immaginare di abbandonarle. Viviamo la pandemia come un terrorizzante incidente di percorso che va superato ad ogni costo per poter tornare alle abitudini di prima, senza nemmeno considerare che tra l’uno e l’altro ci sia un rapporto di causa effetto e che forse è ora di rivedere i nostri standard.

Più si ha paura, più si vuole la luce accesa.   

Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano   

 

Francesco Martelli


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commenti


Daniela Azzola Farinotti

20 novembre 2021 08:19

Bellissima la tua storia della luce,bisognerebbe mandala nelle scuole,i bambini e i ragazzi(È anche noi adulti)diamo tutto per scontato,invece cosa c'è dietro a quella "cosa'che noi quotidianamente creiamo schiacciando solo un interruttore...bravo come sempre👏

Martelli

20 novembre 2021 10:51

Grazie mille!

Annamaria Menta

20 novembre 2021 11:50

Come molte altre volte, leggo questo intervento (bellissimo) e, oltre ad essere d'accordo con le conclusioni, vengo assalita da un certo sconforto.....come è possibile che le persone non si accorgano di quello che sta intorno a noi? E sì che di luce artificiale che illumina le nostre città ne abbiamo fin troppa.....
Oltre la narrazione storica, leggo parole che dovrebbero risvegliare l'attenzione (la sensibilità?) delle persone.

Martelli

20 novembre 2021 14:10

Grazie!

Michele de Crecchio

22 novembre 2021 18:29

Mi ripeto, ma ricordo come il simpatico Mario Soldati, ostile alla illuminazione notturna dei monumenti, avesse tanti anni orsono affermato che anche i monumenti hanno diritto al loro sonno notturno! Pochi anni orsono anche Umberto Eco riprese con efficacia tale elementare concetto che, personalmente, condivido visceralmente!

Martelli

22 novembre 2021 22:04

Meraviglioso il "sonno notturno dei monumenti"..!

Annamaria Menta

23 novembre 2021 09:10

Condivido in pieno il "diritto al sonno notturno", dei monumenti. Mi "allargo" aggiungendo che oltre all'illuminazione esagerata che copre la "luce" notturna, ci sono anche i suoni della notte tra le "vittime" del mito della città che non dorme mai. La notte non è silenziosa, ha solo suoni diversi dal giorno e questi suoni, se gli umani ogni tanto smettessero di interferire, si sentirebbero anche in città....

Martelli

23 novembre 2021 23:43

Verissimo