Rimpatriata ad Annicco della classe 1948
Caro Mario, desidero confidare a te e ai lettori del tuo brillante giornale informatico una storia vera; una storia che assomiglia molto ad una favola. Devo allora subito accennare che nel lontano 1962 abitavo, quattordicenne, con i miei genitori e con le mie prime tre sorelle, Agnese, Anna e Mirka, nel ridente borgo di Annicco, ossia “in de’l paées de li bèli gàambi” (“nel paese delle belle gambe”). Gli altri due fratelli, Andrea e Manuela, sarebbe nati invece più tardi a Cremona, dove la famiglia di papà William e di mamma Laura si trasferì.
Ebbene, in quel remoto 1962 fondai, con il caro amico di sempre Amilcare Achilli, la squadra di calcio “Folgore”, organizzando in seguito diversi tornei con le squadre degli oratori del circondario. Per poterlo fare mi mettevo in contatto con le squadre degli oratori della zona, attraverso il contatto telefonico diretto con i parroci degli stessi borghi limitrofi, ovviamente attraverso l’ausilio telefonico del centralino di Soresina. Vi è da aggiungere poi che tutti questi parroci li conoscevo personalmente, poiché in quei tempi indossavo pure le vesti di chierichetto e partecipavo ai grandi raduni ecclesiastici diocesani a Casalbuttano e a Castelleone, oltre che al Santuario di Caravaggio.
Il primo problema, per attivare la squadra, fu ovviante di tipo finanziario. C’era bisogno, infatti, di vil danaro per sostenere quel mirabolante progetto. Era un’esigenza di fondo e di principio. Con che soldi comperare le maglie, i calzettoni, oltre che i guanti e le ginocchiere per il nostro portiere Carlo Rottoli, detto “Tùurta”? (Chiamato così perché figlio di uno dei due fornai di Annicco). Era inoltre indispensabile acquistare una fascia elastica, visto che il nostro centravanti, Franco Dossena, per noi tutti Flàco, aveva sempre “lo stiramento” alla coscia destra. Ovviamente questo era solo un inghippo muscolare immaginario, al fine d’imitare “gli strappi” dei grandi calciatori che si vedevano in televisione.
Per acquistare tutto quello che era necessario per la nostra “Folgore” avevamo predisposto, con in determinante aiuto frugale di Emilietta, sorella maggiore di Amilcare, una bella, variegata e variopinta pesca. Poi con il ricavato venimmo a Cremona, in un giorno di mercato, accompagnati da Andrea Mariani, autista del signor Peppino Achilli, padre di Amilcare, grande commerciante internazionale di bovini da latte.
La presentazione al pubblico sportivo di Annicco avvenne in notturna, grazie alla concessione e al permesso del signor Achilli, allora presidente della squadra di calcio del paese, la mitica “Garibaldina”.
La Folgore scese allora in campo con la seguente formazione: 1) Carlo Rottoli (detto Tùurta), 2) Luciano Cè (detto Ciàno), 3) Gervasio Cipelletti, 4) Amilcare Achilli, 5) Agostino Melega, 6) Mario Pagani (detto Sivori), 7) Giovannino Tosoni (detto Pelé), 8) Gianfranco Dossena (detto Flàco), che si alternava con Erminio Scarinzi e con Giuseppe Barboglio, 9) Giuseppe Perucca, 10) Enrico Birocchi (detto Bìri); 11) Dario Bergonzi (detto Darièt).
Ed è proprio Dario Bergonzi, l’ala sinistra di quella mitica e fanciullesca squadra, il protagonista del mio emozionante “amarcòort” (ricordo). Perché di ritorno dalla “festa dei coscritti del 1948”, organizzata come sempre nel migliore dei modi da Alberto e Carlo Bozzetti (abitanti ad Annicco) con Giuseppe Barlassina (abitante a Lecco), al centro di piazza Marconi, sempre ad Annicco, nel punto dove s’incrociano gli antichi cardo e decumano romani, segni storici dell’antico borgo di Vico o Vicus, ho impattato lo sguardo con la mia ala sinistra di allora, Dario Bergonzi. Proprio lì l’ho rivisto e gli ho detto “ciao” con la voce e con il saluto della mano. E lui mi ha risposto con un altrettanto “ciao”, sereno, tranquillo, come se mi avesse visto e salutato il giorno prima. Ma erano passati, dall’ultima volta che ci siamo visti solo sessant’anni, una vita intera, una vita che si è volatilizzata come una bolla di sapone.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti