21 dicembre 2024

Un poeta cremasco originale: Giuseppe Meazza

Il maestro Giuseppe Meazza è stato un poeta dialettale assai noto per la sua notevole e originale produzione. Oggi inspiegabilmente sembra dimenticato e diviene importante ravvivarne la memoria attraverso la presentazione di una breve antologia a lui dedicata nella collana: Poeti cremaschi di ieri e di oggi, pubblicata nel 2012 a cura del prof. Carlo Alberto Sacchi per la Pro Loco di Crema. Al maestro si interessarono le più illustri firme dello studio della poesia dialettale: firme non solo cremasche. Scriveva il prof. Gianfranco Taglietti di Cremona:

Meraviglia suscita la poesia del caro, mite maestro Meazza, poeta nell'animo oltre e più che nei versi, innamorato della sua terra, che degnamente rappresentava, maestro nel significato autentico [...]. La sua poesia è poesia locale nel senso più nobile del termine, ha cioè quella qualità peculiare della gente cremasca, antica, fiera, laboriosa, austera conservatrice di un passato glorioso.

Altrettanto positivamente si esprimeva il prof. Elia Ruggeri di Castelleone:

Il maestro Meazza punteggiava gli avvenimenti del nostro tempo con gustose poesie, piene di spirito e dense di insegnamenti. Ed è appunto questo il motivo per il quale sarà consegnato ai posteri: cultore di poesia dialettale cremasca, uno dei pochi, purtroppo, di questa difficile Musa.

Vanni Groppelli aggiungeva:

Umile e stimato maestro del borgo rurale di Rubbiano, Giuseppe Meazza ha lasciato un ricordo imperituro della sua bontà e della sua rettitudine [...] e un'impronta nella letteratura dialettale cremasca.

Scrive negli appunti della sua relazione per la presentazione dell’antologia del 2012 il prof. Sacchi:

La poesia di Meazza rivela tutta la sua grandezza, se letta con animo puro: la sua opera è espressione spontanea, ma assolutamente non superficiale, di un sentire sia le voci della natura che quelle della profonda umanità delle persone.

Biografia

(Credera-Rubbiano 1911- Credera-Rubbiano 1968)

Giuseppe Meazza nasce a Credera il 23-11-1911. Dopo aver frequentato dal 1924 al 1929 le cinque classi ginnasiali, si iscrive all'Istituto Magistrale M. Vegio di Lodi e nel 1932 acquisisce l’abilitazione all'insegnamento presso l'Istituto Magistrale Fratelli Cairoli di Pavia.
Chi lo conobbe in quegli anni, lo ricorda come studioso anche di materie non scolastiche: si interessa della lingua tedesca e della letteratura inglese; studia retorica e impara a suonare il pianoforte. Come studente vince anche una gara di argomento aviatorio, tanto importante che a consegnargli il premio è un conclamato eroe dell'aviazione: il capitano Francesco Agello.

Appena abilitato inizia la sua professione, per la quale è straordinariamente dotato: dal 1932 come tutti i giovani maestri, insegna in vari paesi del cremasco. Si trasferisce quindi a Cremona per tre anni, per poi tornare nella sua terra. L’attività scolastica non è comunque l'unico campo in cui egli dedica il proprio impegno sociale e culturale: per tutta la vita coltiva gli studi umanistici, si dedica a ricerche di storia locale e soprattutto coltiva la poesia in vernacolo; è anche fine musicista e buon compositore.

Il Maestro è inoltre sempre disponibile per tutte quelle attività volontarie, che sono a fianco del suo lavoro d’insegnante: nel 1934-35 copre l'incarico di direttore della Biblioteca dei Maestri del Circolo di Castelleone; dal 1936 al 1941 svolge la funzione di direttore ginnico-sportivo a Credera, Ombriano e Sergnano; nel 1940-41 è istruttore degli allievi della banda musicale a Casaletto Ceredano; nel '43 diviene collaboratore nell'archivio del Provveditorato agli Studi di Cremona. Dal 1950 è membro del Consiglio di Amministrazione del Patronato Scolastico di Credera Rubbiano e poi Presidente del medesimo; dal 1950 al 1957 ricopre la carica di Presidente dell'Asilo di Credera Rubbiano; dal 1959 al '61 è insegnante del Corso di Richiamo Scolastico a Rubbiano; negli ultimi anni della sua vita è capogruppo del plesso nonché dirigente del Centro di Lettura a Credera.

La scuola non è l'unico posto in cui il maestro Meazza manifesta il suo impegno sociale: non diserta, infatti, le associazioni combattentistiche del paese: ricopre la carica di segretario dell'Associazione Nazionale Combattenti e Reduci e porta i suoi concittadini a visitare i campi di battaglia di Redipuglia, Trento, Trieste, San Martino. È attivo nella chiesa parrocchiale come organista, proseguendo negli studi in campo musicale.

Si spegne nella sua piccola patria (Credera-Rubbiano) nel 1968.

Nel 1969, a un anno dalla morte, per dare visibilità alla sua opera poetica, la Biblioteca Comunale di Crema realizza la preziosa antologia postuma Aria da... paés, dato che il Maestro Meazza in vita aveva pubblicato solo, e saltuariamente, sulla stampa locale attraverso il settimanale diocesano Il Nuovo Torrazzo. La scelta delle poesie dell'antologia viene curata da una commissione presieduta dal prof. Gianfranco Taglietti e composta dalle più conosciute firme dei cultori della letteratura in dialetto cremasco: Iris Torrisi, Vanni Groppelli, Giuseppe Maccarinelli, Carlo Morelli, Celso Petracco, Elia Ruggeri e Pietro Savoia.

Agli inizi degli anni '70 il Comune di Credera-Rubbiano dedica meritatamente al poeta una via, in segno di stima e di riconoscenza: è questo un onore che a pochissimi poeti cremaschi è stato riservato e che rivela la grande considerazione di cui godeva.
Inoltre in sua memoria, dal 2007 e per qualche anno successivo, la Biblioteca del paese natale indice un concorso annuale di poesia dialettale, aperto a tutti gli autori e dedicata all'illustre concittadino.

Bibliografia

Aria da... paés, (a cura di G. F. Taglietti, V. Groppelli e altri), Tip. Cremona Nuova, Cremona, 1969.
Il testo delle pubblicazioni su Il Nuovo Torrazzo e dell'antologia Aria da... paés è stato riveduto dal Maestro Vanni Groppelli, che ha apportato anche lievi modifiche per esigenze metriche e di espressione, seguendo l'esplicito desiderio del Maestro Meazza.
Lo stesso Vanni si è premurato inoltre di scrivere le norme per la lettura e la pronuncia del dialetto nella produzione poetica di Giuseppe Meazza.

È sempre stato intendimento del poeta di dare all'ortofonia e alla ortografia del dialetto cremasco la massima semplicità allo scopo, soprattutto, di renderne meno ostica la lettura.
Si riportano qui le norme suggerite per una corretta lettura e per una corretta pronuncia del dialetto di Meazza:

ö si legge come il francese eu (söca = zucca);
ü si legge come il francese u (lü = lui);
è ò (con l'accento grave) hanno suono aperto (tèra = terra; nadròt= anatra);
é ó (con l'accento acuto) hanno suono stretto (Terésa, fasói= fagioli);
j' davanti a vocale (j'uselì, j'àltre) ha il suono legato alla vocale stessa;
s-c si pronunciano distinte e la prima ha un sibilo aspro (s'ciòp = fucile);
s iniziale e finale di parola è aspro (sèner = cenere, lüs = luce); intervocalico, nel corpo della parola, è dolce (dise = dico);
ll, rr, tt ecc. Tutte le doppie nel corpo della parola, in corrispondenza della fonetica, sono state semplificate (carèta = carriola).

Precisa nei suoi appunti il Prof. Sacchi:

L'intervento di Vanni Groppelli ci restituisce un testo sostanzialmente corretto, specie se si tiene conto che il professor Luciano Geroldi non aveva ancora pubblicato i suoi puntuali e lucidi studi in materia.
Pur se nei testi del maestro Meazza rimangono non poche imprecisioni, alcune contraddizioni e persino degli errori di grammatica, la scrittura di Giuseppe Meazza ha il pregio di essere autenticamente popolare sia per chiarezza che per linearità e semplicità. Non vi si trovano concessioni alla magniloquenza, alla vuota retorica, alle futili esibizioni di una cultura posticcia, alla spettacolarità della forma fine a se stessa.

Poeti cremaschi di ieri e di oggi: Giuseppe Meazza, Antologia (a cura di C. A. Sacchi), Pro Loco, Crema, 2012.
Nella presentazione dell’edizione al pubblico nella sala ricevimenti del Municipio di Crema, Sacchi espone la sua recensione critica sulla raccolta di Meazza:

Le sue composizioni sono echi della gioia di vivere e, al contempo, dello struggente, e sempre dolce, abbandono al ricordo e alla nostalgia. Il tutto coerentemente espresso con una lingua priva di fronzoli retorici, ma ricca della spontaneità e della profondità che alberga negli animi più nobili e sinceri.
La lingua usata dal Maestro Meazza è il dialetto di Credera-Rubbiano, dialetto che differisce non poco

dalla parlata che si usa in città; simile invece nella struttura sintattica, ma parzialmente diverso è il vocabolario, più ricco di termini legati alle esperienze del mondo contadino; anche le sonorità di questo vernacolo sono peculiari e di estremo interesse.
La scelta del Maestro di usare la lingua materna è del tutto naturale e non priva di un suo significato morale: il poeta non vuole tradire in alcun modo le proprie radici, il proprio mondo, la propria cultura. Da notare sono anche la vivezza e l'autenticità che la scrittura di Giuseppe Meazza riesce a dare ai dialoghi: il dialetto infatti è per sua natura lingua parlata.

Riprendiamo ancora dagli appunti della relazione di Sacchi:

Lo stile di Giuseppe Meazza è molto lineare e ricco soprattutto di immagini, vivificate da una musicalità spesso piuttosto ruvida e da una speciale sensibilità cromatica che nasce dall'attenta e appassionata osservazione degli spettacoli naturali e dalla scoperta dei moti più intimi dell'animo umano. Da notare è anche l'uso scarno degli aggettivi qualificativi, uso assai incisivo e mai ridondante, come è naturale nella lingua parlata, sempre e naturalmente concreta, usata dal popolo, da quello cremasco in modo particolare.

Il metro usato da Giuseppe Meazza è quasi esclusivamente l'endecasillabo, una sola volta egli impiega la levità dell'ottonario per dare un ritmo veloce e leggero a una filastrocca, in cui il gioco è mirabilmente sottolineato dalla rima baciata. Si tratta di una composizione scherzosa dedicata ai bambini, molto

probabilmente ai suoi piccoli alunni.

Quant'éi?

Sura '1 punt de Meregnà gh'è un muleta e un magnà.

Gh'è la fiola del muleta che se ciama Margareta;

gh'è la dona del magnà sempre prunta a ciciarà.

Te do temp per töt al mes per truà s'i è quàtre o ses.

Vore vèt se te. a cüntà, te set bù cumè a mangià.

Se però te sbàgliet nömer te set pròre an bèl cücömer!

Quanti sono? Sopra il ponte di Melegnano / stanno un arrotino e un calderaio; // c’è la figlia dell’arrotino / che si chiama Margherita; // c’è la moglie del calderaio / sempre pronta a chiacchierare. // Ti do tempo per tutto il mese / per trovare se sono quattro o sei. // Voglio vedere se tu a contare, / sei bravo come a mangiare. // Se però sbagli il numero / sei proprio un bel babbeo.

(Per chi volesse la risposta al quiz del Maestro, le persone sono tre, perché la moglie del calderaio è la figlia dell'arrotino).

Una sola volta il Maestro ricorre all'uso del settenario, metro che nella sua relativa brevità è adatto, più che l'endecasillabo, a descrivere l'osservazione dei fenomeni naturali, quando siano osservati con occhio divertito.

Quand sumalèga

Truna e trèma 'l ciel a scür
e le piante le dundùla;
sòfia 'l vent an mèss ai mür:

“Mama mìa, cuma 'l sifùla”!

[....]
Ma ste càlme! Al va a finì:

sö nel ciel la bruntuléra
l'è passada... Chicchirichì”!

canta 'l gal an funt a l'era.

Quando lampeggiaTuona e trema il cielo buio / e le piante dondolano; / soffia il vento passando tra i muri: ”Mamma mia, come fischia”! [...] Ma state tranquilli! Sta per finire: / su in cielo il brontolio è passato... Chicchirichì! / canta il gallo in fondo all’aia.

La produzione di Giuseppe Meazza contempla anche una originale composizione in versi decasillabi con cui il poeta ottiene risultati sorprendenti per il ritmo e per la musicalità, quest'ultima sottolineata anche dalle rime alternate con accuratezza.

La pasnàga*

La pasnàga l'è un'èrba nustrana

che la crès sura i prat che visì:

la mèt fora, con l'acqua piuàna,

l'umbrelina coi sò fìurelì.

La pasnaga*La pasnaga è un’erba nostrana / che cresce sui prati qui vicino: / espone, quando piove / un ombrellino con i suoi fiorellini.

* È l’erba cipollina: aromatica con fiori viola chiaro simili a pon-pon; con un delicato sapore di cipolla e per questo usata in cucina.

Le composizioni del Maestro sono spesso costituite da un numero variabile di strofe di quattro versi. Di spicco sono le composizioni dei sonetti ai quali il poeta affida la stupefacente variabilità dei suoi sentimenti e delle sue emozioni. L'uso della rima è sempre presente nelle poesie di Giuseppe Meazza, ed è la tecnica compositiva che permette all'autore di esprimere pienamente la propria anima fatta di sentimento, di emozioni e di profonde riflessioni. La proprietà e la maestria nella rimazione si concretizzano nell'uso dei canoni tradizionali: rima baciata e rima alternata.

Il Maestro rifugge dall'uso delle risonanze e delle consonanze, nonché delle rime al mezzo. Vari sono i temi affrontati dalla poetica di Meazza: i paesaggi, la natura, le persone, gli animali, le cose, le piccole patrie, i ricordi, le nostalgie, l'io narrante, il sentimento religioso.
Uno dei temi fondamentali della poetica del Maestro è quello dei ricordi e delle nostalgie. Non si tratta però del solito e vacuo esercizio dei laudatores temporis acti. La memoria di Meazza più che momento di rimpianto è lo strumento, particolarmente lirico, con cui il poeta vede la natura e gli uomini, che ne sono l’impronta principale, quali la sua sensibilità vorrebbe che fossero. Il ricordo e la nostalgia trascendono la mera fisicità delle cose per giungere alla comprensione e quindi alla comunicazione dei sentimenti e dei segreti dell'anima del poeta.

Un esempio è legato al fascino misterioso di un luogo dell’infanzia (La bicòcola) che al poeta rammenta le sassaiole con i compagni e dove ora tutto è quieto e altro non si ode che il canto degli uccellini.

La bicòcola*

Là, fora del paés, anvèrs matìna,
gh'è un sìto alt, con dei rübì spinùs:

vist da mesdé, el par 'na muntagnìna...

L'è pròpe un àngol quièt e silensiùs!

Là sö, d'estat, gh'è l'umbra dei rübì,

e ghe corr le lüserte e i lüsertù;

gh'è fina le àngole che fa stremì
e, de nòt, quèla dona** che fa: Uh!

'N temp, ogni fèsta, che battàie coi sass

coi nost visì! Che lòtte a Fa chilóo!:***

an quaidü 'l turnàa a cà con rot el nas
o ànche col fassol ligàt al cóo...!

Le lòte d'una olta j'è finìde:
la zent la và e la vé tranquilament.

Sö la bicòcola, fra le raìde,
dei üselì che canta se pol sent.

* La bicòcola è una piccola sporgenza sull'altura di un dosso.
** dona: civetta, indicata dal poeta col caratteristico verso onomatopeico notturno
*** Fa chilóo, secondo il vocabolario di L. Geroldi è un gioco legato al riconoscimento di un richiamo.

La bicòcolaLà, fuori paese, verso est, c’è un posto alto, con delle robinie spinose: / visto da sud, sembra una montagnetta. / È proprio un angolo tranquillo e silenzioso! // Là in cima, d’estate c’è l’ombra delle robinie, / e ci corrono le lucertole e i ramarri; ci sono persino le alborelle che fanno spaventare e di notte, quell’uccellaccio che fa: Uh! // Un tempo, in ogni giorno di festa, quante battaglie con i sassi / con nostri confinanti! Che lotte a fare sassaiole: / qualcuno tornava a casa con il naso rotto / o anche col fazzoletto legato alla testa...! // Le lotte di una volta sono finite / la gente va e viene tranquillamente. / Sulla bicócola, fra i rovi, / il canto degli uccellini si può sentire.

Stranamente, vista la sua sensibilità, Meazza non dedica alcuna poesia al suo amatissimo borgo natale: Rubbiano: forse per una sorta di pudore, certamente per aver sentito la sua inadeguatezza a scrivere di un argomento così caro, così prezioso, così alto e intimo da suggerirgli un sentimento quasi religioso. Il Maestro però, canta con affetto e ammirazione altre sue piccole patrie, non dissimili da Rubbiano. Oltre ad altri paesi Meazza compone una originalissima poesia dedicata a Piazzano, l'antichissima e perduta località, fra Casaletto e Rubbiano, scomparsa, si crede, attorno al 1769 e che rivive in questi versi con il fascino del suo oscuro passato.

Piassà

Quand ve l'estàt e 'l cald el se fa sent
e tìra gna 'n bris d'aria o un bof da vént,

lasse la casa e 'mbóche 'na stradèla,
e tègne an mà, per gioch, una strupèla.

Vo sö, vo zo, vo 'nvèrs al Camp dei frà,

vèrs una còsta 'ndoe gh'era Piassà
che ai temp passàt al ghìa dei cunvent

e quatre Cese e case, pié de zent...

Töt gh'è adès sparìt, sécol dopo sécol,

e söl pòst gh'è restàt apena 'n brécol!

Là, tra samböch, raìde ed öa marina,

scorr ne la rosa un'aqua ciciarìna.

- Plùf, plàf! - Sa sent le rane spaentàde

che salta in aqua sota le sucàde.
- Gre, gre! - fa le sigàle e le ranèle
tra le foie verde e sura le alberèle.

Che sito 'bandunàt! De nòtt, col vent,

par che i frà i cante 'n còro nel cunvent,

e i passe an fila, con le tòrse 'n mà:

ma lüsarole j'è, che a spass le va...

Piazzano- Quando viene l’estate e il caldo si fa sentire / e non c’è neppure un briciolo d’aria o un alito di vento, / lascio la casa e imbocco un sentiero / e tengo in mano, per gioco, un rametto di salice: // Vado su, vado giù, vado verso il Campo dei frati, / verso un terreno scosceso dove sorgeva Piazzano / che nei tempi passati aveva dei conventi e quattro chiese e case piene di gente... // Tutto ora è sparito, secolo dopo secolo, / e sul luogo è rimasto solo un cucuzzolo. / Là, tra sambuchi rovi e uva marina (!) / scorre nella roggia un’acqua chiacchierina. // - Pluf, plaf! - Si sentono le rane spaventate / che saltano in acqua sotto i ceppi: - Gra, gra!- friniscono le cicale e le raganelle, / tra il verde delle foglie e sopra le pioppelle. // Che luogo abbandonato! Di notte, col vento, / sembra che i frati cantino in coro nel convento, / e camminino in fila con le torce in mano: / ma lucciole sono che vanno a passeggio...

Grande attenzione è riservata dal Maestro alla descrizione dei paesaggi, degli scorci e degli ambienti del nostro territorio, attenzione non solo di natura estetico-contemplativa delle cose fine a se stessa: sempre vi domina infatti la figura umana, quale cuore del creato, quale centro della storia. La considerazione riservata da Meazza ad essa, è sentita sia come persona che come personaggio. La prima figura naturalmente è quella della mamma, di cui già il solo nome richiama alla mente del poeta le più affettuose espressioni filiali.

Mama

La dìs el popo apena el mof la boca,

la ciàma 'l s'ciàt se 'l pèrd la sò cartèla,

la piàns 'l suldatì se mor ghe toca,
la pensa el presunér nè la sò cèla.

[...]
A dìla, ma sa fa sö i òcc 'n vel!

La dìse? - Màma! - Che cunfòrt al cor!

Ste nom l'è tanto dùls che 'l par la mel!

MammaLa dice il neonato appena muove la bocca, / la chiama il bambino se perde la sua cartella / la piange il soldatino se morire gli tocca, / la pensa il prigioniero nella sua cella. // A ripeterla, mi si forma sugli occhi un velo! / La dico? “Mamma!” Che conforto al cuore! / Questo nome è tanto dolce che sembra miele!

A proposito di questa composizione scrive Vanni Groppelli:

Il sonetto, indubbiamente una delle più felici composizioni del Maestro, esprime accenti umani di rara spontaneità. Ancora l’attenzione di Meazza va all’elemento femminile, quando esprime la sua dolcezza nel descrivere le giovani donne, neo-mamme, al lavoro nei campi.

Altri tempi...

Ai me temp le spusine da fadìga
le 'ndàa a sapà 'l melgòt, a pee per tèra,

per mantègn la faméa sö la riga.

Con an tèsta 'n fassól o 'na capèla,

le 'ndàa a fora, la sàpa sö la spala,

e le purtàa söl bràs a 'na curbèla.

Dentre le ga metìa 'n prepuntì

per fà 'na gnada tènera e beàda

a fà durmi 'l sò popo a rissulì.

Riàde 'n del camp, le cercàa 'n gròs murù,

-'n d'una zòna 'ndoe gh'era un po d'umbréa -

per tacà la curbèla ad un ficù.

E 'ntant che a l'umbra durmìa 'ste bambì

Gré gré!... fàa le sigàle spensierade.

Ghe rispundìa, tra i ram, an üselì...

Col südùr che ghe culàa zo dal vìs

sapàa le mame, l'òcc a la curbèla.
E 'ntant quei popi i sugnàa 'l Paradìs!

Altri tempi- Ai miei tempi le giovani spose per lavorare / andavano a zappare il granoturco, scalze, / per mantenere il decoro della famiglia. // Con in testa un fazzoletto o un cappello, andavano nei campi, la zappa in spalla, / e portavano al braccio un cesto. // Dentro mettevano una copertina / per fare un nido tenero e tranquillo per far dormire il loro bambino riccioluto. // Arrivate sul campo, cercavano un grande gelso / - in un posto dove c’era un po’ d’ombra- / per appendere il cesto ad un piolo. // E intanto che all’ombra dormiva questo neonato / Gré, gré! ... facevano le cicale spensierate. / Rispondeva loro, tra i rami, un uccellino... // Con il sudore che gli colava dal viso / zappavano le mamme, gli occhi al cestino. / E intanto quei neonati sognavano il Paradiso.

Fra i componimenti dedicati a persone vere e non a personaggi spicca Maéstre an pensiù...
Soltanto un maestro elementare poteva scrivere questi versi, dedicati dal poeta a due fra le più stimate e rappresentative figure della categoria magistrale cremasca: i coniugi Vittorio Thevenet (42 anni di servizio) e Anna Bacchetta (39 anni di servizio), suoi indimenticati maestri.
Nella composizione Giuseppe Meazza sembra parlare di sé (cosa assai rara nella sua produzione) e soprattutto di come vorrebbe essere ricordato.

Maéstre an pensiù...

A fà 'l maéstre, neh, ghe vol la vucassiù,

tanta pazienza, amor, esémpe nel duér;

e, anche se i sculàr i dá dei dispiasér,
i te dà anche de le gran sudisfassiù.

Quand pènse a quel dumà che, coi caèi töi bianch,

nissü m'aspeterà a mò con la cartèla,
nè senteró pö dì: Maèstro! da 'na us bèla,
me vee de piàns perfina a vèd quèi banch!

[...]
Però, che bèl, truà un sculàr nei prèss del Dòm,

che 'l te salüda a mò, pör coi sò barbìs!
Che s'enterèssa, ringrassia e pò 'l te dìs:
Ma, sì: Lü 'l m'à 'nsegnàt a èss un galantòm!”

Maestri in pensioneA fare il maestro, vero, ci vuole l’inclinazione, / tanta pazienza, amore, esempio del dovere; e anche se gli scolari danno dispiaceri ti danno anche tante soddisfazioni. // Quando penso a quel domani con tutti i capelli bianchì, in cui nessuno mi aspetterà più con la cartella, né sentirò più dire Maestro da una voce tenera, / mi viene da piangere anche solo a vedere quei banchi. // Però, che bello, incontrare uno scolaro nei pressi del Duomo, / che ti saluta ancora, anche se ora ha i baffi! / che ti chiede e ti ringrazia e poi ti dice: / “Ma sì: lei mi ha insegnato a essere un galantuomo!”

Spesso delinea le figure umane come macchiette: personaggi di una popolare Commedia dell'Arte giocata sulla saggezza e sul divertimento, nella copertura di ruoli predeterminati, nell'assenza di caratteri e caratteristiche individuali.

Scrive Sacchi:

L'intento di queste composizioni è anche moralistico, ma connotato più da un bonario rimprovero che da un fermo anatema. Lo scopo più naturale è quello di indurre al sorriso e non alla meditazione. Lo dimostrano con evidenza, le argute battute finali. Questo popolare atteggiamento dell'autore è espresso dal sonetto Al “Lösgna”, composizione con la quale il Maestro esordì nel campo del vernacolo. La figura del curiosone, del ficcanaso (appunto “al Lösgna”) è presentata in questi versi con rapide e felici pennellate.

Al "Lösgna"

I ga dìs "lösgna" a l'umenèt curiùs

che 'l vól saì töt quànt sücéd al mùnt:

lü 'l sà che fióla la ga mìa 'l murùs,

lü 'l mèt al nàs per töt, zo fin an fùnt.

Se per la stràda 'l tróa Pèpo Nùs
lü 'l ghe dumànda se söl fòss gh'è 'l pùnt;
se 'ncùntra Tòne, 'l dis: - Se fàet, là pùs? -

Se passa 'n sciùr: - Ma, lü, l'è pròpe 'l cùnt?-

[...]
An dé, però, 'l sacrésta crapa pelàda,

al "Lösgna" che 'l vurìa saì se 'l cíapàa

ògni ólta che 'l sunàa la scampanàda,

'l gh'à respundit: - Se ciàpe per sunà?

Ciàpe le còrde, stüpet! - Sö la stràda
'l poer "Lösgna" l'è restàt... de bacalà'!!!

Il curiosone- Nominano Lösgna l’ominino curioso / che vuol sapere tutto quanto succede nel mondo: / lui conosce quale ragazza non ha il fidanzato, / lui mette il naso dappertutto, giù fino in fondo. // Se per strada trova Pèpo Nùs / lui gli domanda se sul fosso c’è il ponte. / Se incontra Tòne, gli chiede. – Cosa fai lì nascosto? / Se passa un signore: ma lei è proprio il conte? [...] // Un giorno, però, il sagrestano testa rasata, / al “Losgna” che voleva sapere cosa prendeva / ogni volta che suonava le campane a distesa, // gli ha risposto: ”Che cosa prendo per suonare? / Prendo le corde, stupido! Sulla strada / il povero "Lösgna" è rimasto... come un merluzzo!!!

Le composizioni del Maestro sono spesso costituite da un numero variabile di strofe con brevi rappresentazioni allegoriche, con intenti moraleggianti e di ambientazione faunistica: sono delle vere e proprie fabulae, non lontane dallo spirito delle poesie di Esopo e di Fedro. Diversa e molto personale è invece la struttura narrativa.

L'àsen... prufessùr

I fussadèi che scorr ne la marsìda

per dàga l'acqua a l'èrba marzulina,

se dìs ‘maestre’ perchè lur i la guida

a tègn la tèra sempre mulesìna.

An àsen malnutrìt... de pàia trìda,

e stöf de düzünà per quarantìna,

s'cincàt el làzzacòll, fa 'na surtìda

per furagiàss con l'èrba tenerina.

Lügüt, ne la marsìda, el mangia e 'l pèsta:

ma salta fora, anvèrs, el sciùr padrù,
che, a vèt 'ste ròbe grame, al pèrd la tèsta

e 'l corr a sese per cercà un bastù.

- 'Gnurànt d'un àsen! Mò t'ansègne me
a scaalcà i maestre, a fatt passà i dulùr!
E quèl: - Scaàlche a po' i maéstre? Ah se?

So pö, alura, an sumàr... ma 'n prufessùr!!!

L’ asino... professoreI fossi che scorrono nelle marcite / per portar l’acqua all’erba di marzo, / si chiamano maestri, perché loro la guidano / a tenere la terra sempre morbida. // Un asino malnutrito a paglia macinata, / e stanco di digiunare da quaranta giorni / strappato il collare se ne esce / per nutrirsi di erba tenera. / Arzillo, nella marcita mangia e pesta ( ma arriva di corsa, adirato il padrone / che vedendo queste assurdità, perde la testa / e corre tra le siepi per cercare un bastone. // “ Ignorante di un asino! Adesso ti insegno io / a scavalcare i maestri, a farti passare i dolori!” / E quello – Scavalco anche i maestri? Ah sì? / Non son più allora un somaro... ma sono un professore!!!-

I versi di Meazza non trascurano l'osservazione degli oggetti inanimati, cui il poeta sa attribuire un'anima, riflesso dei suoi stessi sentimenti, delle sue emozioni e della sua umanità.
Egli non è dotato solo di una grande capacità descrittiva, ma anche di una notevole capacità narrativa. Nella poesia Nell'orghen! racconta in tono grottesco le fasi drammatiche e concitate della scoperta di un ladro che si nasconde nell'organo della chiesa, della sua ricerca e della sua cattura da parte dei Carabinieri. Ed è come se il poeta raccontasse alla gente giunta sul posto a operazione conclusa, come sono andati i fatti.

Nell'òrghen!

                                [...]
Surprés dal pret an Cesa a udà 'na béssula,

      stramìt, un ladre, 'nvece d'anfilà
      'na purtìna lateràl per scapà,
      al s'è scundìt nell'òrghen con la scrécola.

                               [...]
Messèda, tira e mola, èco i la pèsca

   dedré al cassù de l'òrghen, quel malnàt.
    La zent la 'usa: - Al gh'è! - I l'ha ciapàt! –
    -'Ndu è? - dis vöna. - Nell'òrghen! - Zia Francesca!

Adès, quel fifo, amanetàt e strètt
    fra du àngioi custode, senza fall
    al va a l'albèrgo de Via Frecavall che 'l pòrta, cumè nömer, el... 17!*

*A questo indirizzo fino agli anni ’60 del secolo scorso era collocato il carcere di Crema.

Nell’organoSorpreso dal prete in chiesa a vuotare una cassetta delle elemosine / spaventato un ladro, invece di imboccare una porticina laterale per scappare / si è nascosto nell’organo con la piccola refurtiva (?) //Rigirala, tira e molla, ecco lo trovano / dentro al cassone dell’organo, quel ladruncolo. / la gente grida: C’è! – l’hanno preso! / - Dove? – chiede una donna.- nell’organo! Zia Francesca! // Adesso, quel fifone, ammanettato e stretto / fra due angeli custodi, senza dubbio / va all’albergo di via Frecavalli / che ha come numero civico, il 17.

Da notare che òrghen in dialetto cremasco indica sia lo strumento musicale che il fondoschiena, per cui ciapà 'n da 'l òrghen significa sia "catturare il ladro nascosto nell'organo”, che, il Prof. Luciano Geroldi riferisce, con delicatezza, nel suo Vocabolario del dialetto di Crema, “volgarmente assume il significato di subire una grande fregatura". Forse nel linguaggio di oggi ci appare indecente, ma nel dialetto parlato del tempo era usuale utilizzare metafore che sintetizzassero il concetto, riferendosi a parti del corpo e/o a comportamenti impropri.

Continua Il Prof. Sacchi negli appunti della sua relazione:

Il sentimento religioso è in quasi tutta la produzione di Giuseppe Meazza, ma raramente esso viene manifestato in modo evidente. L'unica poesia segnata espressamente dalla "pietas" cristiana è La Madunìna, lirica in cui la fede viene vissuta con la stessa naturalezza, intensità e profondità del cuore innocente di un bambino: un sussurro, un invito alla preghiera. La casa della Vergine Maria è soprattutto motivo di speranza; la "cappellina" sperduta nei campi descritta dall’autore come

umbra del dé, lantèrna ne la nòtt.

La Madunìna

[...]
Fata sö, per chissà qual devussiù,

umbra nel dé lantèrna ne la nòtt,

te sìet la meta a qualche processiù

de la campagna.

Sota la nécia con la ret ferada,
de fior campèstre i te metìa un mazzèt

per dit che mai te sìet abandunada
tra l'èrba spagna*.

La zent, ancóo, cambiàt l'itineràre

la va, la vee, luntà dal capitèl;
pö la se fèrma a recità 'l rusàre,
o Madunìna!

Ura, de rar, te vèdet dei s'ciatì
che passa an frèssa per corr a la scola

e i Te salüda ansèma al Tò Bambì
co la manìna.

La cappelletta della Madonnina- Costruita per chissà quale devozione / ombra nel giorno lume nella notte, eri la meta di qualunque processione / riguardante la campagna. // Riparata la nicchia da una rete di ferro, / di fiori campestri ti mettevano un mazzetto / per ricordarti che mai eri abbandonata, / tra l’erba spagna*. // La gente, oggi, ha cambiato itinerario / va, viene, lontano dalla santella; / poi si ferma a recitare il rosario, / o Madonnina: // Ora raramente, vedi dei bambini / che passano in fretta per correre alla scuola / e ti salutano insieme al Tuo Bambino/ con la manina.

*È una pianta erbacea perenne molto utilizzata come foraggio per gli animali, grazie al suo alto contenuto di proteine e nutrienti.

La proposta di Sacchi dell’ultima poesia del Maestro Antonio Meazza per la presentazione alla cittadinanza nel 2012 è stata Campana mesta: a suo giudizio una delle più apprezzate di tutta l'opera del poeta.

Campana mèsta

Campana che te sùnet sö la sera
con quèla vùs velàda e pròpe mèsta,

ta sente da luntà ne la bufera,
o quand t'avvìset che dumà l'è fèsta

[...]
I tò rintocch, campana, i me ricòrda

i mee car Vècc, gli amìs, zamò scumpàrs,

i gioch da s'ciàt col ser'c e con la còrda,

le curse sura i prat nel sul de mars...

Quel tò dan-dan, che a mò se pèrd nel ciel
serée opör scür, sulcàt da le rundàne,
'l m'andurmentàa pian pià... Col sogn de mel

nei ócc stracch de lüs, coi grìi e le rane

che fàa cuncèrt tra i'èrbe, là nei prat,
te me purtàet luntà, an d'un sìt furèst.

La lüna, 'ntant, söl mund andurmentàt,

la vegliàa col sò sgùard ciarìt e mèst.

Per me, campana, prèst rierà la sera,
e te ta sunerét l'Ave Maréa:
ripèt per me col ‘dan!’ la tò preghiera

per dam el tò cunfòrt ne l'anguanéa!

Campana mesta - Campana che suoni vero sera / con quella voce velata e proprio triste / ti sento da lontano nella tormenta / o quando avvisi che domani è festa. // I tuoi rintocchi, campana, mi ricordano / i miei cari parenti, gli amici, già scomparsi / i giochi da bambini col cerchio e con la corda, / le corse sui prati nel sole di marzo. // Quel tuo dan-dan che ancora si perde nel cielo / sereno oppure scuro, solcato dalle rondini, / mi addormentava pian piano... Col sogno di miele / negli occhi stanchi di luce, coi grilli e le rane / che facevano concerto tra le erbe, là nei prati, / tu mi porti lontano, in un luogo straniero. / La luna intanto, sul mondo addormentato, / vegliava col suo sguardo chiaro e mesto. // Per me, campana, presto arriverà la sera, / e tu suonerai l’Ave Maria: / ripeti per me col “ dan!” la tua preghiera / per darmi il tuo conforto nell’agonia.

A conclusione della sua relazione il Prof. Sacchi ripropose la lettura delle parole usate nella lirica Campana mèsta, poesia che sembra intonarsi alla conclusione della vita stessa del poeta: l'ultima strofa è stata incisa, con profonda e felice intuizione, sulla lapide del poeta nel cimitero di Rubbiano:

Per me, campana, prèst rierà la sera,
e te ta sunerét l'Ave Maréa:
ripèt per me col ‘dan’! la tò preghiera

per dam el tò cunfòrt ne l'anguanéa!

 

Graziella Vailati


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commenti


luciana groppelli

21 dicembre 2024 12:55

Si leggono tutte d'un fiato le poesie scelte con accuratezza e perizia da Graziella Vailati, poetessa a sua volta, per dipingere un maestro di scuola sensibile e delicato, raramente ruvido, cultore dei luoghi e degli affetti di ciò che è degno di nota e capace di suscitare le emozioni della poesia.
Molta accurata anche la biografia con notizie locali fino ai giorni nostri