Sul tema energetico non servono battaglie ideologiche
Vorrei condividere alcune riflessioni sul tema generale degli interventi in centro storico, per entrare poi nel dettaglio delle considerazioni emerse su interventi specifici da parte del Soprintendente dr. Barucca.
Nei contesti urbani il tema dell’abitare è al centro delle politiche pubbliche: “abitare” ha la stessa radice di “abito”, quella cosa che si indossa, che ci mette a nostro agio e per questo ci fa sentire in qualche modo a casa. Anche l’incontro fra le spazialità storiche e il riuso deve avvenire proprio all'insegna di quel termine. Un centro storico, per esempio, non è un museo nel quale, sentendoci un po’ estranei, camminiamo ammirati in punta di piedi, ma è un luogo da vivere, da attraversare. L’attenzione a cui dobbiamo tendere è coniugare l’ammirazione, per non dare mai per scontata la bellezza che ci circonda, e la fruizione degli spazi. L’uomo contamina i luoghi, talvolta anche forzando la loro armonia, ma il fascino di un luogo è spesso il frutto di una sovrapposizione non sempre pulita ed equilibrata, ma spesso caotica e disordinata.
Quando parliamo di paesaggio facciamo riferimento a un elemento dinamico, non statico, poiché anche il paesaggio è la sovrapposizione di culture, storie, costumi, è il vissuto di piccole e grandi comunità. Questa stratificazione noi la troviamo anche nei nostri centri storici, spesso concepiti come immutabili ma in realtà anch’essi soggetti a continui cambiamenti.
L’abitare deve fare i conti con le esigenze del presente, con una dimensione anche immateriale, che pone l’attenzione alla relazione e alla materia che da questa si può generare; questo non deve giustificare l’arroganza verso le radici di uno spazio urbano, poiché oggi quel passato va preservato, tutelato ma anche raccontato con linguaggi nuovi, inediti.
Questo paese viene da decenni di scempio paesaggistico, in cui la ricostruzione del dopoguerra, infatti, ha dovuto scontare un prezzo enorme nelle nostre città, frutto di un accordo complessivo quasi trasversale tra enti pubblici, imprese, operatori e probabilmente anche con lo stesso mondo intellettuale. L’inarrestabile trasformazione che ne è derivata, si è sviluppata spesso senza la dovuta attenzione alle radici dei luoghi, spesso verso il disarmonico e in molti casi verso l'interesse privato ma anche per perseguire necessari interessi pubblici.
Queste sono le dinamiche del XX secolo e oggi raccogliamo i risultati, non sempre gratificanti, di quelle scelte dettate dal mercato, dallo sviluppo, ma anche da esigenze legittime di equità sociale: si è pagato il prezzo di un evidente impoverimento formale, con conflittualità urbanistiche le cui conseguenze sono ancora attuali.
L’ abitare, in alcuni casi, è stato un po’ marginalizzato, anche dentro a una dicotomia un po’ elitaria fra centro e periferie: basti vedere, da una parte, la qualità di alcuni contesti di edilizia pubblica residenziale generata in quegli anni, e dall’altra il tentativo successivo di cristallizzare il centro storico e consentire tutto il possibile nelle periferie delle città.
Colgo dunque positivamente il fatto che nelle Linee Guida sul paesaggio che abbiamo recentemente presentato, anche i margini della città e le stesse aree industriali sono sottoposte a una necessaria attenzione. Nel contempo, è positivo che con il nostro piano delle regole del PGT si sceglie di consolidare una discreta flessibilità di intervento anche nei centri storici.
Il tema di fondo è quello di decidere se consideriamo l’architettura come qualcosa di astratto, privo di un legame con la propria epoca, oppure come un percorso aperto, che si mette in relazione con chi vive i luoghi, con chi li trasforma e li connette nel circuito vitale di una città e nei suoi progetti futuri. E tutto questo senza violentare, senza stravolgere l’organismo architettonico, svuotandolo del messaggio storico di cui lo stesso è testimone.
Il tema energetico è il paradigma della sfida che abbiamo di fronte: i centri urbani sono i principali consumatori di energia a livello globale poiché oltre il 70% delle emissioni di CO2 provengono dalle città. Nel periodo 1990 - 2019 le emissioni globali di CO2 dagli edifici sono aumentate del 50%, la domanda globale di energia finale degli edifici è cresciuta del 38%.
La questione energetica non è una moda passeggera ma una necessità strategica che risponde a interessi pubblici diversi: l’articolo 9 della nostra Costituzione ha recentemente accolto le tematiche ambientali oltre a quelle già consolidate del paesaggio e della tutela del patrimonio culturale, ma la questione energetica oggi è anche questione sociale di attenzione ai più deboli. Dovremmo, infatti, pensare alle comunità energetiche come sintesi di queste due esigenze, a una tecnologia messa a disposizione di piccole e grandi comunità, per generare meccanismi di solidarietà e di vicinanza che ci riportano ai legami di un tempo fra i residenti di uno stesso quartiere, quei quartieri spesso inghiottiti dall’anonimato e dall’individualismo.
Il punto di partenza è l’inevitabile ripensamento della consueta relazione tra energia e società: i combustibili fossili hanno generato sistemi energetici strutturati attraverso lunghe catene di approvvigionamento, con l’energia prodotta in grandi impianti centralizzati e ben distanti dai luoghi di consumo. Ora si sta andando verso un modello decentralizzato con i conseguenti e noti impatti paesaggistici. Il paradosso delle rinnovabili è la loro visibilità, che non sempre è “gradita”: dunque, la sfida energetica, che è decisiva per il futuro delle comunità stesse e del pianeta, è anche la sfida di conciliare le diverse esigenze con la premessa della ragionevole consapevolezza che non servono approcci ideologici, non serve polarizzare lo scontro fra interessi pubblici diversi.
Entrando nel merito di alcune sollecitazioni emerse durante la presentazione delle nostre Linee Guida sul paesaggio, in particolare sulla questione del fotovoltaico, trovo curioso che vi sia un Ministero che sostiene i privati a farsi i propri impianti con una normativa sempre più “spinta”, mentre un diverso Ministero, al quale fanno capo le Soprintendenze, osteggia questa scelta di liberalizzazione incentivata all'efficientamento energetico. Non era forse il caso che i due Ministeri affrontassero a monte questi temi “spinosi” mediando sui criteri di sostenibilità, evitando che le contraddizioni arrivassero a valle e quindi ai cittadini, alle imprese e anche a chi governa i territori? Sul tema dei fotovoltaici, dentro e fuori i centri storici, sulle coperture delle cascine e via discorrendo, ci sono sentenze del TAR e del Consiglio di Stato che sostengono questa “apertura” e lo fanno anche perché la produzione di energia da fonti rinnovabili costituisce un obiettivo di interesse nazionale, ecco allora il significato di Linee Guida che cercano di gestire dal basso i possibili impatti, fornendo al cittadino delle indicazioni molto concrete.
Anche il cappotto è oggetto di grande dibattito, e confermo le premesse appena condivise in relazione alle palesi contraddizioni fra le diverse realtà dello Stato.
E’ vero che il superbonus ha generato molte criticità a partire dagli effetti distorsivi di questo provvedimento. Il 110 ha anche il limite della totale insostenibilità per le finanze pubbliche e l’impressione è che misure come questa possano danneggiare il settore favorendo l’ingresso nel mercato di imprese inefficienti. L’idea di un contributo pubblico per questi interventi va preservata, forse sarebbe più utile contenere la sovrabbondanza di questo sussidio.
Lo strumento del cappotto termico non può tuttavia diventare oggetto di una guerra di religione.
Entrando nel merito dell’esempio fatto dal Soprintendente sull’intervento nelle ex Dorotee, vorrei sottolineare come quel recupero ci racconti le incongruenze anche all’interno delle medesime funzioni dello Stato.
Quel progetto è stato ultimato nei mesi scorsi, ma risale al 2017 e fu licenziato dalla precedente Commissione Paesaggio presieduta da Massimo Terzi, non con sufficienza, ma dopo una nutrita serie di audizioni, rinvii, e richieste di integrazioni. L'attuale Commissione Paesaggio si è limitata ad indicare tra i campioni proposti la gradazione di “terre gialle” e “narancio” (conformi alla “Tavolozza dei colori della città di Cremona”) che erano già state definite in precedenza dalla Commissione Paesaggio decaduta nel 2020.
Su questo intervento, il Soprintendente dr. Barucca, ha dichiarato che avrebbero dovuto essere richieste le necessarie autorizzazioni, imputando al Comune la “mancanza di conoscenza del codice”. A questo proposito, si ricorda che all'interno della documentazione presentata dalla Provincia a corredo della pratica, esiste un provvedimento con il quale la Direzione Generale Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia escludeva gli immobili del complesso “Ex Dorotee” da qualsiasi interesse culturale.
Rispetto alla valutazione di un “divieto dell'utilizzo del cappotto quando altera le fronti edificio", evidentemente si fa riferimento al paragrafo conclusivo dell'art. 57 del vigente Regolamento Edilizio Comunale: va tuttavia precisato che questo limite si giustifica solo quando si tratta di edifici di pregio architettonico che, nel caso in argomento, la stessa Soprintendenza sembra avere definitivamente escluso.
Anche nel dettaglio, dunque, emerge un ventaglio di opinioni che non corrispondono ad atti formali e che sottolineano come queste partite articolate non siano governate dagli enti sovraordinati in modo chiaro e lineare.
L’ultimo esempio è quello di Palazzo Manes, anch’esso oggetto di alcune valutazioni del Soprintendente, citandolo fra “gli interventi cremonesi sul trattamento delle superfici, di cui è evidente il peggioramento”.
L’edificio in questione, originariamente, non era assoggettato alle Belle Arti: tuttavia, a lavori già avviati, la Soprintendenza ha bloccato il cantiere allo scopo di vincolare l’immobile. In sostanza la Soprintendenza, partendo proprio da quel caso e non da una scelta programmata, ha deciso che anche per il futuro potrà essere variata “la dichiarazione di interesse per i palazzi Liberty che sono caratteristica di questa città, così come lo sono il Medioevo o il Rinascimento”.
Anche in questo caso, gli uffici prima e l'attuale Commissione Paesaggio, avevano già impedito che venisse realizzato un cappotto esterno, e dopo un percorso durato dall'aprile del 2020 al gennaio 2021 con il rilascio di un Permesso di Costruire si autorizzavano la semplice pulizia e la messa in sicurezza dei prospetti (con riferimento ai parziali distacchi di intonaco, e la pitturazione esterna come da colori esistenti). L’ immobile non era in quel momento vincolato: successivamente, come già indicato, è intervenuta la Soprintendenza, bloccando il cantiere e attivando la procedura di apposizione di vincolo. E’ evidente che, di conseguenza, i lavori in seguito al vincolo siano stati monitorati dalla Soprintendenza: per cui il risultato finale, se giudicato “non soddisfacente” nella sua esecuzione, non può certo essere imputato alla Commissione Paesaggio.
Si ricorda a tutti ma in particolare alla Soprintendenza che sembra disconoscere esista un impianto normativo nazionale, regionale e comunale che gestisce le opere edilizie, che alla luce delle ultime modifiche intervenute al T.U. Edilizia DPR n. 380/2001, la tinteggiatura esterna dei fabbricati è stata derubricata ad “ordinaria manutenzione” e pertanto “attività libera”. Ciò nonostante, il Comune di Cremona, forzando un po' la normativa anche al fine di avere un controllo su tali tipi di intervento, chiede (o meglio consiglia) che venga presentata una Comunicazione di inizio Lavori di Tinteggiatura. Ovviamente, nulla è possibile eccepire se non dovesse essere presentato alcunché. Ma nel caso di Viale Trento Trieste Palazzo Manes, il controllo c'è stato anche da parte della Soprintendenza.
Ho dovuto dilungarmi su esempi concreti perché il dettaglio ci fornisce con concretezza un quadro generale ma anche per replicare a valutazioni discutibili nel merito e inopportune in un dibattito pubblico che abbiamo voluto innescare per costruire occasioni di confronto. Le recenti ed “equilibrate” dichiarazioni del Sottosegretario alla cultura Vittorio Sgarbi che parla di “associazioni a delinquere” in riferimento all’utilizzo di alcuni impianti di energie rinnovabili, sono purtroppo eloquenti e rappresentano quell’approccio emotivo che compensa la difficoltà di governare i processi con proclami soggettivi. Nel contempo, le amministrazioni locali, i professionisti che esercitano gratuitamente una funzione pubblica nelle commissioni paesaggistiche e quelli che quotidianamente hanno a che fare con le diverse committenze, cercano invece di gestire dal basso il combinato disposto di interessi pubblici e privati diversi, sempre disponibili nei fatti a una “reale collaborazione”.
Vicesindaco di Cremona
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