La poetessa delle caprette: Rosetta Marinelli Ragazzi
Nel corso degli anni cinquanta, che corrispondono al periodo di formazione dell’ultima generazione di dialettali, per la prima volta nella nostra tradizione assistiamo alla conquista degli strumenti espressivi da parte di settori sociali che hanno maturato la loro esperienza autobiografica nel mondo popolare, avendo acquisito come prima lingua il dialetto.
La letteratura cremasca contempla una sola opera che possa ritenersi «epica» a pieno titolo: L'Assedio da Crèma di Rosetta Marinelli Ragazzi, che l'autrice stessa definisce «poema epico-storico-folcloristico e meditativo in dialetto cremasco».
A questo proposito Carlo Alberto Sacchi nel suo Profilo della produzione poetica contemporanea in dialetto cremasco del 2013 scrive:
Protagonisti dell’Assedio non sono singoli eroi, bensì tutto il popolo cremasco, al quale la poetessa rende in primo luogo omaggio con la scelta della lingua, quindi col rifarsi non solo alla storicità degli accadimenti descritti, ma anche, e forse più, alle cronache orali e alle leggende nate spontaneamente fra la gente cremasca.
Rosetta Marinelli Ragazzi, donna culturalmente preparata, è la poetessa dialettale cremasca inserita nella terza pubblicazione della Pro Loco di Crema: Poeti cremaschi di ieri e di oggi, il volume del 2009 a cura del Prof. Sacchi. Come per i precedenti articoli, ricordo che viene fatto riferimento in questi brevi saggi, agli appunti preparati dal curatore stesso per la presentazione del testo in sala Ricevimenti del Comune di Crema nell’autunno dello stesso anno.
La scelta del curatore era allora motivata dal notevole contributo alla poesia in dialetto cremasco impresso dalla poetessa.
La sua poetica si distingue per l’uso di una lingua, che riesce a catturare l’essenza della vita quotidiana e delle tradizioni locali. Le sue poesie sono caratterizzate da una forte componente estetica e antropologica, che cerca di preservare e valorizzare il patrimonio linguistico e culturale locale, riflettendo un forte legame con la cultura e la storia del territorio utilizzando un linguaggio semplice ma evocativo. Questo conferisce alle poesie un senso di appartenenza e identità culturale che sarebbe difficile ottenere con l’italiano standard: le parole e le frasi dialettali infatti spesso portano con sé connotazioni e significati profondi che risuonano con chi conosce e vive la cultura locale. Attraverso le sue poesie, l’autrice contribuisce a mantenere viva la memoria storica e linguistica della sua terra. La sonorità delle parole dialettali può aggiungere una dimensione emotiva e sensoriale che rende le poesie più coinvolgenti.
Questi elementi combinati rendono il dialetto cremasco uno strumento potente e significativo nella poetica di Rosetta. Nelle opere la poetessa include alcuni temi comuni alle esperienze locali:
La Vita Quotidiana: le sue poesie spesso riflettono la semplicità e la bellezza della vita quotidiana nel contesto cremasco, catturando momenti ordinari con un tocco poetico.
Le Tradizioni Locali: ella celebra le tradizioni e i costumi della sua terra, preservando attraverso la poesia le usanze e le storie locali.
La Natura, il Paesaggio cremasco sono spesso protagonisti delle sue poesie, descritti con dettagli vividi e un profondo senso di connessione con l’ambiente.
La Memoria e il Passato: altro tema ricorrente, con poesie che evocano ricordi e storie delle generazioni precedenti, mantenendo viva la storia locale.
Questi temi contribuiscono a creare un quadro ricco e variegato della cultura e della vita cremasca, rendendo le sue poesie non solo opere letterarie, ma anche documenti culturali preziosi. Anche molti altri autori affrontano temi di storia locale, ma si tratta di componimenti sporadici, a volte scritti con apprezzabile dignità formale, ma che mai raggiungono i risultati artistici di un Pesadori, di una Rosetta Marinelli Ragazzi o di un Piero Erba.
La più ricca produttrice di traduzioni in vernacolo cremasco resta, senza dubbio lei: Rosetta Marinelli Ragazzi, autrice di eventi culturali straordinari, quali la versione libera, ma non troppo, di due poemi epici: La pasturèla da Domremy (da La Pucelle d'Orléans di Voltaire) e La cansù da Rolando (da La Chanson de Roland di Turoldo). Le motivazioni culturali di questa produzione non sono chiarissime, tranne il fatto che nel primo caso, ella ha inteso stemperare quanto di irriverente nei confronti della fede cristiana aveva scritto l'illuminista Voltaire e che nel secondo caso ha voluto abbandonarsi, quasi senza freni, alla bellissima, nobilissima e tragica favola degli antichi paladini. In entrambi i casi la lettura è accattivante, soprattutto perché il dialetto cremasco risulta naturale e la metrica perfetta dell'autrice rende fluida la narrazione.
Altra opera interessante sono Le Sacre Scritture, e non solo l'Antico Testamento, perché contengono pagine di autentica poesia, laddove per poesia non si intenda la capacità di suscitare gratuiti sentimentalismi ed emozioni o il banale abbellimento esteriore fine a se stesso. Nel Nuovo Testamento non poche pagine tendono a sottolineare la sacralità del messaggio anche mediante strutture formali che rispondono alla prosodia, alla metrica, alla ritmica e alla musicalità della poesia ebraica antica, strutture alle quali anche il testo in greco fa riferimento. Questo aspetto sorprendente della Scrittura non è sfuggito a Rosetta: nella sua profonda sensibilità sosteneva che anche Dio è un poeta.
Pur se non fu solo una dolcissima voce lirica, la «natura» che la ispira e commuove non è fatta di sole «cose», ma anche e soprattutto di persone.
LA CHÌCHERA BRÖTA
Gh'ó 'na chìchera bröta, ma 'l cafè,
(sebé ga n'ó 'n quai d'öna püssé bèla,)
an fin che scàmpe e 'n fina che la gh'è,
me 'l só da cèrto, 'l bearó dentre 'n quèla...
Al ma par püssé bù: al par 'na màna...
L'è déntre lé, che l'al biìa me màma!...
La tazzina brutta. Ho una tazzina molto usata, ma il caffè, / (anche se ne ho qualcuna più bella,) / finché vivo e fin che essa c’è, / io so di certo, lo berrò da dentro a quella… // Mi sembra più buono: sembra una manna… / È dentro lì, che lo beveva mia mamma.
BIOGRAFIA
Non ci sono informazioni dettagliate disponibili oggi online sulla biografia di Rosetta Marinelli Ragazzi: affidiamoci a quelle raccolte, più di una decina di anni fa, dalle interviste di Sacchi ai parenti dell’autrice.
Rosetta Marinelli Ragazzi nasce a Cremosano il 27 marzo del 1881 da Elisabetta Gelera e da Giovanni Ragazzi, medico chirurgo. Fin da bambina segue il padre in numerose peregrinazioni dovute alle varie «condotte» nell'Alta Italia. Probabilmente apprende da lui i primi rudimenti culturali e soprattutto l'amore per il bello (musica e pittura) e non è ipotesi insensata supporre che abbia ricevuto dalla madre l'amore per la poesia e il culto per la letteratura dialettale, dato che Elisabetta era stretta parente di Riccardo Gelera, filologo, poeta e studioso del vernacolo cremasco.
Fin dalla più tenera età Rosetta compone delicate poesie in lingua italiana, spesso corredate da splendidi disegni o acquarelli in possesso di un nipote ai tempi della pubblicazione del libro della Pro Loco. Ora anche quelli sono andati completamente persi durante la prima violenta grandinata del 2022: una produzione purtroppo per la gran parte ormai inesistente perché mai pubblicata. Restano solo tre copie dei suoi dipinti, nel volume «Poeti cremaschi di ieri e di oggi»: uno di questi è in copia all’inizio di questo articolo.
Il 9 maggio del 1910 sposa Enrico Scapagnini, da cui avrà un unico figlio (Giacomo) che morirà tre giorni dopo il parto. Nel 1944 perde il primo marito. Nel 1946 sposa Pietro Marinelli, primo violoncello dell'orchestra del Teatro alla Scala di Milano, insegnante e direttore della Corale del teatro sociale di Crema, che fonderà la celebre corale che da lui prende il nome.
L'8 dicembre del 1946 perde il secondo marito.
Le sue pubblicazioni vedono la luce in questo stesso anno e terminano nel 1964: dopo questa data, la poetessa non pubblicherà più nulla, ritirata a S. Michele nel «Cassinotto». Era ed è questa una grande costruzione nelle vicinanze della piazza antistante la chiesa del paese e non molto distante dalla cascina Le casèle dove vivevo con la mia famiglia d’origine. All’inizio della strada sterrata c’era, e c’è ancora oggi, una cappelletta campestre: dedicata alla Madonna ha all’interno un affresco raffigurante la Vergine Maria seduta in trono con il Bambino sulle ginocchia. Dagli abitanti anche oltre la metà del novecento era detta La Madunina. A quel tempo è lì che Rosetta porta a pascolare ogni giorno le sue caprette: trascorre la sua vita in un ambiente agreste, popolato da ogni genere di animali. circondata dall'affetto dei suoi cari e dall'insopprimibile amore per la poesia, ma anche per la musica e la pittura: produce ancora parecchi manoscritti che purtroppo sono andati perduti quasi totalmente.
PÓRE CAVRÌNE! ...
Quand ga saró pö me, adìo carèsse
e bucù foravéa da mangià,
e spansàde da fóie da murù
che cól bachèt a ga fàe crudà!...
Adìo spasesàde 'n dì teré
a gót ansèma 'l vert e l'ària bùna!...
Cantarà amò le ràne e i russignói,
ma... le sentarà pö la sò padrùna…
Povere caprette. Quando io non ci sarò più, addio carezze / e bocconcini non programmati da mangiare, / e abbuffate di foglie di gelso / che con un bastoncino gli facevo cadere a terra!... // Addio passeggiate nei campi / a goderci insieme il verde e l’aria buona! … / Canteranno ancora le rane e gli usignoli, / ma… non sentiranno più la loro padrona…
Ho ben presente un ricordo della mia infanzia: nelle lunghe notti d’inverno, nella stalla, noi abitanti delle Caselle, mentre ascoltiamo mio fratello maggiore, leggere da fogli sparsi, le poesie composte da Rosetta.
La poetessa muore a S. Michele il 15 settembre 1972.
BIBLIOGRAFIA
Dal 1946 al 1951 pubblica le sue prime opere:
Musa Scugnizza e Ginestre: poesie in lingua che pur se pubblicate in momenti diversi, raccolgono, secondo un criterio legato soprattutto ai contenuti, poesie composte nello stesso periodo e sparse disordinatamente in vari manoscritti (i quaderni) andati per lo più perduti. Della seconda opera esiste anche una precedente edizione, assai ridotta, datata 1942.
In questi anni sono anche le prime pubblicazioni in dialetto: Fóie che croda e Spera da sul.
Nel 1952 pubblica un carme odeporico in dialetto cremasco: La Fera da Santa Marea a cui si aggiunge una versione in dialetto cremasco del poema di Voltaire: La Pulcelle d'Orleans.
Nel 1954 dà alle stampe La cansù da Rolando dalla Chanson de Roland di Turoldo: il poema in versi di data e autore imprecisati, anche se di sicura composizione tra l’XI e il XII secolo. Rosetta ne fa la libera versione in dialetto cremasco.
Nel 1955 il Comune di Crema le conferisce la medaglia d'oro del 1° Premio Fulcheria.
Nel 1957 pubblica L'assedio da Créma in dialetto cremasco, con cui vince, nello stesso anno, il Concorso Nazionale del Convivio di Milano.
Nel 1964 pubblica A Assisi da scapada, carme odeporico in dialetto cremasco.
A margine di questa produzione ritengo doveroso ricordare che il Comune del suo paese natale, Cremosano, ha organizzato dieci anni fa (2014) il «Concorso Poetico Rosetta Marinelli Ragazzi», per promuovere la poesia e valorizzare il patrimonio culturale locale.
Riprendo la presentazione del volume del 2009 di R. M. Ragazzi ricorrendo ancora agli appunti del Prof. Sacchi.
La sua scrittura è fresca e cristallina, semplice e non banale, lontana dalle ambizioni dotte e dai paludamenti retorici. Ne è ben cosciente la stessa autrice nelle poesie composte in italiano: se questa è la cifra ispiratrice, è evidente che ella trovi una ancor più coerente espressione nel dialetto che è lingua semplice, popolare e non artificiosa per sua stessa natura. Quanto alla strutturazione formale dei testi poetici e in particolare alla versificazione, Rosetta predilige senza dubbio l'uso dell'endecasillabo, per quanto anche altri metri le risultino naturali e congeniali. È assai precisa nella metrica sia in lingua italiana che in dialetto. La domesticità con l'endecasillabo non può non portare la poetessa alla composizione di sonetti nella forma più classica.
Sempre dall'endecasillabo come base, nascono pure le canzoni di impianto leopardiano (con l'uso ad esempio anche del settenario), ma di musicalità sostanzialmente differente (ben diversi infatti sono l'uso e la sonorità delle rime). Le sue composizioni sono spesso in settenari, onde assumere un andamento più movimentato e più vivace. Il settenario, usato in due strofe di quattro versi, è strumento perfetto per creare brevi ed illuminanti immagini, nicchie ricche di sentimento. Non infrequente è anche il ricorso alle composizioni libere tanto nella struttura delle strofe, quanto nella scelta dei metri: si tratta di opzioni sempre coerenti e corrispondenti alla natura del sentimento.
La poetessa Rosetta è conosciuta quasi esclusivamente per la sua produzione lirica, in particolare per quella bucolica, ma questo fatto è molto limitativo. L’autrice infatti, specie nelle raccolte in lingua italiana, è molto attenta anche alle problematiche sociali, vista la gravità e la tristezza dei tempi: la dittatura fascista e la guerra. Sorprendente è la sua capacità di sorridere, nonostante tutto (nonostante la gravità dell'ora, nonostante l'avversione a molti aspetti della dittatura fascista), il desiderio di sorridere nasce quasi per trovare un impulso a sopravvivere. Tema molto ricorrente nella poesia, per l'assurdità e per il dolore che lo contraddistingue, è quello della guerra. Ovviamente la guerra segna uno dei tratti fondamentali dell'opera L'Assedio da Crèma. Ma la cifra espressiva è ormai ben altra: la realtà di Hitler e di Mussolini è lontanissima dal mito del Barbarossa. Il folklore non nega la tragedia degli accadimenti storici, ma li veste un poco degli abiti della pastòcia.
Nella strofa seguente Rosetta esprime una sua riflessione sulla vicenda dei Cremaschi che hanno avuto dall’imperatore un piccolo spazio temporale per sfuggire all’incendio della città ordinato dal Barbarossa stesso come punizione per la lunga resistenza messa in atto dai Cremaschi.
An da la rèssa, per an quai sburlù
o per la debulèssa,
i vecc, mia tant an gamba, i trambücàa;
e Barbarossa stès,
che, i dis, l'era cumòs, (al par gna éra),
a quei burlàt an tèra
al ga dàa 'na ma a tirài sö.
Nella folla disordinata per qualche spinta / o per stanchezza / gli anziani, non tanto svelti, inciampavano: / e Barbarossa stesso, / che, dicono, era commosso, (non sembra neanche vero), / a quelli caduti a terra / dava una mano a rialzarsi.
La guerra domina anche il panorama dei poemi epici, due dei quali vengono da lei tradotti in dialetto cremasco: La pasturèla da Domremy e La cansù da Rolando. A questo proposito scrive la poetessa:
Oggi nelle nostre guerre moderne non uno alla volta ne muoiono, ma a decine, a centinaia, a migliaia e, se verrà l'atomica, anche a milioni, non solo di soldati, ma pur di inermi e pacifici cittadini e di lavoratori; di giovani, di vecchi, di donne e di bambini. […] Nei poemi cavallereschi, invece, le battaglie si risolvevano sempre così:
Patapim, patapum,
patapim, patapum,
pimf… pumf.
Date queste premesse, l'autrice ottiene anche un vivacissimo, pur nella sua irrealtà, effetto comico. Nella stessa cifra espressiva, vivace, popolare e divertita, ma non più frutto della fantasia, bensì della realtà, si trovano le stupende descrizioni in:
La fera da Santa Maréa
Gh'è di paiàs, che 'nséma ai baracù
i suna da le trùmbe che le par
quèle che sunarà, e sensa fal,
an dal dé dal Giüdésse Üniversàl;
da i'altre 'nvece per fas sent luntà
i parla 'n d'on trumbù...
La fiera di Santa Maria. Ci sono dei pagliacci, che in cima ai baracconi / suonano delle trombe che sembrano / quelle che suoneranno, non c’è dubbio, / nel giorno del Giudizio Universale; / altri invece per farsi sentire da lontano / parlano dentro a un trombone…
Prosegue C. A. Sacchi nei suoi appunti per la presentazione del volume:
In Rosetta Marinelli Ragazzi molte altre sono le composizioni in cui predomina lo spirito popolaresco, alimentato dalla realtà quotidiana, vista con molto affetto, anche se stigmatizzata nei suoi difetti.
Al sent Rolando, che poc temp ga resta;
la mort la ve al cor zo da la testa;
e sota n pì l'è ndat a culegas...
Sura la spada po' l s'è distindit
e l corne sot la testa l gà mitit.
Al corp al l'à vultat an vers la Spagna;
e quest perchè l pensaa:
Quand Carlo l vegnarà, con la so zent:
“L'è mort da valurus!” al disarà.
Sente Rolando che poco tempo gli resta / la morte gli viene al cuore giù dalla testa; / e sotto a un pino è andato a ripararsi… / Sopra la spada poi si è disteso / e il corno ha messo sotto alla testa. / Il corpo ha rivolto verso la Spagna; / e questo perché pensava: / Quando Carlo arriverà con la sua gente: / “È morto da valoroso“ lui dirà.
Uno dei temi più cari a Rosetta è quello della donna, non tanto e non solo quello delle figure femminili (la madre, le nipoti, …) ma quello della realtà e della condizione femminile. La poetessa non è sicuramente una femminista, né tantomeno una suffragetta (vista la sua collocazione storica), ma considera la donna per sua stessa natura un essere meraviglioso, completo, adorabile, eppure, come tale, è stata spesso ignorata o comunque sottovalutata dalla cultura ufficiale e tipicamente maschilista.
Dopo aver tradotto molto fedelmente e quasi letteralmente in dialetto cremasco la Canzone di Rolando di Turoldo, Rosetta aggiunge di suo pugno una chiusa illuminante:
Nient passutade solite d'amor,
e nient grame passiù:
la dona la cumpar da 'fidansata',
an fine e ’n d'on cantù,
ma sul per pians... e mor.
Non le solite sciocchezze amorose, / e niente intense emozioni: / la donna appare da “fidanzata”, / alla fine e in un angolo, / ma solo per piangere… e morire.
La composizione in cui la poetessa di San Michele va alla ricerca di chi mai avrà inventato il bacio come linguaggio affettuoso per eccellenza, termina così:
E chi l'aarà 'nventàt?... Eva o l'Adàm?...
Gna vü, gna l'altre; nò, i'éra tròp gram!...
Perchè 'l basì a l'è 'na ròba fina
'na ròba mia da che, ròba divina!...
(Fòrse 'l Signùr, quando lü 'l l'à creàda
la prima dóna, fòrse... al l'à basàda).
E chi mai l’avrà inventato? Eva o Adamo?... / né una né l’altro: no erano troppo incapaci! // Perché il bacio è una dimostrazione gentile / non una espressione terrestre, ma divina!... // (Forse Dio quando Lui ha creato / la prima donna, forse l’ha baciata).
Uno dei temi centrali, e forse il più presente, nella poesia di Rosetta Marinelli Ragazzi è quello della morte. Destino universale e sorte inevitabile sì, ma ben più triste e quasi inaccettabile, quando sembri ingiusta, quando colpisce le anime innocenti dei bambini. Anche la poesia degli affetti familiari è connotata dall'ombra della morte. Essa è riferita specialmente alle figure della madre e soprattutto a quella dell'unico figlio Giacomo, scomparso a pochi giorni dalla nascita.
A credìe da fan an pitur;
a speràe da fan an viulinista;
a sugnàe da fan an artista,
an pueta, an òm da valur...
Per ste mund, l'era forse trop bel?...
Credevo di farne un pittore, / speravo di farne un violinista, / sognavo di farne un artista, / un poeta, un uomo di merito… // Per questo mondo, era forse troppo bello?…
Non sono poche le composizioni in cui Rosetta presenta di se stessa un ritratto, soprattutto come artista, come musicista e specialmente come poeta. La poesia di Rosetta vive soprattutto di due temi: l'amore per la natura e la religiosità, ma nessuna sua composizione affronta unicamente e quasi esclusivamente questi temi. In verità, a una analisi non superficiale, questa scelta risulta più che giustificata: l'amore contemplativo per Dio e per la natura infatti costituisce la linfa stessa, la vita di tutta la sua produzione; ma si può notare nella lettura dei suoi versi, come questo atteggiamento-religioso e bucolico-, traspaia un poco ovunque.
Nulla di più significativo, di più bello e di più adeguato alla situazione di quanto lei stessa ha lasciato scritto, può concludere questa relazione:
Queste mie povere foglie autunnali, da le tinte scialbe, tenui o vivaci, io le affido al vento affinché le risollevi e le diffonda, onde il gelido verno non le condanni ad un eterno obblio...
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commenti
luciana groppelli
18 settembre 2024 10:48
Un quadro davvero esaustivo della scrittura e della personalità di Rosetta Marinelli Ragazzi oltre che della sua biografia.
Leggo e rileggo con grande piacere questa relazione anche per la scelta davvero felice e preziosa dei brani dell'autrice: una gradevolissima e gustosa antologia!
Gabriella
19 settembre 2024 08:17
Grazie per questa memoria. Ho conosciuto la poetessa Rosetta circondata dalle sue amate caprette. Una di loro, la Pace, contribuì, con il suo latte, alla mia salute. Mia mamma non aveva più latte e la Pace mi salvò. Siamo nel 1940: imperversa la guerra.