7 aprile 2025

Il Carnevale cremasco: le voci dei poeti dialettali

Breve storia del Carnevale 

Il termine Carnevale deriva dal latino carnem levare (eliminare la carne), riferito all’astenersi dal consumare carne durante la Quaresima: delinea quindi un periodo di sfogo e di divertimento prima delle restrizioni quaresimali.  Può essere considerato il paragone tra i Saturnali latini e il Carnevale moderno, perché entrambe le feste condividono alcune tematiche. 

Nell’antica Roma i Saturnali erano le festività più importanti celebrate in onore del dio Saturno, il dio della seminagione e della mitica età dell'oro: si tenevano dal 17 al 23 dicembre, durante il solstizio d'inverno. Si organizzavano banchetti e sacrifici e i partecipanti si scambiavano piccoli doni simbolici: le strenne. Era anche eletto un re della festa che aveva il diritto di dirigerla. La situazione era caratterizzata da abbondanti simposi, sia pubblici che privati e da giochi e scambi di doni. Alcuni studiosi ipotizzano che il Carnevale abbia assorbito  elementi dei Saturnali, come lo scambio di doni e l'atmosfera festosa.

Punti di somiglianza

Sovversione dell'ordine sociale: durante i Saturnali, gli schiavi potevano comportarsi come uomini liberi; il Carnevale è noto per i suoi elementi di rovesciamento dell'ordine sociale, con persone che indossano maschere e costumi, spesso assumendo ruoli diversi da quelli usuali.

Festeggiamenti: entrambe le festività sono caratterizzate da incontri collettivi, giochi, feste e danze: tutti e due i periodi sono associati a un'atmosfera di allegria e spensieratezza. Le persone organizzavano e organizzano scherzi e scambi di doni, sia nei Saturnali che nel Carnevale.

Origini stagionali: i Saturnali si svolgevano in concomitanza con il solstizio d'inverno, un periodo di rinascita e speranza; il Carnevale si celebra alla fine dell'inverno, in attesa della primavera, rappresentando un periodo di rinnovamento e di nuovi inizi.

In sintesi, i Saturnali e il Carnevale condividono l'idea di celebrare la vita, la libertà e l'evasione temporanea dalle convenzioni sociali, rendendo legittimo il paragone tra queste due festività. 

Origini del Carnevale 

Il vocabolo Carnevale ha origini antiche: la prima testimonianza risale a un documento del Doge Vitale Falier del 1094, dove si parla di divertimenti pubblici e nel quale viene così citato per la prima volta. L'istituzione del Carnevale da parte dell'oligarchia veneziana è generalmente attribuita alla necessità della Serenissima, al pari di quanto già avveniva nell'antica Roma, di panem et circenses, di concedere cioè alla popolazione, soprattutto ai ceti sociali più umili, un periodo dedicato al divertimento e ai festeggiamenti, durante il quale i veneziani e i forestieri si riversavano nella città per far festa con musiche e balli sfrenati. 

Attraverso l'anonimato garantito da maschere e costumi, si otteneva una sorta di livellamento di tutte le divisioni sociali ed era autorizzata persino la pubblica derisione delle autorità e dell'aristocrazia. Tali concessioni erano largamente tollerate e considerate un provvidenziale sfogo alle tensioni e ai malumori che si creavano inevitabilmente all'interno della Repubblica di Venezia, che poneva rigidi limiti ai suoi cittadini su questioni come la morale comune e l'ordine pubblico.

Il Carnevale antico

Il primo documento ufficiale che dichiara il Carnevale di Venezia una festa pubblica è un editto del 1296, quando il Senato della Repubblica dichiarò festivo il giorno precedente la Quaresima. Da quest'epoca, e per molti secoli, il Carnevale durava sei settimane, dal 26 dicembre al Mercoledì delle Ceneri, anche se i festeggiamenti talvolta venivano fatti cominciare già nei primi giorni di ottobre.

Le maschere e i costumi

I cittadini che indossavano maschere e costumi potevano celare totalmente la propria identità, annullando in questo modo ogni forma di appartenenza personale a classi sociali, sesso, religione. Ognuno poteva stabilire comportamenti e atteggiamenti inusuali in base ai costumi indossati. Per questo motivo il saluto che risuonava di continuo nell'atto di incrociare un nuovo personaggio era semplicemente: "Buongiorno signora maschera!"

La partecipazione in incognito a questo rito di travestimento collettivo era, ed è tuttora, l'essenza stessa del Carnevale. Un periodo spensierato di liberazione dalle proprie abitudini quotidiane e da tutti i pregiudizi e maldicenze, anche nei propri confronti. Erano tutti parte di un grande palcoscenico mascherato, in cui attori e spettatori si fondevano in un unico e immenso corteo.

Con l'usanza sempre più diffusa dei travestimenti per il Carnevale, a Venezia nacque dal nulla e si sviluppò gradualmente un vero e proprio commercio di maschere e costumi. A partire già dal 1271, risultano notizie di produzione di maschere, di scuole e tecniche per la loro realizzazione. Cominciarono ad essere prodotti gli strumenti per la lavorazione specifica di materiali: l’argilla, la cartapesta, il gesso e la garza. Dopo la fase di fabbricazione dei modelli, si terminava l'opera colorandola e arricchendola di particolari. 

I mascareri divennero veri e propri artigiani, realizzando maschere di creazioni e forme sempre più ricche e sofisticate. La loro attività venne riconosciuta come mestiere da uno Statuto del 10 aprile 1436, conservato nell'Archivio di Stato di Venezia,

 Uno dei travestimenti più comuni a Carnevale, a partire dal XVIII secolo, ma che è rimasto in voga e indossato anche nel Carnevale moderno, è sicuramente la Baùta  o Bautta:  è la più tradizionale e oggi la più conosciuta tra tutte le maschere veneziane. Per secoli, ha rappresentato il tratto distintivo dell’aristocrazia della Serenissima Repubblica; per questo motivo, la ritroviamo spesso raffigurata in quadri e stampe antiche.  In realtà, la Baùta era la maschera più comune a Venezia, utilizzata non solo durante il Carnevale, ma per oltre sei mesi all’anno. La Baùta è estremamente pratica e comoda da indossare, anche per lunghi periodi: la sua forma prominente permette perfino di mangiare e bere senza doverla mai togliere.  

Un altro costume tipico dell’epoca era la Gnaga, un semplice travestimento da donna, confezionato per gli uomini. Facile da realizzare e di uso piuttosto comune, questo travestimento era composto da abiti femminili e da una maschera con sembianze feline. Il costume era completato da una cesta al braccio, che solitamente conteneva un gattino. Il personaggio si atteggiava a popolana, emettendo suoni striduli e miagolii beffardi. A volte interpretava la balia, accompagnata da altri uomini travestiti da bambini.  

 Molte donne indossavano un travestimento chiamato Moretta, nome che deriva dall’aggettivo  moro  (scuro). Questo nome si deve al fatto che la maschera era sempre rivestita di velluto nero, combinata con un elegante cappellino e indumenti dalle velature raffinate. La Moretta si distingueva da tutte le altre maschere veneziane per un particolare che le è valso il secondo nome: Muta. Infatti la  maschera aderiva al viso grazie a un bottone interno, posizionato all’altezza della bocca, che la dama doveva mordere per tener la maschera  in posizione. Di conseguenza, chi indossava la Moretta non poteva parlare. 

Un’antichissima festa veneziana, si svolgeva all'interno del periodo carnevalesco nel giorno della purificazione di Maria, il 2 febbraio: in città era usanza celebrare il giorno della benedizione delle spose, durante il quale venivano benedetti collettivamente, presso la Basilica di San Pietro di Castello, i matrimoni di dodici ragazze: benedizione che simboleggiava l’esaltazione della purezza, la protezione divina e l'importanza del matrimonio come istituzione sacra e sociale.   Essa rappresentava probabilmente un momento di celebrazione collettiva, unendo tradizioni religiose e sociali:  il fatto che questa tradizione si svolgesse durante il Carnevale aggiunge un ulteriore   significato. Il Carnevale, con le sue maschere e festeggiamenti, era un periodo di sospensione delle gerarchie sociali, in cui tutti potevano partecipare a un'atmosfera di gioia e uguaglianza. La benedizione delle spose si inseriva in questo contesto come un momento di unione e comunità.

L’usanza è stata ripresa circa seicento anni dopo, nel 1999, anche se realizzata in forma ridotta e apportando alcune varianti, ma con  il desiderio di mantenere vive le radici culturali e storiche della città, adattandole ai tempi moderni. Questo tipo di celebrazioni non solo rafforza l'identità locale, ma attira anche l'attenzione di visitatori e studiosi, contribuendo a preservare e valorizzare il patrimonio culturale

Il Carnevale diede impulso a un numero crescente di spettacoli mascherati allestiti nei teatri privati della città. Gli eventi erano spesso finanziati da famiglie nobili veneziane, le quali intravidero presto l'esigenza di affidare le rappresentazioni, sempre più elaborate, a grandi artisti e veri professionisti. Questi spettacoli in luoghi privati erano inizialmente riservati a un ristretto pubblico di famiglie nobili.  

È comunque nel XVIII secolo che il Carnevale di Venezia raggiunge il suo massimo splendore e il riconoscimento internazionale, diventando prestigioso in tutta l'Europa del tempo, costituendo un'attrazione turistica e una méta ambita da migliaia di turisti. 

Gli eccessi e le limitazioni

Il Carnevale dava la possibilità, a tutti, di celare completamente la propria identità sotto un costume e ciò portò inevitabilmente ad eccessi: sfruttando i travestimenti, qualcuno se ne approfittò per escogitare e compiere una serie di malefatte, più o meno gravi. Per questo motivo le autorità introdussero  a più riprese e per decreto, delle limitazioni, dei divieti e delle sanzioni contro l'abuso e l'utilizzo dei travestimenti. Infatti  soprattutto durante le ore notturne, indossando un travestimento e con la complicità del buio, era più facile commettere reati di varia natura, senza la possibilità di essere riconosciuti. 

Già a partire dal 22 febbraio 1339 si decretò  quindi il divieto notturno di circolare in maschera per la città. Un altro abuso che si rese piuttosto comune riguardava la possibilità per gli uomini, travestiti da donne o con indosso abiti religiosi, di approfittare delle loro mentite spoglie per entrare nei luoghi sacri, nelle chiese e nei monasteri.

Con un decreto del 24 gennaio 1458 si proibì  l'ingresso in maschera nei luoghi sacri, al fine di evitare che fossero compiute multas inhonestates.

Un pericolo per la pubblica sicurezza poteva derivare dalla possibilità di coprirsi con ampi mantelli come i tabarri, molto diffusi e utilizzati in abbinamento a varie maschere: sotto i quali nascondere facilmente armi e oggetti pericolosi, con l'intento di offendere. 

Vi furono  quindi numerosi atti ufficiali che stabilirono e ribadirono di continuo il divieto assoluto di portare con sé qualunque oggetto di natura pericolosa per l'incolumità altrui. 

Le pene per questi reati erano molto pesanti, sia pecuniarie che di reclusione, con la comminazione di diversi anni di galera. Anche le carampane (prostitute), il cui nome era dovuto al palazzo nobiliare, Ca' Rampani, assegnato a loro abitazione  dalla Repubblica di Venezia, potevano facilmente confondersi con le maschere ed esercitare la loro professione. Si arrivò quindi a regolamentare ulteriormente la materia e a stabilire il divieto di prostituzione indossando una maschera, con pene piuttosto severe. 

 Il Carnevale a Crema

La precedente digressione porta direttamente alle origini del Carnevale Cremasco: la manifestazione venne introdotta in città, durante il dominio veneziano nel XV secolo, come festa per la celebrazione della città.

Le manifestazioni carnevalesche a Crema includevano cortei mascherati con carri allegorici, balli, feste solenni e pranzi presso le famiglie nobili. Quando all’evento cominciarono a partecipare tutte le classi sociali, si verificarono disordini, dovuti al fatto che il travestimento permetteva a molti di azzardare episodi illeciti, preoccupando le autorità cittadine.  

Nel 1661, il cronista Ludovico Canobio elogiò il podestà veneto Francesco Cappello per aver condotto le manifestazioni senza incidenti mortali. Tuttavia, nel 1681, ci furono problemi di morale e censure per i troppi eccessi. Il Carnevale di Crema ha continuato a evolversi nel tempo, ma il periodo veneziano resta uno dei più ricordati per il suo splendore e la vivacità delle celebrazioni. 

Dal XV secolo divenne una tradizione che radunava a Crema migliaia di persone, segnando un’importante occasione di festeggiamento per la città. Alla fine del XVIII secolo, cessato il dominio veneto, anche questo evento subì un processo di decadenza, favorito dalle instabilità politiche dei primi anni del XIX secolo e anche dalla durezza del regime poliziesco del dominio austriaco.

Anche nei primi anni dopo l'Unità d'Italia le cose non migliorarono: per poter girare mascherati era necessario avere un'autorizzazione della questura.

Solo nel 1879, a seguito della costituzione di un comitato, si ebbe la possibilità di allestire in Crema delle manifestazioni pubbliche, che continuarono fino alla prima guerra mondiale, sebbene con fasti più sobri rispetto all'epoca veneziana. 

Nel 1916, in pieno periodo bellico, la Regia Prefettura sconsigliava lo svolgimento di eventi carnevaleschi, ponendo di fatto le basi per un nuovo declino che durò fino al 1927. 

Durante il Regime fascista, furono introdotte nuove limitazioni: non si poteva camminare mascherati, se non in gruppo, avendo informato preventivamente le autorità di Pubblica Sicurezza. Erano comunque vietate le maschere che ritraessero esponenti politici e funzionari dello Stato. Le manifestazioni pubbliche autorizzate assunsero carattere di propaganda per il Regime: i temi autorizzati riguardavano i fasti dell'impero, Roma, l'autarchia.

Dopo il fermo forzato del secondo conflitto mondiale, nel 1953 il Comitato Pro Crema riportò in auge il Carnevale, giungendo ad allestire sfilate solenni in cui i carri transitavano per le vie della città, letteralmente circondati dalla folla: certamente alcune decine di migliaia di persone.

La maschera cremasca: al Gagèt

Durante il carnevale del 1955 venne indetto un concorso per stabilire una maschera tipica cremasca. Vinse Paolo Francesco Risari che creò 'l Gagèt col sò uchèt.

Gagèt è vezzeggiativo di gagio, termine con il quale, non senza ironia, i cittadini chiamavano i contadini che giungevano in città per vendere le proprie merci al mercato. 

Il gagèt veste (anche oggi!) l'unico abito buono che ha (istìt scapàt), con vistose calze (scalfaròc) e zoccoli di legno (saculòc). Porta un fazzoletto bianco e rosso al collo, un cappellaccio sulla testa e una coccarda appuntata al petto. Usa un bastone e tiene in braccio un cesto di vimini (curbèla) con un'oca (uchèt) viva. 

Lo stesso Cechino Risari racconta in poesia la nascita e il significato della sua maschera.

Al gagèt col sò uchèt

Cari cremàsch sentì 'n pó 

cuʃa va cünte da bu 'ncó.

Töi i m'ha cunsigliàt da imità
'na quai figüra d'an car 

antìch cremàsch:
mé che fó part 

da la nóa generasiù
g'hó cercàt da creà 

argót da bu.

Sénsa ufénd o schersà

ʃént che i pól vighen a mal

ma sa preʃénte, mé gagèt,

còl mé car uchèt.

G'hó tribülat tant ma tant a leàl

per mandàl al cuncùrs anternasiunàl.

Töi i sa che l'óca l'è buna,

la sies bianca, rósa o bruna, 

e dal sò fidech nun parlèm,

l'è la ròba püsé buna che gh'èm.

E nualtre cremàsch 

zdegnèmes mia:

se le altre cità le gà 

Arlechì, Giupì o Brighèla,

nualtre gh'èm al Gagèt 

con l'óca da Crèma.

(Badéga mia se 

i mé vèrs i è an pó stiràt

mé só an gagèt

 e g'hó mia tant stüdiàt!)

 Il contadino con la sua oca- Cari cremaschi ascoltate un po' / cosa vi racconto sinceramente oggi. / Tutti mi hanno consigliato di imitare/ qualche figura di un cremasco antico: / io che faccio parte della nuova generazione/ ho cercato di creare qualcosa di interessante. //  Senza offendere o prendere in giro/ gente che può averne a male/ mi presento, io contadino, con la mia cara oca. / Ho fatto tanta, ma tanta fatica ad allevarla/ per mandarla al concorso internazionale. / Tutti sanno che l'oca è buona, / che sia bianca, rossa o bruna, / e non parliamo del suo fegato, / è la cosa più buona che abbiamo. // E noi cremaschi non offendiamoci: / se le altre città hanno Arlecchino, Gioppino o Brighella, / noi abbiamo/ al Gagèt con l'oca di Crema. // (Non fate caso se i miei versi sono piuttosto stiracchiati/ io sono un contadino e ho studiato poco!). 

La canzone Zumpa Zumpa... pà nel 1955 ha vinto il concorso indetto dagli Enti organizzatori del Carnevale  per la scelta dell'inno ufficiale. Gli autori sono il cremasco Piero Scotti (parole) ed il milanese Piovani (musica). L'inno riscosse subito grande successo, ma inspiegabilmente cadde presto nell'oblio. Con squisita sensibilità culturale il duo Franco e Rosella con un DVD: Insieme con la musica: (un film di Daniela Dedé e Agostino Zetti, 2017) lo hanno riproposto all'attenzione dei cremaschi in un'edizione filologicamente precisa e artisticamente coinvolgente. 

E zumpa zumpa... pà

Gh'è 'n gir an sach da zent

alegra da bazà

ardì che muimént

sentì 'npo che frecàs.

Ancó i va töi cuntént

an mès al rebelòt

anche chèi pò se èc

i turna giüinòt.

Al carneàl ve 'nsa

e zumpa zumpa... pà

i car i è adré a rià

e zumpa zumpa... pà.

I ve da Pòrta Sère

i va a Pòrta Umbrià

ve vòia da balà

e zumpa zumpa... pà.

'Na us la dis i è che

e töi i taca a zbürlà.

"Ansoma sti 'n po 'ndre,

sa sent gnamò a sunà".

Sasofoni e utaì

trumbète e clarinèt

la banda da Pandì

e da san Benedèt.

Al carneàl ve 'nsa 

e zumpa zumpa... pà

i car i è adré a rià 

e zumpa zumpa... pà.

I ve da Pòrta Sère 

i va a Pòrta Umbrià

ve vòia da balà 

e zumpa zumpa... pà.

E zumpa zumpa... pà- C'è in giro un sacco di gente/ allegra da baciare..., / guardate che movimento/ sentite un po' che fracasso. // Oggi vanno tutti contenti/ in mezzo alla confusione; / anche i più vecchi/ tornano ad essere giovanotti. // Il Carnevale viene in qua/ e zumpa zumpa... pà, / i carri stanno arrivando/ e zumpa zumpa... pà. // Vengono da Porta Serio/ vanno a Porta Ombriano; / vien voglia di ballare/ e zumpa zumpa... pà. // Una voce dice che sono qui/ e tutti incominciano a spingere. //  "Insomma, state un po' indietro..., / non si sente ancora suonare". // Sassofoni e ottavini/ trombette e clarinetti, / la banda di Pandino/ e di san Benedetto.//  Il Carnevale viene in qua/ e zumpa zumpa... pà.., / i carri stanno arrivando/ e zumpa zumpa... pà. // Vengono da Porta Serio/ vanno a Porta Ombriano; / vien voglia di ballare/ e zumpa zumpa... pà.

 Il Carnevale ebbe un ottimo successo fino al 1959, per perdere man mano negli anni successivi le sue attrattive: i cortei degli anni intorno al ‘68 ebbero altre finalità. 

Negli anni settanta giunsero gli anni dell'austerity e un clima di generale sfiducia, se non di paure: erano gli anni del terrorismo che, seppur indirettamente, si riflettevano anche nelle piccole città di provincia, frenando un po' tutte le manifestazioni a carattere popolare.

Nel 1985 alcune associazioni di volontariato (GTA, Bar Fiori, Gruppo Sportivo Olimpia, Gruppo dei Pantelù, Gruppo Carnaval of Humor) costituirono un comitato organizzatore col fine di riportare al successo il Carnevale di Crema. Cominciava così una nuova era per la manifestazione. L'iniziativa ebbe immediato seguito di pubblico e crebbe di anno in anno fino a favorire oggi l'afflusso di migliaia di persone, tanto che i cremaschi credono (magari non è proprio così!), che il loro Carnevale sia il più bello e il più importante della Lombardia. 

Le poesie di autori cremaschi che hanno celebrato il Carnevale in versi non sono numerose: non facile era alla fine del secolo scorso, saper trascrivere i suoni di  una lingua parlata, priva  di regole, con vocabolari del secolo precedente. Chi si cimentava nell’ardua impresa scriveva come pronunciava, e ognuno pronunciava col dialetto che conosceva. 

Carlo Alberto Sacchi ha iniziato pochi anni dopo la pubblicazione del suo Profilo (2013) a raccogliere poesie dagli autori cremaschi che non avevano mai pubblicato i loro testi. In tanti aderirono (162 autori + 2 gruppi ). Si chiesero 3 poesie ad ogni autore. Qualcuno indicò il suo nome, altri si  servirono di uno  pseudonimo e qualcuno chiese di inserirle come   autore anonimo.

 Purtroppo le crisi economiche  impedirono la pubblicazione di una così corposa quantità di scritti. Ma i testi sono ancora disponibili e da quella raccolta li abbiamo copiati, insieme a quelli di autori che abbiamo presentato nei precedenti  articoli. 

Le frappe da la siura Gilda

Cara, cara la me siura

che bèl schèrz che la m'a fat! 

Le sò frappe (me gal dise

e la dis anche 'l sò gat) 

j'era prope 'n po trop bune: 

n'o mangiàt an brigulù...

Quèl che l'è, quèl che nu l'è 

me go fat indigestiù! 

L'è na roba da nu crèt

fato sta che me so in lèt...

'N altra olta, a Carneàl 

se ga egnìs la buna idea 

da fan sö amò 'n quintàl 

atensiù, ga recumande:

la j'à fase mia trop bune 

se da nò, la edarà

(ga ol poch a 'ndüinàl) 

chèsta casa la sarà

töta quanta 'n uspedàl!

Jole Girardi

Le  frittelle della signora  GildaCara, cara la mia signora/ che bello scherzo mi ha fatto! // Le sue frittelle (glielo dico io/ e glielo dice anche il suo gatto) / erano un po' troppo buone: / ne ho mangiato in abbondanza...// Comunque sia/ io ho fatto indigestione! // É una cosa da non credere/ fatto sta che io sono a letto... // Un'altra volta, a Carnevale/ se le venisse la bella idea/ di preparane ancora un quintale/ attenzione, mi raccomando: // non le faccia troppo buone  altrimenti, vedrà/ (ci vuole poco ad indovinarlo) / questa casa sarà tutta quanta un ospedale!         

Coriandoli... coriandoli...

Fa nient se gh'è sö l'aria o se sa trèma

vistìt da nona opör co' la marsina

'nda chèi de ché, gh'è fora töta Crèma

ciao te, ciao me, con sö la mascherina.

Coriandoli... coriandoli...

Col müs da moro e i pàgn da me surèla

vo 'n maschera, stassera...

I dèbet i par crèdet quan s'è alégre

al mund ma piàs a sta con tanta pila

le bèle s'ciàte e le butiglie negre.

Coriandoli... coriandoli...

Aturne ai car gh'è pié da mascherine

Le maschere... le maschere...

L'è la furtuna da le carampane:

se j'è 'n po storte o se le gà le rüghe

le quercia töt con maschere e sutane.

Sa sent a sunà i piàt e le tamburèle

e dai pugiói ve zó, 'nsö le pelade

i pom, i purtugài, le caramele...

Che bèl diertiment le mascherade!

Coriandoli... coriandoli...

 Nemo Freri

Non importa se tira vento o se si trema/ vestiti come una nonna o con la marsina/ in questi giorni, tutta Crema è per la strada/ che ci vuoi fare, con indosso la mascherina. // Coriandoli... coriandoli... / Con la faccia da moro e i vestiti di mia sorella/ vado in maschera questa sera... // I debiti sembrano crediti quando si è allegri/ mi piace stare al mondo con tanti soldi/ le belle ragazze e le bottiglie (di vino) nero. // Coriandoli... coriandoli... // Attorno ai carri ci sono molte mascherine. // Le maschere... le maschere... //  È la fortuna delle bruttone: / se sono un po' storte o se hanno le rughe/ nascondono tutto con le maschere e le sottane. // Si sentono suonare i piatti e i tamburelli/ e dai balconi cadono, sulle teste calve/ le mele, le arance, le caramelle... / Che bel divertimento le sfilate di maschere! // Coriandoli... coriandoli...                                      

Carneàl?

I sòlet bruntuluni i söta a dif

che ché a Crèma ògne üsanza la va a mal:

per esempio, ciapèm – se pròpe urìf-

la stòria ècia dal nòst Carneàl.

 

I dìs: “An temp, i nòst cremasch, al sìf,

che i scuminciàa a fà i carr fin da Nedàl?

Al Carneàl da Crèma, o laatìf, 

a l’era ’l püsse bèl e uriginàl! Si dice:"

File da carr e zent an sbaracàda

i ’ndàa da Pòrta Sère a Pòrta Umbrià

con fiole (e carampàne) an ògni strada...”

 

Bé: me ’l so mìa se tòrt o resù i gh’à,

ma urarèss diga che, coi temp che corr,

ancó l’è töta...’na Carnealàda!

Vanni Groppelli

 

Carnevale? -I soliti brontoloni continuano a dirvi/ che qui a Crema ogni usanza peggiora: / per esempio, supponiamo - se proprio volete- / la vecchia storia del nostro Carnevale. // Si dice: "Un tempo, i nostri cremaschi, sapete..., / che incominciavano ad allestire i carri fin da Natale?/ Il Carnevale di Crema, o scansafatiche/ era il più bello e originale! Si dice: // “File di carri e gente a far bisboccia/ andavano da Porta Serio a Porta Ombriano/ con ragazze (e carampane) in ogni strada..." Si dice // Beh: io non so se abbiano torto o ragione / ma vorrei dir loro, coi tempi che corrono / oggi tutto è... una Carnevalata.

l'è Carneàl: cantèm 

L'è là da la rutunda

che spunta 'l Carneàl, 

l'ha ʃbatìt fóra 'l Sère 

che 'l par an tempuràl.

An tempuràl che uʃa 

che rét a crepapèl,

al fà 'n fracàs d'infèrne 

al par an gran burdèl.

Viva, evviva Crèma, 

cuʃé sa gà da fà:

còrne a la scarògna 

sénsa pensà a dumà.

L'è ura da finila

con cèrte stüpidade, 

dèmes da bras ansèma, 

cantèm per le cuntrade:

"Sóta 'l bèl cél da Crèma

ga sta 'na rasa bèla,

che mèsa töta 'nsèma 

sémpre triunferà.

Töc i paés ché 'nturne 

i è mès an muimént,

töc i cór ché a Crèma 

a i gran diertimént.

Diertimént che piàs, 

che pòrta 'n gudimént, 

e chi gà 'l cór da giàs 

al dòrme pör cuntént”.

Viva, evviva Crèma.

Anonimo

 È carnevale cantiamo- È là dalla rotonda/ che spunta il Carnevale/ l’ha buttato fuori il Serio/ che sembra un temporale. // Un temporale che vola/ che ride a crepapelle / fa un fracasso d’inferno/ e genera una grande confusione. // Viva, evviva Crema, così si deve fare/ corna alla sfortuna/ senza pensare al domani. // È ora di smetterla/ con certe sciocchezze/ prendiamoci sottobraccio/ cantando per le strade. // ”Sotto il bel ciel  di Crema/ c’è una bella gente/ che messa tutta insieme sempre trionferà. // Tutti i paesi intorno/ si sono messi in movimento/ tutti corrono qui a Crema/ al gran divertimento// che porta allegria/ e chi ha il cuore di ghiaccio/ dorma pure contento.” // Viva, evviva Crema.

La lingòta

L'è trìste stasséra la séra,

gh'è passàt an ótre carneàl,

ma per fürtüna gh'o amò te arént.

Ü cumè te, se 'l gh'éra mia,

 büsügnàa 'nventàl. 

Andreina Bombelli

L’altalena- Che triste stasera la sera, / è finito un altro Carnevale/ per fortuna ho ancora te vicino/ uno come te, se non ci fosse stato, bisognava inventarlo.

Oggi 

Se la tradizione storica del Carnevale affonda le sue radici nel periodo in cui la città di Crema era sotto il dominio della Serenissima, oggi è un mix di passione, creatività, lavoro artigianale e tanto impegno dei volontari, che lavorano in estate e in inverno per offrire un evento unico e attrattivo: i carri allegorici a tema, di grandi dimensioni e di accurati particolari. 

Il lavoro di preparazione dei grandi carri mascherati è enorme: chi lo propone sa che il tempo libero dell’anno che precede la manifestazione è dedicato al lavoro: sia a quello in ufficio fino a quello nel capannone: e questo è il più faticoso e impegnativo. 

I volontari sono una ventina e arrivano a un centinaio per l’allestimento delle sfilate. Per i cremaschi è una passione che coinvolge anche il privato oltre che le Istituzioni. 

A febbraio, si inizia con la consegna da parte del Sindaco delle chiavi al Gagèt, in attesa dell’arrivo del Carnevale. La data d’inizio segue il tempo del periodo pasquale e, se non ci sono contrattempi metereologici, termina il martedì grasso: anche se è ormai consuetudine, in caso di maltempo spostare la sfilata dei carri in una (si spera solo una) domenica di Quaresima.

Nel 2025 il Gran Carnevale Cremasco è giunto alla 37a edizione: insieme ai residenti si sono mescolati anche molti turisti: la città è stata presa d’assalto da migliaia di visitatori provenienti dalla Lombardia e dalle regioni vicine. 

Conclusione

Il Gran Carnevale Cremasco è un pezzo del passato della città che continua a parlare al presente, usando linguaggi nuovi, tecnologie moderne, mezzi di comunicazione attuali per rinnovarlo ogni anno: non solo per renderlo una ricorrenza per chi vi partecipa da spettatore, ma anche per innovare le tradizioni locali, trasformandole in una festa viva, capace di emozionare e coinvolgere anche chi di Crema non è.

Graziella Vailati


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commenti


lucianagroppelli481@gmail.com

7 aprile 2025 07:08

Magnifica, esaustiva, divertente, completa ricostruzione storico-antropologica del Carnevale. Cremasco e non solo.