“Catene di Libertà”: padre Gigi Maccalli e i motivi che l’hanno portato a scrivere il libro sulla sua prigionia
“Perché ho scritto questo libro? Ho scritto questo memoriale per offrire ai miei familiari, in primis, quanto desideravo comunicare loro durante i miei 752 giorni di cattività. Sono infatti convinto che loro hanno sofferto più di me. Io ho avuto giorni anche sereni e di tranquillità. Desideravo poter comunicare loro che non ero né ferito né ammalato. Volevo rassicurarli, rincuorarli ed invitarli alla pazienza.
Una data è impressa a fuoco nel mio cuore: la sera del 5 ottobre 2018, quando vengo incatenato per la prima volta. Una catena di poco più di un metro di lunghezza mi stringe una caviglia, l’altro capo è assicurato alla base di un alberello; due solidi lucchetti chiusi a scatto assicurano la mia immobilità.
Per 22 giorni ed altrettante notti sono tenuto in catene in questo covo, nascosto tra arbusti ed alberelli che mi proteggono dal sole. Che tristezza!
Adesso sono libero per liberare il perdono e spegnere sul nascere ogni inizio di violenza.
Sono libero per liberare l’accoglienza e consolare chi è affaticato e oppresso.
Sono libero per liberare la parola e dire a tutti di non incatenare mai nessuno.”
Quanto sopra è un estratto da “Catene di libertà” di Pier Luigi Maccalli, casa editrice EMI. Il religioso di Madignano inoltre, giorni fa, durante il tour per la presentazione del suo libro ha detto: “Dopo averli perdonati, o, almeno, spero di esserci riuscito, nel momento in cui stavo per diventare libero, ho detto a uno dei miei carcerieri… Che Dio ci faccia capire un giorno che siamo tutti fratelli. Lui, in quel momento, ha risposto di no, che solo i musulmani sono fratelli tra loro. Ma in questo tempo ho capito che la proposta del Vangelo è seminare fraternità”.
Così parlò padre Gigi Maccalli, missionario della Società missioni africane (Sma) rapito e tenuto prigioniero dai terroristi per due anni. La sua è stata una detenzione dura, ma la fede l’ha tenuto vivo, sereno e … attento al prossimo.
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