18 maggio 2022

Treni disastro, marciapiedi rebus, semafori flipper. Ma dai cremonesi solo un flebile mugugno...

Eccoli lì, occhi amorosamente persi in quelli del loro cane, affettuosi sussurri accessibili solo al suo finissimo udito, anime consegnate senza riserve all’infallibile tempio della fedeltà canina.
Al netto della concessione alle mode, siamo senza dubbio di fronte a un volto, fra i più eloquenti, dell’individuale solitudine contemporanea. Basta assistere a quell’incrocio di adoranti sguardi e trova risposta la domanda che sempre più spesso capita di farsi: da dove viene il rassegnato fatalismo con cui i cremonesi ormai assistono al progressivo degrado che, fra incuria, caporetto commerciale e incomprensibili scelte, sta mortificando la città? Dov’è la politica ma anche, e soprattutto, dove sono i cremonesi? Il famigerato inceneritore è ben lontano dallo spegnersi, la qualità dell’aria è pessima, alcune zone interessate in passato da infelici modifiche della circolazione si sono trasformate in tronchi autostradali a disastroso impatto ambientale e danno biologico. E’ il caso di viale Trento e Trieste che nel primo tratto subì, con l’abbattimento di preziosi alberi, una desertificazione mai rimediata a dispetto delle ripetute promesse. Quanto alla stazione ferroviaria, è sottosopra da anni e pare che l’installazione di un banale ascensore esiga calcoli
più complessi e arditi del progetto della cupola di san Pietro.
Riguardo ai collegamenti ferroviari siamo al coma profondo. Chi incautamente si rallegrasse dell’alto numero di convogli per Brescia sappia che non si tratta di altrettanti viaggi propriamente detti ma di volonterosi tentativi di lasciare Cremona alla volta di Brescia -e viceversa- falcidiati tuttavia da altissimo tasso di mortalità.
Passeggeri? No, ostaggi di esperimenti quotidiani, reiterati da ferrovie Trenord con patetico accanimento. Barricate e sit in di protesta? No, solo il basso continuo di un flebile mugugno prudentemente consumato in privatissime retrovie.
E rieccoci dunque alla domanda: dove sono i cremonesi? Messa così è complicato rispondere. Ma se solo si modifica il punto di osservazione, risposte se ne trovano fin troppe. I cremonesi, come altri abitanti del Bel paese, non sono ormai che un popolo di esausti nuotatori sfiancati da troppi naufragi e troppe delusioni. Quando politica e amministrazione si ritirano dai territori e appaiono sempre meno interessate a conoscerne le reali condizioni ed esigenze, non stupisce che la società civile, a torto o a ragione, getti in fine la spugna, rinunci al ruolo di interlocuzione, protesta e proposta. E
scelga, appunto, di ritirarsi nei ranghi del famoso privato. Ma eccoci all’altro pezzo del problema. Avercelo il privato di una volta, coi suoi tradizionali puntelli di fede laica o religiosa, familiare o collettiva ormai da tempo investiti dall’implacabile tramontana che tutto ha ridisegnato e stravolto intorno a noi e dentro di noi. Ed è a questo punto che entra in scena lui, Fido, il fedele per eccellenza, l’estremo approdo di quel bisogno di concedere e ricevere
incondizionata fiducia troppe volte bastonato dagli alterni casi della vita. Portiamo Fido alle terme, lo vezzeggiamo, lo vestiamo come un bambolotto, immaginiamo per lui un qualche futuro scolastico e perché no universitario, se solo l’indomita Michela Vittoria Brambilla ci mettesse una parola buona….
Che nome dare a tutto questo? Inappetenza esistenziale, direbbe un fine dicitore. Cioè paura di investire seriamente su un futuro che temiamo e immaginiamo foriero di crescenti difficoltà e rischi. Meno problematico investire su un cane che sulle infinite incognite di un figlio? Evidentemente, sì. Nulla in comune dunque, benché l’analogia sia abusata, fra noi e la generazione del secondo dopoguerra. Allora si guardava avanti immaginando un miracolo, oggi ci si guarda alle spalle immaginando un agguato. Aggrovigliata questione, in effetti, quella delle reciproche responsabilità che attualmente affliggono e paralizzano il rapporto fra politica e società civile. Peccato. Ma non tutto è perduto.
Concluderò con scrupolosa dimostrazione che lassù, nelle stanze del potere cittadino, qualcuno ci ama e tanto ha a cuore il nostro
benessere psicofisico da trasformarci una giornata di ordinaria routine in un seguito di avvincenti prove di abilità. Poniamo che l’immaginario ‘percorso vita’ parta da corso Garibaldi, zona Cittanova: tracciato ‘vietnamita’ da percorrere con calzature adeguate, attentamente scansando le generose donazioni organiche di cani e piccioni. Ma la vera avventura inizia all’altezza della chiesa di san Luca, ormai in prossimità della celebre piazza Risorgimento, sagacemente definita dai conoscitori ‘piazza Flipper’ per l’ammiccante gioco di luci semaforiche che disorienta anche la mente più pronta e i migliori riflessi. Quale semaforo guardare per attraversare con minima speranza di uscirne vivo? Quello di fronte è perfidamente obliquo,
quello di fianco è spento, quello alle spalle lampeggia, quello di sinistra è verde ma a contraddirlo c’è il rosso di quello di destra.
Un torcicollo e sei finito. Ma il tempo scorre e dopo sommario bilancio decidi che in fondo hai vissuto abbastanza e attraversi alla spera in Dio. Se ti va bene, il percorso avventura entra nel vivo. I marciapiedi di viale Trento e Trieste e via Dante presentano un ammirevole labirinto pittorico: su una larghezza di poco più d’un metro misteriose strisce decretano direzioni e giochi di ruolo rigorosamente assegnati a pedoni, ciclisti e alla nuova fauna -di incerta classificazione- degli umanoidi avvitati sul monopattino con stereo a tutto volume incorporato nella cavità toracica. Suspense alle stelle quando il marciapiede svolta in curva cieca e il pedone deve scegliere. Più temibile un incontro ravvicinato con un camion, direttamente camminando al centro della sede stradale, oppure con l’umanoide semovente che, scheggia impazzita in corsa verso astrali lontananze, ha ormai per pista il caro marciapiede di un tempo?
I solutori più abili sono, in fine, attesi al varco fra il piazzale dei pullman e l’attiguo parcheggio anche se va ammesso che le difficoltà utilmente distraggono il pedone cremonese dalle malinconie della solitudine etnica e linguistica: in zona l’italiano è ormai lingua morta quanto aramaico o greco antico. Come raggiungere l’altra sponda stradale correttamente leggendo il tripudio esoterico della segnaletica orizzontale? Ricordo quando da bambini giocavamo a Stella e perdeva chi calpestava la striscia. Curvature parallele, suggestivi ghirigori, enigmatiche frecce. Vuoi che invece dell’Anas abbiano arruolato la redazione della Settimana enigmistica? Ma siamo ormai al cavalcavia del cimitero. Forse per intonarsi al mesto traguardo, ecco
che sulla destra si apre un autentico spazio museale a cielo aperto di originale austerità. Una sobria selva di piloni di cemento, venati di suggestive muffe, s’alza verso il cielo a sostenere il nulla. Astrattismo di elevato livello. Nessuna invidia per i famosi ‘cerchi nel grano’ di origine aliena di cui gli inglesi vanno fieri. Anche noi lasceremo ai posteri intriganti enigmi. A interpretarli ci vuole tempo.
Ed ecco spiegato come mai i cremonesi, divisi fra lo sciampo del cane e la segnaletica ciclopedonale, non hanno più tempo e interesse per la
politica.
 
vittorianozanolli.it
Ada Ferrari


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